TU SAI TUTTO E ME LO CHIEDI ? – Angelo Nocent

1-Gesù e Pietro-001ATTENZIONE AI VERBI GRECI !

Giovanni 21, 15-23

15 Quando dunque ebbero pranzato dice Gesù a Simon Pietro: 
“Simone di Giovanni (cioè discepolo del Battista), mi ami tu (agapàs-me) più di costoro”? 
Gli risponde: “Si, Signore tu sai che ti voglio bene (philèo-se)”.
Gli disse: “Pasci i miei agnelli”.
16 Gli chiese di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami tu? (agapás-me
Gli rispose: “Si, Signore, tu sai che ti voglio bene (philèo-se)” . 
Gli disse: “Pasci le mie pecore”
17 Gli domandò una terza volta: 
“Simone di Giovanni, mi vuoi bene  (philèisme)?
Pietro si rattristò perché per la terza volta gli disse: “mi vuoi bene”? 
Gli rispose: “Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene (philèo-se)”
Gli disse: “Pasci le mie pecore”.

Masaccio - Polittico di Pisa - Martirii di S Pietro e del Battista

Il martirio di Pietro1-2013-07-2133

UNA LETTERA DELL’AMATO PADRE AI GLOBULI ROSSI

Carlo Maria Martini 16Caro/a…

Mi è venuto in mente il dialogo tra Gesù e Pietro sulle rive del lago di Tiberiade (cfr Gv 21,15-19): in quel momento l’itinerario educativo portato avanti dal Signore nei confronti dei suoi era a una svolta decisiva. Il ricordo, la nostalgia e anche la tristezza delle cose passate potevano paralizzare i suoi, o aprirli a un nuovo, sorprendete inizio. È allora che Gesù mi sembra operare un salto che consente di fatto a Pietro e agli altri di cominciare non soltanto “di nuovo” ma “in modo nuovo”.

Rivolgendosi a Simone, Gesù gli chiede: «Mi ami tu più di costoro?». Richiesta esorbitante non solo perché rivolta a chi aveva rinnegato il suo Signore, non solo per quel curioso «più di costoro», ma anche e specialmente perché Gesù usa il verbo agapào, che indica l’amore totale, esclusivo, incondizionato. Pietro non osa rispondere con lo stesso verso (forse lo avrebbe fatto prima di conoscere l’amara esperienza del fallimento!): risponde semplicemente e poveramente «Ti voglio bene», usando il verbo dell’amore amicale, philéo.

Nella seconda domanda Gesù insiste con la richiesta dell’amore totale; e Pietro insiste nella  seconda risposta con l’offerta del suo povero, umile amore.

Alla terza domanda e risposta non è Pietro che cambia il verbo: è Gesù. «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?»; e Pietro – sebbene «addolorato che la terza volta gli disse: Mi vuoi bene?» (che fosse cioè Gesù ad avere dovuto cambiare il verbo dell’amore) – gli risponde: «Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti voglio bene». Si potrebbe quasi dire che non è Pietro a convertirsi a Gesù, ma è Gesù che si “converte” a Pietro, si adatta al suo linguaggio e alle sue possibilità.

È questa “conversione di Dio” che mi colpisce profondamente: anche perché è a partire da essa che Gesù pronuncia l’imperativo nel quale sbocca tutto l’itinerario educativi con cui aveva formato il suo apostolo: «Seguimi!».

Il significato che colgo penso possa aiutare molto te e me: Gesù ha integrato il fallimento di Simone e, in fondo, il suo personale “fallimento educativo” perché ha molto amato: il suo amore è così totale da essere libero da ogni pretesa, da non imporre all’altro un’esigenza avvertita dall’altro come impossibile, da piegarsi sulla debolezza e povertà del suo discepolo per dargli nuovamente la speranza di amare, la fiducia di poter ancora date tutto, fino alla fine.

Che il Signore risorto, facendoci sperimentare questo suo amore totale, aiuti a donarlo agli altri e a riprendere il cammino educativo che ci ha affidato, senza soste, senza stanchezze.

+ Carlo Maria Card. Martini
Arcivescovo di Milano
Milano, 8 settembre 1988
Festa della Natività di Maria

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TU SEI PIETRO…

BUON GIORNO, SPIRITO SANTO ! – Angelo Nocent

1-risveglio

E’ un’abitudine che mi ha suggerito un sacerdote prima di andare in Paradiso.

L’altro giorno, invece, durante la Confessione, un vecchio sacerdote mi ha detto: “Quando fai il segno della Croce, ricordati che stai benedicendo il mondo!

Mappamondo

“BUON GIORNO, SPIRITO SANTO”,
UN SEGNO DI CROCE,
E TUTTO S’ILLUMINA D’IMMENSO!

P a s s a p a r o l a  !

passaparola

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280.Per mantenere vivo l’ardore missionario occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo, perché Egli «viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26). Ma tale fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocarlo costantemente. Egli può guarirci da tutto ciò che ci debilita nell’impegno missionario.

È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera.

Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!

Vieni, vieni, Spirito d’amore,
ad insegnar le cose di Dio.
Vieni, vieni, Spirito di pace
a suggerir le cose che Lui ha detto a noi.

SCUSATE SE INSISTO !

 

PENTECOSTE E’ CONOSCERE IL CUORE DI DIO – Angelo Nocent

1-2014-06-09

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Oggi, lunedì di Pentecoste, nella mia parrocchia è ancora festa: si festeggia la MADONNA DELLE ASSI, Rosa Mystica,  ora piccolo santuario Mariano, secoli fa probabilmente una devota cappella fatta di assi, in ricordo di una tramandata apparizione della Madonna – solo verbale e senza documenti storici –  a una ragazza del lugo. Tradizione così sentita che, annualmente, presenzia anche il Vescovo.

14-SAM_5937Il vescovo di Crema OSCAR CANTONI e il parroco Don ROBERTO SANGIOVANNI

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1-Scan10036Oggi però, prima di recarmi alla Messa, sono andato a rileggermi un’omelia di Pentecoste del monaco BENEDETTO CALATI che fu Priore Generale della congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto.

Prima sorpresa: nel volumetto ho trovato un tovagliolo di carta e un foglietto con degli appunti.

1-Scan10033Riprendo il testo:

“Parlare di Eucaristia vuol dire parlare di

  • corpo
  • casto
  • offerto in sacrificio
  • per voi: persone in relazione ristretta
  • per tutti: in relazione estesa
  • nuovo ed eterno patto: amore indissolubile.

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In questi appunti leggo, con  stupore, un’aspirazione del cuore che non è di oggi ma che impegna fino al midollo:

Globuli Rossi

  • vuol dire diventare donatori di sangue, ossia di se stessi, sulla via indicata da Gesù.
  • Vuol dire: mettere Dio davanti a tutto e a tutti.
  • Il farsi prossimo è la conseguenza logica.

Se l’avvenire è nelle mani di Dio, meglio di così non potrebbe andare.

Il dolore senza fede è insopportabile.

La nostra vita ormai è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Sotto l’insegna della Croce e dello Spirito.

Globuli Rossi,

  • a partire dal giovane ricco di cui parla il Vangelo, vuol dire mettersi nell’ottica della volontà di Dio.
  • Una sequela Christi che mette sempre Dio davanti a tutto e a tutti.
  • Si può essere poveri di denaro ma ricchi di se stessi, superbi e, illusoriamente, bastanti a se stessi.

E’ morto per i nostri peccati. E’ risorto per la nostra salvezza.

Globuli Rossi

  • vuol dire avere coscienza di essere sorelle e fratelli del Risorto
  • e portare l’annuncio che il Signore non è nel sepolcro ma il Vivente.

1-Scan10036Ma torniamo a Padre Calati (6 Giugno 1976).

Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23).

“La Chiesa si presenta al mondo, al termine del cammino pasquale, come una comunità di perdono.

  • Lo Spirito del Padre e di Gesù è l’Amore che risiede ormai in noi;
  • è solo lui la remissione del nostro peccato;
  • ed è per lui e con lui che noi possiamo presentarci come comunità di perdono, di benevolenza, di mutua accoglienza;
  • comunità di consolazione, di conforto, di pace, di gioia;
  • comunità che annunzia il regno di Dio già inaugurato qui in terra”.

Prosegue il monaco:

“Credo che il mondo abbia un bisogno particolare di conforto, di speranza, che non sia però la solta  parola palliativa, una consolazione na buon mercato, ma un vero conforto che garantisca una novità di  vita e di situazione. Ora, questa novità è data precisamente dalla benevolenza con cui siamo stati accolti da Dio, sì che lo possiamo chiamare Padre; ed è lo Spiirito Santo che ci garantisce in questa nuova realtà. Siamo stati perdonati da Dio.

Lo Spirito Santo che ci fa gridare a Dio come Padre, ci fa anche capire il travaglio dell’attesa di Dio per il ritorno a lui dell’uomo”.

Poi il monaco prende in esame la parabola del “figlio perduto” che sarebbe lungo riprodurre.

Da un’altra parte il p. Calati scrive: “Tutta la rivelazione biblica si presenta come lo spasimo di Dio per l’uomo. Gregorio Magno voleva che si leggessero le Scritture proprio per imparare a conoscere “il cuore di Dio”: Disce cor Dei in verbis Dei. La parola di Dio ascoltata è una scuola di conoscenza del cuore di Dio”.

Ce lo conferma l’evangelista Giovanni in 14, 26: ”ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto”.

Egli ci insegna ogni cosa e ci fa ricordare tutte le parole del Cristo. Lo Spirito Santo è anche Spirito di memoria e tante volte Egli che vive nei nostri cuori ci ricorda delle cose dimenticate anche della parola di Dio e quando testimoniamo di Lui ci sostiene e ci fa ricordare. Egli disse un giorno: ”E quando vi arresteranno per portarvi in tribunale, non preoccupatevi di quel che dovrete dire: dite ciò che in quel momento Dio vi suggerirà, perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo” ( Mar 13,11).

Così ho tratto la conclusione condensata nel titolo:

1-2014-06-09

E GLOBULI ROSSI 

  • vuol dire diventare donatori di sangue, ossia di se stessi, sulla via indicata da Gesù.
  • Vuol dire: mettere Dio davanti a tutto e a tutti.
  • Il farsi prossimo è la conseguenza logica.

35-SAM_595807-SAM_593015-SAM_5938   24-SAM_594723-SAM_5946 22-SAM_5945 21-SAM_5944 20-SAM_5943 25-SAM_5948 28-SAM_5951

 PRECEDENTE:

http://grcompany.wordpress.com/2014/06/07/spirito-di-dio-scendi-su-di-noi-angelo-nocent/

 

SANTA MARIA DELLE ASSI LA “ROSA MYSTICA”

1-Scan10030Il 14 Luglio 2011, su CREMONA OGGI, a firma di Poli Silvano, compariva il seguente titolo allarmante: Monte Cremasco, «Non allontaniamo i fedeli dalla Madonna delle Assi».

Con i lavori di miglioramento della viabilità della S.S. 415 denominata “Paullese” nel tratto rotonda di Pandino – Crema, verrà chiuso l’incrocio per Monte Cremasco–Palazzo Pignano, interrompendo l’antico tracciato medioevale Crema–Bagnolo C.–Vaiano C.– Monte C.–Palazzo Pignano–Pandino e la strada provinciale verrebbe spostata, con un sottopassaggio, più avanti verso la direttrice di Milano.

La comunità cristiana di Monte Cremasco chiede alle autorità competenti di avere un sottopasso pedonale per accedere direttamente al Santuario della Madonna delle Assi situato dalla parte opposta della S.S.415.

Questo sottopassaggio consentirebbe, in special modo nelle ricorrenze e festività religiose importanti, di passare in processione dalla chiesa parrocchiale dei Santi Nazario e Celso di Monte Cremasco da via Garibaldi, direttamente al santuario senza interferire con l’intenso traffico per la nuova strada provinciale del costruendo sottopasso della S.S. 415 in prossimità dei capannoni industriali a ridosso della “Paullese”, accorciando così il percorso di circa 2 Km. Bisogna anche considerare che i fedeli partecipanti alle processioni religiose sono anziani e faticano alquanto nella camminata.

Data l’importanza  del Santuario, anche il Vescovo della Diocesi di Crema è ad ogni anno presente per la festa della Madonna delle Assi il lunedì dopo Pentecoste ed alla ricorrenza di S. Mauro abate con la benedizione e la distribuzione dei pani benedetti. Al suddetto Santuario accorrono numerosi anche fedeli, devoti della Beata Vergine, da altre parrocchie limitrofe.

Se l’incrocio verrà completamente chiuso, come da progetto, sarebbe un ulteriore motivo per allontanare materialmente e spiritualmente i fedeli di Monte Cremasco dal Santuario della Madonna delle Assi e così si allenterebbe il legame di tutti gli abitanti del paese con il suddetto Santuario. Con la realizzazione del sottopassaggio pedonale con elementi di cemento precompresso, si renderebbe più vicino al cuore dei muccesi il luogo sacro, come è sempre stato nei secoli scorsi.

POLI SILVANO

31-SAM_55301-Scan10032Madonna delle Assi - Carlo Secchi 1925 affresco

Madonna delle assi -CampanilePurtroppo, l’appello non è stato raccolto se non in parte, con una soluzione poco funzionale per i pedoni che, da Monte Cremasco al Santuario, devono farsi una bella camminata, non alla portata di tutti.

Ma noi possiamo lo stesso compiere il miracolo di mantenere vivo il santuario, punto di riferimento non solo per la Chiesa locale, nel segno della continuità.

Come?

Lo domandiamo con Maria allo Spirito Santo.

1-MADONNA DELLE ASSI 30032014ORIGINI DEL SANTUARIO


Il santuario si trova lungo la strada provinciale SP CR36, che collega Monte Cremasco a Palazzo Pignano, dirimpetto il Canale Vacchelli.

Madonna delle Assi 02Le origini del santuario non sono documentate. Lo Zavaglio, nel suo volume Terre Nostre, ragionava sulla tradizione che vorrebbe essere qui avvenuta un’apparizione in tempi anteriori a quelle di Caravaggio (1432) e di Dovera (1386), quindi almeno nel XIV secolo.

SAM_5560Durante restauri avvenuti nel 1988 venne alla luce un’abside circolare di origini protoromaniche e una traccia di monofora sul fianco sinistro. Quindi è ipotizzabile la presenza di un luogo di culto molto antico, più remoto della presunta apparizione trecentesca. Vista la vicinanza con la città romana di Parasso (Palazzo Pignano) non si può escludere un qualche legame con essa.

Sempre in occasione dei restauri vennero alla luce a metà navata le fondamenta di una precedente facciata, indizio di una più antica e più piccola chiesa.

Anche per quanto riguarda la specificazione non ci sono dati certi: forse deriva da un cappella intermedia costruita prevalentemente in legno.

Madonna delle Assi - Monte CremascoCARATTERISTICHE


L’ esterno

La chiesa è parallela alla strada provinciale che le corre a lato, con un andamento nord-sud, l’abside rivolta a mezzogiorno.

L’aspetto attuale deriva da un ampliamento dell’edificio avvenuto nel corso del XV secolo.

Madonna delle assi - santuarioLa facciata è preceduta da un portico caratterizzato da motivi a serliana, il quale estende la spazialità della chiesa dando un’idea di maggiori dimensioni di quanto non lo siano veramente. Madonna delle Assi 03

Sotto il portico sulla facciata si apre l’unico ingresso affiancato da due finestre; sopra si trovano tre affreschi che raffigurano la Madonna col Bambino e ai suoi lati San Benedetto e San Sebastiano. Un ulteriore semplice finestra per dare luce all’interno si apre sopra il portico.

I lati della chiesa sono piuttosto semplici, con una finestra per lato che dà sul presbiterio ed una solo apertura sul lato orientale per dare luce all’aula.

Madonna delle Assi - Monte CremascoIl campanile si trova sul lato posteriore ed interamente in mattoni a vista: è suddiviso in riquadri con piccole aperture. Un cornicione aggettante divide la parte inferiore dalla cella campanaria caratterizzata da aperture con arco a tutto sestoriquadrate. Sopra la cella corre un cornice sui cui svetta una cuspide a cono con base esagonale.

La cella campanaria conteneva un’unica campana in la bemolle, realizzata dalla fonderia Crespi forse nel 1761. Attualmente le campane sono tre.

Importanti restauri conservativi degli esterni furono realizzati nel 1989.

27-SAM_5525L’interno

L’interno è ad aula unica. L’apparato decorativo è stato completamente restaurato nel 1986 nel quale si distingue laMadonna in trono con Bambino, due angeli musici e la contadinella dell’apparizione, posta in una cornice con cariatidi e putti sul presbiterio: fu rifatta, probabilmente sullo stesso modello del precedente affresco ormai ammallorato, dal pittore Secchi di Milano. Il medesimo ridisegnò i medaglioni della volta.

1-Scan10031La decorazione che circonda l’affresco è composta da quadrature ed angeli di cui la mano pare assomigliare ai modelli di Giacomo Parravicini detto il Gianolo, attivo presso il santuario di Santa Maria della Croce a Crema agli inizi del XVII secolo. Un nuovo altare in marmo fu collocato nel 1988 con la scena dell’Annunciazione realizzata da Mario Toffetti.

(da Wikipedia)

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      12-SAM_5505 13-SAM_5506  15-SAM_5508

08-SAM_5501PERCHE’ ROSA MISTICA?

 Nel 1981 il parroco Don Bruno Ginoli sollecitò a più riprese i suoi parrocchiani a voler imitare i loro avi e antenati in una sincera e fiduciosa devozione verso la Madonna “Rosa Mystica” delle Assi.

Il beato Card. Newman ci fornisce una spiegazione del bel titolo, presente anche nelle Litanie Lauretane:
      
La Madonna è il fiore più bello che si sia mai visto nel mondo spirituale. È per la potenza della grazia di Dio che da questa terra, arida e desolata, sono spuntati tutti i fiori di santità e di gloria. E Maria è la loro regina. Per questo è chiamata rosa: perché la rosa è giustamente ritenuta come il fiore più bello dei fiori. Ma c’è ancora di più: Maria è la rosa mistica, o nascosta, poiché mistico vuol dire appunto nascosto.

In che modo Maria è «nascosta» a noi più degli altri santi? Qual è il valore di questo singolare titolo che noi applichiamo a lei in maniera speciale?

La risposta a questa domanda ci introduce a considerare un terzo motivo, che giustificala riunione del sacro corpo di Maria alla sua anima e la sua Assunzione al cielo subito dopo la morte, prima della risurrezione generale nell’ultimo giorno. Ed è questo: se il suo corpo non fosse in cielo, dove sarebbe ora? Come si spiega il fatto che il luogo dove potrebbe trovarsi ci rimane sconosciuto? Perché non sentiamo parlare del suo sepolcro come se fosse in un posto ben determinato? Perché non vi si fanno pellegrinaggi? E perché non vi sono reliquie di lei come se ne trovano degli altri santi? 

Un istinto naturale ci fa riverenti verso i luoghi dove i nostri morti sono sepolti. Noi seppelliamo i grandi uomini con molto onore. San Pietro parla del sepolcro di Davide, ben conosciuto ancora ai suoi giorni, benché fosse morto diversi secoli prima.

Quando nostro Signore venne deposto dalla croce, fu messo in una tomba preziosa.

Grande onore era tributato alla tomba di san Giovanni Battista, come risulta dalla testimonianza di san Marco che ne parla come di un luogo universalmente conosciuto.

Fin dai tempi antichi i cristiani di tutta la terra si recarono a Gerusalemme a venerare i luoghi santi. E quando finirono le persecuzioni, essi prestarono un culto speciale ai corpi dei martiri e dei santi, come avvenne per santo Stefano, san Marco, san Barnaba, san Pietro e san Paolo, e per gli altri apostoli e martiri.

Li portavano nelle più grandi città, li esponevano alla venerazione pubblica e ne mandavano le reliquie alle varie comunità cristiane.

Fin dall’inizio una grande caratteristica della Chiesa è stata quella di essere devota e riverente verso i corpi dei santi. 


Ora se ce n’era uno che doveva esser maggiormente venerato e amato, era il corpo della Beata Vergine. E allora perché non sappiamo nulla di esso e delle sue reliquie? Perché lei è davvero la rosa nascosta. È concepibile che coloro, i quali furono tanto premurosi e riverenti verso i corpi dei santi e dei martiri, abbiano dimenticato il corpo di colei che è la regina dei martiri e dei santi, e la Madre del Signore? Ciò è impossibile.

Perché allora Maria è la Rosa nascosta? Solamente e certamente perché il suo sacro corpo non è più in terra, ma è in cielo” (cfr. NEWMAN, Maria, p. 211-212). 
     

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LE ALTRE RAFFIGURAZIONI SULLE PARETI

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1-Madonna delle Assi - Crocifisso di Angelo Nocent2

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 VECOVO OSCAR -PAPA FRANCESCO

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Padre Raniero Cantalamessa, nel suo libro “Il soffio dello Spirito” (pag.62-63) Edizione San Paolo, scrive in proposito:

La “Glossolalia” è un termine greco che significa “parlare in lingue” e che, nel linguaggio del Nuovo Testamento, ha un senso ben preciso: significa che, mosse dallo Spirito Santo, una o più persone emettono suoni non codificati in un particolare linguaggio.

Quando parliamo, facciamo funzionare una specie di casellario che procede per parole e concetti: se queste strutture sintattico-linguistiche si “rompono” per l’irruzione dello Spirito, resta ciò che Sant’Agostino chiamava il “giubilo”, cioè l’emissione di suoni che esprimono uno stato d’animo, ma che non rappresentano concetti razionali.

Di fatto, un senso importante di questo carisma è che, mentre alcuni esprimono suoni sotto questo forte influsso dello Spirito, il resto della comunità percepisce che Dio è presente e vuole dire qualcosa.
Questo spiega perchè San Paolo sottolinea che la glossolalia non si dovrebbe mai esercitare, almeno in pubblico, senza qualcun altro che abbia il dono dell’interpretazione delle lingue, cioè che sia capace di formulare un messaggio, per esempio una parola biblica, che possa essere percepito dai presenti come una specie di traduzione razionale di quel parlare in lingue.

Quando questo dono è esercitato nelle comunità da più persone, ha un’autorità evidente e immediata capacità di fondere le voci e unire l’assemblea in un unico cuore.

Perciò ritengo impossibile farsi un’idea della glossolalia senza vederla ed esserne coinvolti durante un incontro di preghiera carismatica: soltanto così se ne percepisce allo stesso tempo la semplicità e la potenza, specie nella forma del “canto in lingue”

SPIRITO DI DIO
     Re  Si7   Mi-Sol    Re La7   Re       (Re7)
1. Spiri-to di Di—-o, scendi su di noi. (bis)
Sol         Re            Mi7         La La7     
Fondici, plasmaci, riempici, usaci. 
 Re Si7     Mi-Sol   Re La7 Re
Spiri-to di Di—-o, scendi su di noi.
2. Spirito di Dio, scendi su di me. (bis)
Fondimi, plasmami, riempimi, usami.
Spirito di Dio, scendi su di me

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1-Giardino fiorito-0021-1-MADONNA DELLE ASSI 30032014

PER LA PRIMA COMUNIONE DI MIO FIGLIO PAOLO – Angelo Nocent

1-Scan1001725 aprile 1986

Caro Paolo,

da ora in poi, il 25 Aprile di ogni anno, mentre tutti gli italiani continueranno a festeggiare la “liberazione”, (a scuola ti spiegheranno il perché), tu avrai un grosso motivo in più per esultare della tua liberazione.

Col passare del tempo capirai sempre più e meglio cosa ti è successo in questo giorno. Il fatto è che sei stato coinvolto nella morte e nella risurrezione del Signore. Il che significa che sei diventato un altro, ossia sei tu, ma non sei più tu, è Cristo che vive in te.

Per questa circostanza così importante, ti abbiamo comperato le scarpe nuove come le desideravi. Hai anche voluto la giacca e cravatta, camicia e calzoni, come usano i grandi. Effettivamente, senza che noi ce ne accorgiamo, stai crescendo.

Sappiamo che hai dormito poco quella notte. Capita così anche a noi quando c’è un appuntamento importante. Mentre ci preparavamo per accompagnarti alla chiesa, ti sei guardato più volte allo specchio. Eri orgoglioso di trovarti diverso, più sicuro di te. Avevi una tale fretta e fremevi, che hai deciso di scendere da solo, temendo che ti facessimo arrivare in ritardo.

Perché mai ho deciso di scriverti? Non lo so bene. Forse perché noi genitori si vuole sempre che i figli siano all’altezza della situazione. La ragione più vera però è un’altra: il timore che di questo giorno ti resti il ricordo delle esteriorità e frivolezze di cui ti abbiamo circondato e svanisca l’incanto di una bellissima storia d’amore.

ManiTu sai che nel mondo ci sono ogni anno tanti bambini che fanno la prima comunione. Non tutti possono avere le scarpe nuove, indossare un costoso vestito, non sempre possono permettersi un buon pranzetto al ristorante, i regali, le bomboniere…Ma le mamme anche dei meno fortunati, nel giorno della prima Comunione fanno indossare ai bambini un qualcosa di diverso dal solito.

I tuoi genitori hanno potuto accontentarti in tante cose e farti festa. Ma vorrebbero che ti rimanesse il ricordo che il vestito bello, nuovo, voleva semplicemente aiutarti a capire e provare la gioia della Pasqua di Gesù. Sì, perché ogni Messa è una festa, una Pasqua, ossia il piacere di smettere un vestito fatto di invidie, gelosie, rancori, dispetti, litigi, pigrizia…, per indossare quello Nuovo, fatto di bontà, pazienza,sollecitudine, generosità. Ma questo indumento non è di stoffa: è Spirito e Vita. Lo Spirito di Gesù risorto che ti avvolge e penetra in te, che ti fa nuova creatura, una cosa sola con Lui. Tutto ciò è più difficile da dire che da capire, perché l’Amore non si spiega, si prova, un bacio non si spiega, si dà.

Gesù viene in te perché gli piaci e si diverte un mondo in tua compagnia. E poi ha tanti segreti da svelarti. E poi ha voglia di guidarti in cordata a scalare ardue vette. Sono certo che ti porterà anche in alto mare e prima o poi, ti coinvolgerà in una meravigliosa avventura…Come lo so? Perché si è comportato così anche con me.

Prima ComunioneAll’offerta dei doni avete portato sull’altare un grosso pane e dei grappoli d’uva. Poi il sacerdote vi ha fatto mangiare una sottilissima Ostia senza sapore e non vi ha fatto assaggiare il Vino Nuovo. Non capirò mai perché. Qualcuno dice: per comodità. Io sostengo: per pigrizia e poca fantasia. Ma non è importante. Ciò che conta piuttosto è capire perché Gesù ha scelto il pane e il vino per l’Eucaristia. Egli lo ha fatto perché questi erano gli alimenti-base della civiltà mediterranea. Sono sicuro che se Gesù fosse nato in Giappone, avrebbe usato il riso e il the o il saké per la sua nuova Pasqua.

E’ importante che tu capisca una cosa: il pane e il vino sono come “campioni” di tutti i frutti della terra: del riso, del granoturco e del cacao, del caffè, del cocco e del banano, del saké, del the, dell’ idromele e della chicha. Ciascun frutto è come la sintesi del cosmo, è un pezzetto di materia cosmica assimilabile. Devi sapere che noi siamo quello che mangiamo. E come i frutti mangiati, assimilati, diventano nostro corpo, così possiamo dire che anche la nostra carne, il nostro sangue sono pane, vino, riso, latte. Ora qui viene il bello: quando il pane e il vino da noi offerti a Dio sull’altare, si “convertono” nel Corpo e nel Sangue di Cristo, simbolizzano il nostro corpo e il nostro sangue “convertiti” nel Corpo e nel Sangue di Gesù. E, se il pane, il vino, a contatto con te diventano tua carne, tu a contatto con Gesù diventi suo Corpo, suo Sangue.

Tutto questo gli uomini lo chiamano “mistero”, ma e più di tutto un grande miracolo. E noi siamo così circondati da miracoli che ci passano inosservati: un seme che germoglia, un bambino che nasce, l’acqua, il sole, le stelle, il telefono, la TV…

Tutto ciò che è prodigioso è un miracolo, ma un miracolo è anche tutto ciò che è ordinario e che passa inavvertito. Perché questo è il nostro Dio: un papà, una mamma, che sa continuamente rinnovare i prodigi. E la tua prima Comunione non è che uno dei tanti miracoli che hai già visto e vedrai nella tua vita.

Da ora in poi, dal momento che hai creduto possibile Gesù diventasse una cosa sola con te, la tua vita sarà ogni giorno piena di miracoli. Spesso non ti sorprenderai nemmeno, tanto ti sembreranno consueti certi avvenimenti. Ma io so che Gesù ti ha cambiato gli occhi. Adesso tu vedrai le cose, le persone, in un altro modo perché vedrai con i Suoi occhi. Stai attento però. Non essere distratto, vigila. Qualcuno tenterà ogni giorno di accecarti, o almeno di annebbiarti la vista: è lo Spirito del Male. Peccato è proprio il vedere la realtà con altri occhi, è allucinazione, scambiare le cose, confondere, invertire le cifre, così che alla fine i conti non tornano.

Marisa, la tua catechista, mi ha assegnato l’incarico di proclamare la prima lettura, Atti degli Apostoli 2, 42-47. Lei non lo sa, ma ti confesso che mi ha rovinato la giornata. Perché? Non si possono leggere a un’assemblea di bambini e di adulti parole come queste: “Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che Possedevano. Vendevano le loro proprietà e i loro beni e distribuivano i soldi fra tutti, secondo le necessità di ciascuno”, non si possono udire senza provare un enorme disagio. Si può anche far finta di nulla, ma lo Spirito i Dio che parla, sollecita, incita, come farlo tacere dentro?

Tu sei ancora bambino, ma ben presto ti accorgerai che noi grandi da quest’orecchio ci sentiamo poco. Tutti, compreso i sacerdoti. Vendere, mettere i beni in comune, dividere secondo le necessità di ciascuno, ci sembra improponibile, irrealizzabile. Ma è solo perché non ci fidiamo di Dio e anche noi abbiamo altri dei. Così, io ho fatto finta di nulla, Don Antonio, ha fatto finta di non aver capito, l’assemblea ha fatto finta che si parlasse dei primi cristiani e non di noi, e tutti abbiamo messo il cuore in pace.

Spesso in chiesa, per tante ragioni, usano parole difficili e poi la gente non le capisce e devono fare la “catechesi” per spiegarle. Messa, Eucaristia, sono alcune di queste parole incomprensibili.

La Messa è credere che Dio ci ama, gioire per quello che fa per noi. Eucaristia è un’altra parola difficile che vuol dire tante cose insieme: ringraziare e lodare Dio, meravigliarsi per la Sua fedeltà, generosità, misericordia, esserGli riconoscenti. Celebrare l’Eucaristia quindi è fare tutte queste cose insieme, ossia compiere l’azione più gioiosa del mondo. Purtroppo, le nostre Messe non sono sempre gioiose e a tanta gente che si siede a tavola manca l’appetito. Che fare?

Amici 01Devi sapere che, prima di Gesù, la religione, ossia il rapporto con Dio era molto complicato e ci volevano grandi sforzi di mente, di fantasia, tanti ragionamenti per poterlo conoscere. Ma Dio ha voluto che le cose fossero molto semplici e ha deciso di diventare qualcuno che si può amare, baciare, toccare, ascoltare. Così Lui è diventato per noi uno che si può perfino inghiottire e bere, uno che può penetrare in noi attraverso i nostri sensi.

Questo è il mio Corpo” vuol dire vederlo, toccarlo, qualcuno a cui ci si può aggrappare. Se lo comprendi, scoppierai di gioia. Quella piccola Ostia che ricevi è solo farina e acqua. Il suo sapore è insignificante. La mangi e non provi speciali sensazioni. Ma ciò che ti succede assomiglia un poco alle trasfusioni di sangue che i medici fanno alla mamma quando non ha più forza. I globuli rossi racchiusi in un sacchetto di plastica apparentemente non danno alcun segno di vita, ma quando vengono iniettati nelle vene, tutto il suo corpo si riprende e anche il suo spirito sembra rinascere.

Noi sappiamo ben poco di ciò che succede. Ma ogni volta ci accorgiamo che è accaduto in lei qualcosa di molto importante, un prodigioso miracolo. Così è dei bocconcini di pane che stanno sull’altare: nel piatto non danno segni di vita, ma chi ne mangia, ha la Vita. E tutti si accorgono che noi siamo cambiati; anche gli altri sentono scorrere nelle loro vene una nuova Forza, perché, come tanti sono i chicchi, ma una sola è la spiga, così tutti formiamo un solo Corpo, i credenti in Cristo, la Chiesa.

Col tempo ti accorgerai che tutto ciò è vero, reale, visibile, ma è solo lo Spirito Santo di Gesù, il Crocifisso-Risorto, che può farti gustare e comprendere le cose di Dio. A Messa, ti raccomando, cerca sempre di cantare a piena voce, perché Gesù è felice di vederti contento e gioioso. Inoltre, chi ti è accanto sarà trascinato e coinvolto anche lui nell’inno di lode di tutta la Creazione.

Un’ultima cosa. Quando il sacerdote dice: “La Messa è finita, andate in pace”, non dimenticare che è solo un modo di dire per sciogliere l’assemblea. Perché non è vero che la Messa finisce: la tua Messa appena incomincia. Sì, incomincia nella tua vita, in casa, a scuola, tra i compagni. Non puoi tenere soltanto per te la gioia di aver incontrato, visto, toccato il Signore. Devi anche trasmetterla agli altri. Vedrai, quando tutti sentiranno il bisogno di fare questa tua esperienza, alla TV non sentiremo più parlare di guerre, violenze, droga, rapine…

Oggi il tuo cielo è sereno ma potrebbe anche annuvolarsi. Non scoraggiarti mai, per nessuna ragione, E, se dovesse accadere, sai dove potrai sempre trovare un Amico sincero.

ministricomunione-150x150Ho pensato di chiedere al Parroco il permesso di portare la comunione ai malati, la Domenica. Potremmo andarci insieme, con tua sorella e la mamma. Che ne dici? Ti ricordi quando hanno portato il Viatico a casa nostra perché la mamma stava male? Gesù aiuta i malati, vuole che guariscano. E’ un peccato non farlo, soprattutto quando i sacerdoti sono molto impegnati in parrocchia. Sei convinto?

So di aver abusato della tua pazienza. Leggi questa lettera quando sarai più grande, se vorrai. Ma adesso credo sia proprio giunto il momento di starmene un po’ zitto. Ho intuito che anche tu hai tanto da insegnarmi.

Tuo papà

Holy Communion

Carlo Maria Martini - Eucaristia 2

PAPA FRANCESCO E IL RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO

Papa Francesco e Salvatore Martinez - Udienza privata del 9 settembre 2013

Papa Francesco e Salvatore Martinez – Udienza privata del 9 settembre 2013

 

Bergoglio definì il Rinnovamento nello Spirito “una corrente di grazia” Pino Scafuro, coordinatore a Buenos Aires ricorda la nomina dell’allora arcivescovo ad assistente spirituale del movimento, carica che avrebbe dovuto assumere dopo il conclave del 2013…Di Rocío Lancho García

ROMA, 22 Maggio 2014  – Il prossimo 2 giugno papa Francesco andrà allo Stadio Olimpico di Roma. Curiosamente, proprio come una partita di calcio, la sua presenza durerà novanta minuti durante i quali il Santo Padre trascorrerà un tempo di preghiera, canti, testimonianze, dialogo ed ascolto assieme a 50mila membri del Rinnovamento nello Spirito Santo.

Per scoprire quelli che furono i rapporti tra il cardinale Bergoglio con il movimento, ZENIT ha intervistato Pino Scafuro, quarantottenne industriale italo-argentino, sposato e padre di due figli. Scafuro è coordinatore del RnS a Buenos Aires e vicepresidente della Fraternità Mondiale delle Comunità del RnS.

Come avvenne il primo contatto del cardinale Bergoglio con il RnS in Argentina?

La corrente carismatica cattolica prese il via in Argentina più di 40 anni fa. Le prime comunità di preghiera furono iniziate da religiosi trinitari e gesuiti. In quegli anni si trattava di una spiritualità sconosciuta nella Chiesa Cattolica, che cresceva rapidamente e spontaneamente, a volte con le imperfezioni proprie di una esperienza nuova, per le quali si partecipava e per le quali bisognava vigilare. A quei tempi, il giovane padre Jorge Mario Bergoglio era provinciale dei gesuiti e dovette richiamare alla prudenza i suoi animatori.

In un’occasione, papa Francesco disse, parlando del RnS, che “alla fine degli anni ’70, inizio Ottanta, avevo detto: “costoro confondono una celebrazione con una scuola di samba”. Poi, però, si pentì di questa dichiarazione, perché conobbe meglio il movimento. Come erano i rapporti tra il cardinale Bergoglio e il RnS in Argentina?

Dopo il periodo che lei ha menzionato, negli anni ’90, quando era vescovo ausiliare e poi arcivescovo di Buenos Aires, abbiamo iniziato ad avere una relazione sempre più stretta e filiale con lui. Nella sua opera di accompagnamento e appoggio, molte volte, esprimeva un’enfasi che ci sorprendeva. Lo ripeté anche come Papa, alla conferenza stampa durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro, quando disse: “A Buenos Aires, mi incontravo frequentemente con loro e, una volta, l’anno celebravo messa con loro in cattedrale. Li ho appoggiati sempre, quando mi sono ‘convertito’, quando ho visto il bene che facevano. Come si può, però, sostenere un movimento che è così libero? Anche la Chiesa è libera. Lo Spirito Santo fa quello che vuole. Inoltre, compie il lavoro dell’armonia…”. In tale risposta il Santo Padre ha espresso il suo riconoscimento della natura del Rinnovamento nello Spirito, “un movimento che è molto libero…”. Questo ci riempie di gioia.

Ha avuto occasione di comunicare con lui, dopo la sua elezione a Successore di Pietro?

Sì, ho potuto salutarlo brevemente a Roma. L’ho trovato molto vivace e a conoscenza dei dettagli, come sempre.

Come definirebbe il cardinale che ha conosciuto?

Come un vescovo sempre a disposizione dei suoi sacerdoti, dei laici e di chiunque sollecitasse un suo consiglio o aiuto, specie per i poveri. I poveri e gli esclusi sono sempre stati la sua priorità. Un pastore secondo il Vangelo, un uomo lucido e realista, un uomo di preghiera e un degno figlio di Sant’Ignazio di Loyola, saggio e sincero. Ascolta con attenzione tutti, però poi prende decisioni in modo libero e fermo.

Papa Francesco verrà allo Stadio Olimpico di Roma per l’incontro italiano di RnS. Cosa rappresenterà in concreto questo gesto del Papa per il RnS e per la vita dei movimenti in generale?

Sarà un incontro internazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo nelle sue molteplici espressioni. Un gesto in più del Santo Padre della sua vicinanza al Rinnovamento nello Spirito, dopo i tanti che già ha espresso quando era a Buenos Aires. Di fatto, era già stato nominato dalla Conferenza Episcopale come assistente spirituale del Rinnovamento nello Spirito in Argentina, incarico che sarebbe diventato effettivo al suo ritorno dal conclave… cosa che non successe, come tutti sappiamo.

Sempre durante la conferenza stampa in aereo, sui movimenti disse: “Credo che i movimenti siano necessari. I movimenti sono una grazia dello Spirito”. Questo incontro sarà una grande benedizione.

È passato più di un anno dall’inizio del suo pontificato e Francesco continua a sorprenderci con i suoi gesti, le sue parole: chi già li conosce, si sorprende?

No, non ci sorprende. Non è cambiato! Siamo abituati ai suoi gesti e alle sue parole, perché anche come arcivescovo di Buenos Aires era così.

C’è qualche episodio dei rapporti tra l’arcivescovo Bergoglio e il RnS che ricorda in modo speciale?

Sì, a livello istituzionale ha riconosciuto il Rinnovamento nello Spirito come una “corrente di grazia”. Ciò significa che non vi riconosce un fondatore umano. Il movimento fu suscitato dallo Spirito Santo. E questa realtà ci impegna a vivere nella libertà dello Spirito, “che fa l’armonia”, come dice papa Francesco. Ci ha anche commosso, comunque, il suo coinvolgimento personale nelle distinte situazioni, a volte complesse, che si manifestavano nel RnS per aiutarlo a crescere e a fruttificare. A livello umano va sottolineata la sua vicinanza, senza dimenticare la profondità e il buon umore.

Un giorno, intervenendo alla Scuola di Formazione del RnS a Buenos Aires, Bergoglio parlò della Chiesa come sua “sposa”. Allora gli domandai pubblicamente, di fronte a centinaia di persone: “Come va con la sua sposa?”. E lui mi rispose: “Molto bene, ma voglio precisare che ho un punto a mio favore: non ho la suocera!”.

Dopo ogni evento al quale partecipava con noi, si preoccupava di salutare uno dopo l’altro tutti gli assistenti. La situazione era di grande frizione tra la folla e certamente si correva il rischio di spintoni tra la gente che voleva salutarlo o chiedergli la benedizione.

Una volta gli dissi: “Padre, venga in cima alla scala, così la vedono meglio!”. Ma lui mi disse: “Mi piace stare allo stesso livello della gente, non più in alto”. Questa frase mi fa pensare al suo attuale modo di stare vicino alla gente da Vescovo di Roma. Se gli fosse possibile, scenderebbe ogni volta dalla papamobile per andare tra la gente!

[Traduzione dallo spagnolo ed adattamento a cura di Luca Marcolivio]

(22.05.2014)

 

TI VOGLIO BENE – Don Tonino Bello ai giovani

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Ragazzi, vi faccio anch’io tanti auguri. Tanti auguri di speranza…
  • … tanti auguri di gioia, tanti auguri di buona salute, 
  • tanti auguri perché a voi ragazzi e ragazze fioriscano tutti i sogni. 
  • Tanti auguri perché nei vostri occhi ci sia sempre la trasparenza dei laghi 
  • e non si offuschino mai per le tristezze della vita che sempre ci sommergono. 

Vedrete come fra poco la fioritura della primavera spirituale inonderà il mondo,
perché andiamo verso momenti splendidi della storia.
Non andiamo verso la catastrofe, ricordatevelo.
Quindi gioite!

Il Signore vi renda felici nel cuore, le vostre amicizie siano sincere.
Non barattate mai l’onestà con un pugno di lenticchie.
Vorrei dirvi tante cose, soprattutto vorrei augurarvi la pace della sera,
quella che possiamo sentire anche adesso,
se noi recidessimo un po’ dei nostri impegni così vorticosi, delle nostre corse affannate.
Coraggio! Vogliate bene a Gesù Cristo,

  • amate con tutto il cuore, 
  • prendete il Vangelo tra le mani, 
  • cercate di tradurre in pratica quello che Gesù vi dice con semplicità di spirito. 
  • Poi amate i poveri. 
  • Amate i poveri perché è da loro che viene la salvezza. 
  • Non arricchitevi, è sempre perdente colui che vince al gioco della borsa. 

Vi abbraccio, tutti, uno a uno e, vi vorrei dire, guardandovi negli occhi:
Ti voglio bene.

Ultimo messaggio di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, lasciato nel giorno del suo compleanno, già stremato dalla malattia. Lascia ai giovani un’eredità preziosa: la cura e l’attenzione agli ultimi, l’amore ai poveri, ciò che lui ha sempre fatto nella sua vita.

molfetta-cattedraleMolfetta – La cattedrale

IL CONOPEO PASQUALE VISTO DA VICINO – don Roberto

1-1-_Scan10587Per chi entra nella chiesa di Monte Cremasco in questi giorni del tempo pasquale, il conopeo della foto (così si chiama la tendina che sta davanti alla porticina del tabernacolo) è ancora visibile. Apparentemente, sembra un disegno naïf  riprodotto su seta da brava ricamatrice.

Ma il parroco, don Roberto, ha pensato di trasformare questa suppellettile liturgica che orna l’altare in un segno che introduce nell’ Oltre, nel Mistero che è tale proprio per la troppa luce che emana. Con i fragili occhi che ci ritroviamo, l’Ineffabile, l’Indicibile,  non va affrontato di petto per non restarne accecati, ma di lato, da dove arriva una luce riflessa, attenuata, sopportabile, illuminante quanto basta alla nostra capacità di speculazione. Così, sul trimestrale della Parrocchia UN POPOLO IN CAMMINO, il Pastore ha sviluppato la sua riflessione:

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IL DIO IN CUI NON CREDO – Angelo Nocent

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Era il 1971. Anche quella domenica mattina, come tante altre, avevo animato la Liturgia Eucaristica e guidato i canti della Messa delle 10, con il fervore dei ministranti e della santa assemblea, suscitato dalla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II. Rientrato in sacrestia, mi si è avvicinata una ragazza. Era di passaggio e non la conoscevo. Da lei ho saputo che ogni tanto veniva da Seregno perché quell’atmosfera le faceva bene. Poi ha aperto la borsetta ed ha estratto un libretto, fresco di tipografia, dal titolo provocatorio: “IL DIO IN CUI NON CREDO”, scritto da un giovane prete spagnolo, Juan Arias, e me lo ha donato. Poi se n’è andata e, da allora, non l’ho più rivista.

.

Maximos IVNon sto a raccontare le impressioni suscitatemi dalla sua lettura. E, del come sia nato il libro, lo spiega l’autore:

In un’intervista a Roma, quando il card. Maximos IV, l’anziano patriarca orientale, mi disse quella frase che commosse non pochi lettori:

Molti atei non credono in un Dio in cui anch’io non credo”, fu allora che mi chiesero di scrivere un articolo descrivendo quel Dio nel quale anch’io non credo”.

Il volumetto che ormai ha 43 anni, lo conservo ancora. Seppur mal ridotto, sfasciato, tanto che, se mi cade di mano, come mi è successo, si sparpagliano i fogli che devo pazientemente reimpaginare, mantiene la sua freschezza e trovo sia ancora di attualità.

Gli è che oggi, martedì dopo Pasqua 2014, senza una precisa ragione, mettendo un po’ d’ordine, me l’ho ritrovo in mano. Lo sfoglio e, nel risveglio dei ricordi, mi vien voglia di condividere almeno quel capitoletto snocciolato dall’autore come un rosario. Eccolo:

juan-arias“Sì, io non crederò mai in:

1. Il Dio che «sorprenda» l’uomo in un peccato di debolezza.
2. Il Dio che condanni la materia.
3. Il Dio incapace di dare una risposta ai problemi gravi di un uomo sincero e onesto che dice piangendo: «non posso».
4. Il Dio che ami il dolore.
5. Il Dio che metta la luce rossa alle gioie umane.

6. Il Dio che sterilizza la ragione dell’uomo.
7. Il Dio che benedica i nuovi Caini dell’umanità.
8. Il Dio mago e stregone.
9. Il Dio che si faccia temere.
10. Il Dio che non si lasci dare del tu.

11. Il Dio nonno di cui si possa abusare.
12. Il Dio che si faccia monopolio di una Chiesa, di una razza, di una cultura, di una casta.
13. Il Dio che non abbia bisogno dell’uomo.
14. Il Dio lotteria con cui si vinca solo a sorte.
15. Il Dio arbitro che giudichi sempre col regolamento alla mano.

16. Il Dio solitario.
17. Il Dio incapace di sorridere di fronte a molte monellerie degli uomini.
18. Il Dio che «giochi» a condannare.
19. Il Dio che «mandi» all’inferno.
20. Il Dio che non sappia aspettare.

21. Il Dio che esiga sempre dieci agli esami.
22. Il Dio capace di essere spiegato da una filosofia.
23. Il Dio che adorano quelli che sono capaci di condannare un uomo.
24. Il Dio incapace di amare quello che molti disprezzano.
25. Il Dio incapace di perdonare tante cose che gli uomini condannano.

26. Il Dio incapace di redimere la miseria.
27. Il Dio incapace di capire che i «bambini» debbono insudiciarsi e sono smemorati.
28. Il Dio che impedisca all’uomo di crescere, di conquistare, di trasformarsi, di superarsi fino a farsi «quasi un Dio».
29. Il Dio che esiga dall’uomo, perché creda, di rinunciare a essere uomo.
30. Il Dio che non accetti una sedia nelle nostre feste umane.

31. Il Dio che è capito soltanto dai maturi, i sapienti, i sistemati.
32. Il Dio che non è temuto dai ricchi alla cui porta sta la fame e la miseria.
33. Il Dio capace di essere accettato e compreso dagli egoisti.
34. Il Dio onorato da quelli che vanno a messa e continuano a rubare e a calunniare.
35. Il Dio asettico, elaborato in un gabinetto scientifico da tanti teologi e canonisti.

36. Il Dio che non sappia scoprire qualcosa della sua bontà, della sua essenza là dove vibra un amore per quanto sbagliato.
37. Il Dio a cui piaccia la beneficenza di chi non pratica la giustizia.
38. Il Dio per cui è il medesimo peccato compiacersi alla vista di due belle gambe, distrarsi nelle preghiere, calunniare il prossimo, frodare del salario gli operai o abusare del potere.
39. Il Dio che condanni la sessualità.
40. Il Dio del «me la pagherai».

41. Il Dio che si penta, qualche volta di aver regalato la libertà all’uomo.
42. Il Dio che preferisca l’ingiustizia al disordine.
43. Il Dio che si accontenti che l’uomo si metta in ginocchio anche se non lavora,
44. il Dio muto e insensibile nella storia di fronte ai problemi angosciosi della umanità che soffre.
45. Il Dio a cui interessino le anime e non gli uomini.

46. Il Dio morfina per il rinnovamento della terra e speranza soltanto per la vita futura.
47. Il Dio che crei discepoli che disertano i compiti del mondo e sono indifferenti alla storia dei loro fratelli.
48. Il Dio di quelli che credono di amare Dio, perché non amano nessuno.
49. Il Dio che è difeso da quanti non si macchiano mai le mani, non si affacciano mai alla finestra, non si gettano mai nell’acqua.
50. Il Dio a cui piacciano quelli che dicono sempre: «tutto va bene».

51. Il Dio di quelli che pretendono che il sacerdote cosparga di acqua benedetta i sepolcri imbiancati delle loro sporche manovre.
52. Il Dio che predicano i preti che credono che l’inferno è pieno e il cielo quasi vuoto.
53. Il Dio dei preti che pretendono che si possa criticare tutto e tutti all’infuori di loro.
54. Il Dio che giustifichi la guerra.
55. Il Dio che ponga la legge al di sopra della coscienza.

56. Il Dio che sostenga una chiesa statica, immobile, incapace di purificarsi, di perfezionarsi e di evolversi.
57. Il Dio dei preti che hanno risposte prefabbricate per tutto.
58. Il Dio che neghi all’uomo la libertà di peccare.
59. Il Dio che non continui a scomunicare i nuovi farisei della storia.
60. Il Dio che non sappia perdonare qualche peccato.

61. Il Dio che preferisca i ricchi.
62. Il Dio che «causi» il cancro, che «invii» la leucemia, che «renda sterile» la donna o che «si porti via» il padre di famiglia che lascia cinque creature nella miseria.
63. Il Dio che possa essere pregato solo in ginocchio, che si possa incontrare solo in chiesa.
64. Il Dio che accetti e dia per buono tutto ciò che i teologi dicono di lui.
65. Il Dio che non salvi quanti non lo hanno conosciuto ma lo hanno desiderato e cercato.

66. Il Dio che «mandi» all’inferno il bambino dopo il suo primo peccato.
67. Il Dio che non dia all’uomo la possibilità di potersi condannare.
68. Il Dio per cui l’uomo non sia la misura di tutto il creato.
69. Il Dio che non vada incontro a chi lo ha abbandonato.
70. Il Dio incapace di far nuove tutte le cose.

71. Il Dio che non abbia una parola diversa, personale, propria per ciascun individuo.
72. Il Dio che non abbia mai pianto per gli uomini.
73. Il Dio che non sia la luce.
74. Il Dio che preferisca la purezza all’amore.
75. Il Dio insensibile di fronte a una rosa.

76. Il Dio che non possa scoprirsi negli occhi di un bambino o di una bella donna o di una madre che piange.
77. Il Dio che non sia presente dove vibra l’amore umano.
78. Il Dio che si sposi con una politica.
79. Il Dio di quanti pregano perché gli altri lavorino.
80. Il Dio che non possa essere pregato sulle spiagge.

81. Il Dio che non si riveli qualche volta a colui che lo desidera onestamente.
82. Il Dio che distrugga la terra e le cose che l’uomo ama di più invece di trasformarle.
83. Il Dio che non abbia misteri, che non fosse più grande di noi.
84. Il Dio che per renderci felici ci offra una felicità separata dalla nostra natura umana.
85. Il Dio che annichilisca per sempre la nostra carne invece di risuscitarla.

86. Il Dio per cui gli uomini valgono non per ciò che sono ma per ciò che hanno o che rappresentano.
87. Il Dio che accetti come amico chi passa per la terra senza far felice nessuno.
88. Il Dio che non poserà la generosità del sole che bacia quanto tocca, i fiori e il concime.
89. Il Dio incapace di divinizzare l’uomo facendolo sedere alla sua tavola e dandogli la sua eredità.
90. Il Dio che non sappia offrire un paradiso in cui noi ci sentiamo fratelli e in cui la luce non venga solo dal sole e dalle stelle ma soprattutto dagli uomini che amano.

91. Il Dio che non sia l’amore e che non sappia trasformare in amore quanto tocca.
92. Il Dio che abbracciando l’uomo già qui sulla terra non sappia comunicargli il gusto, la gioia, il piacere, la dolce sensazione di tutti gli amori umani messi insieme.
93. Il Dio incapace di innamorare l’uomo.
94. Il Dio che non si sia fatto vero uomo con tutte le sue conseguenze.
95. Il Dio che non sia nato dal ventre di una donna.

96. Il Dio che non abbia regalato agli uomini la sua stessa madre.
97. Il Dio nel quale io non possa sperare contro ogni speranza. 

Sì, il mio Dio è l’altro Dio.

juan-ariasNon so che fine hai fatto tu, Don Aris.

So invece com’è andata a me per aver condiviso questa visione di Chiesa che tanto amavo e che amo ancora: ho ricevuto lo sfrattato.

Ma quel PRIMO AMORE dell’età più bella, non si può scordare.

1-Gesù - Lavanda dei piediOggi 11 Novembre 2015, vedo che qualcuno ha ripreso e riproposto questa pagina in facebook. Segno che quando il vino è DOC e di felice annata, si beve sempre volentieri.

1-Il Dio in cui non credo-001

 

 

 

EL DIOS EN QUIEN NO CREO

Bandiera spagnolaDURANTE una entrevista en Roma con el fallecido cardenal Máximos IV, el anciano patriarca oriental me dijo una frase que conmovió a no pocos lectores: “Muchos ateos, en lo que no creen es en un Dios en el que yo tampoco creo”.

Fue entonces cuando muchos de mis lectores me pidieron que escribiera un artículo describiendo a este Dios en el que yo tampoco creía. No pretendí hacer una tesis doctoral sino más bien entablar un diálogo personal, vital y serio sobre todo con aquellos que aún pueden encontrar a Dios en el camino de su vida.

Era entonces consciente de que cuando un hombre habla del Dios que vive en su ser, las palabras se le quedan siempre estrechas porque Dios es la vida y la vida no cabe en fórmulas. Toda palabra dice siempre más y menos de lo que contiene. Sabía, y eso me consolaba de antemano, que me entenderían los sencillos, los limpios, los honrados, los inocentes y los que no se avergüenzan de llorar sus pecados; y sabía que más de uno habría descubierto con gozo que era menos ateo de lo que él se temía.

El artículo que pasó la prueba del fuego y que me creó no pocas espinas fue al mismo tiempo una de mis mayores satisfacciones apostólicas. Recordaré siempre entre los miles de cartas recibidas a través del diario “Pueblo” de Madrid donde apareció por vez primera, la de aquel matrimonio que me decía: “Le mandamos el recorte de su artículo para que nos lo firme.

Nosotros somos ateos pero tenemos cuatro hijos pequeños y queremos que si un día creyeran en Dios, sea en este Dios que usted llama “el otro Dios”. Ni olvidaré tampoco la carta autógrafa de un arzobispo italiano, hoy muy cercano a Pablo VI, quien me escribía en plena polémica: “Su artículo es una de las mejores páginas que se han escrito después del concilio; antes hubiera sido imposible. Será como una bola de nieve capaz de destruir muchos viejos prejuicios anticlericales. Mi más cordial enhorabuena, padre Arias”.

Ni olvidaré tampoco la carta del joven universitario que me escribía: “Llevo varios meses meditando su artículo y finalmente me he decidido a hacerme sacerdote. Deseo darle las gracias”.

Es verdad que también me han hecho pensar quienes se han escandalizado de mis cuartillas hasta el punto de haber temido por mi fe. Pero mi conciencia es testigo de que mi artículo desea ser sólo y exclusivamente un modo “nuevo” de gritar mi fe en ese Dios inefable que tantas veces me han pedido, hasta como una limosna, muchos que se apellidan ateos. Por eso he querido terminar mi libro con este escrito que es mi palabra de fe sencilla y honrada, imperfecta pero sincera para mis amigos nocreyentes. *

Sí, yo nunca creeré en:

  1. el Dios que “sorprenda” al hombre en un pecado de debilidad, el Dios que condene la materia,
    el Dios incapaz de dar una respuesta a los problemas graves de un hombre sincero y honrado que dice llorando: “¡No puedo!”,
    el Dios que ame el dolor,
    el Dios que ponga luz roja a las alegrías humanas,
    el Dios que esterilice la razón del hombre, el Dios que bendiga a los nuevos Caínes de la humanidad, el Dios mago y hechicero,
    el Dios que se hace temer, el Dios que no se deja tutear,
    el Dios abuelo del que se puede abusar,
    el Dios que se haga monopolio de una Iglesia, de una raza, de una cultura, de una casta.
    El Dios que no necesita del hombre, el Dios quiniela con quien se acierta sólo por suerte,
    el Dios arbitro que juzga sólo con el reglamento en la mano.
    El Dios solitario, el Dios incapaz de sonreír ante muchas trastadas de los hombres,
    el Dios que “juega” a condenar.
    El Dios que “manda” al infierno, el Dios que no sabe esperar, el Dios que exija siempre un diez en los exá- menes,
    el Dios capaz de ser explicado por una filosofía,
    el Dios que adoren los que son capaces de condenar a un hombre,
    el Dios incapaz de amar lo que muchos desprecian,
    el Dios incapaz de perdonar lo que muchos hombres condenan,
    el Dios incapaz de redimir la miseria, el Dios incapaz de comprender que los niños deben mancharse y son olvidadizos,
    el Dios que impida al hombre crecer, conquistar, transformarse, superarse hasta hacerse casi un Dios,
    el Dios que exija al hombre, para creer, renunciar a ser hombre,
    el Dios que no acepte una silla en nuestras fiestas humanas,
    el Dios que sólo pueden comprender los maduros, los sabios, los situados,
    el Dios a quien no temen los ricos a cuya puerta yace el hambre y la miseria.
    El Dios capaz de ser aceptado y comprendido por los que no aman,
    el Dios que adoran los que van a misa y siguen robando y calumniando,
    el Dios aséptico, elaborado en gabinete por tantos teólogos y canonistas,
    el Dios que no supiese descubrir algo de su bondad, de su esencia, allí donde vibre un amor por equivocado que sea,
    el Dios a quien agrade la beneficencia de quien no practica la justicia,
    el Dios para quien fuese el mismo pecado complacerse con la vista de unas piernas bonitas y calumniar y robar al prójimo y abusar del poder para medrar o vengarse,
    el Dios que condene la sexualidad, el Dios del “ya me las pagarás”,
    el Dios que se arrepintiera alguna vez de haber dado la libertad al hombre, el Dios que prefiera la injusticia al desorden,
    el Dios que se conforma con que el hombre se ponga de rodillas aunque no trabaje,
    el Dios mudo e insensible en la historia ante los problemas angustiosos de la humanidad que sufre, el Dios a quien interesan las almas y no los hombres,
    el Dios morfina para la reforma de la tierra y sólo esperanza para la vida futura,
    el Dios que cree discípulos desertores de las tareas del mundo e indiferentes a la historia de sus hermanos,
    el Dios de los que creen que aman a Dios porque no aman a nadie,
    el Dios que defienden los que nunca se manchan las manos, los que nunca se asoman a la ventana, los que nunca se echan al agua,
    el Dios que les gusta a aquellos que dicen siempre: “Todo va bien”.
    El Dios de los que pretenden que el cura rocíe con agua bendita los sepulcros blanqueados de sus juegos sucios,
    el Dios que predican los curas que creen que el infierno está abarrotado y el cielo casi vacío,
    el Dios de los curas que pretenden que se puede criticar de todo y de todos menos de ellos,
    el Dios de los curas burgueses, el Dios que dé por buena la guerra, el Dios que ponga la ley por encima de la conciencia, el Dios que fundase una Iglesia estática, inmovilista, incapaz de purificarse, de perfeccionarse y de evolucionar,
    el Dios de los curas que tienen respuestas prefabricadas para todo.
    El Dios que negase al hombre la libertad de pecar,
    el Dios que no siga ironizando sobre los nuevos fariseos de la historia,
    el Dios a quien le falte perdón para algún pecado,
    el Dios que prefiera a los ricos y poderosos, el Dios que “cause” el cáncer o “haga” estéril a la mujer,
    el Dios a quien sólo se le puede rezar de rodillas, a quien sólo se le puede encontrar en la Iglesia,
    el Dios que aceptase y diese por bueno todo lo que los curas decimos de él,
    el Dios que no salvase a quienes no le han conocido pero le han deseado y buscado, el Dios que “lleva” al infierno al niño después de su primer pecado,
    el Dios que no permitiese al hombre la posibilidad de poder condenarse,
    el Dios para quien el hombre no fuera la medida de todo lo creado,
    el Dios que no saliera al encuentro de quien le ha abandonado,
    el Dios incapaz de hacer nuevas todas las cosas,
    el Dios que no tuviera una palabra distinta, personal, propia para cada individuo,
    el Dios que nunca hubiera llorado por los hombres,
    el Dios que no fuera la luz, el Dios que prefiera la pureza al amor,
    el Dios insensible ante una rosa,
    el Dios que no pueda descubrirse en los ojos de un niño o de una mujer bonita o de una madre que llora,
    el Dios que no esté presente donde los hombres se aman,
    el Dios que se case con la política,
    el Dios que no se revele alguna vez a quien le desee honestamente,
    el Dios que destruyese la tierra y las cosas que el hombre ama en vez de transformarlas,
    el Dios que no tuviera misterios, que no fuera más grande que nosotros, el Dios que para hacernos felices nos ofreciera una felicidad divorciada de nuestra naturaleza humana,
    el Dios que aniquilara para siempre nuestra carne en vez de resucitarla,
    el Dios para quien los hombres valieran no por lo que son sino por lo que tienen o por lo que representan,
    el Dios que aceptara por amigo a quien pasa por la tierra sin hacer feliz a nadie,
    el Dios que no poseyera la generosidad del sol que besa cuanto toca, las flores y el estiércol,
    el Dios incapaz de divinizar al hombre, sentándole a su mesa y dándole parte en su herencia,
    el Dios que no supiera ofrecer un paraíso donde todos nos sintamos hermanos de verdad y donde la luz no venga sólo del sol y de las estrellas sino sobre todo de los hombres que aman,
    el Dios que no fuese amor y que no supiera transformar en amor cuanto toca,
    el Dios que al abrazar al hombre ya aquí en la tierra no supiera comunicarle el gusto y la felicidad de todos los amores humanos juntos,
    el Dios incapaz de enamorar al hombre, el Dios que no se hubiera hecho verdadero hombre con todas sus consecuencias,
    el Dios que no hubiera nacido milagrosamente del vientre de una mujer,
    el Dios que no hubiese regalado a los hombres hasta su misma madre,
    el Dios en el que yo no pueda esperar contra toda esperanza.

Sí, mi Dios es el otro Dios.

1-Elena Maya Akisada Nocent156

CRISTO CONTEMPORANEO NEL PENSIERO DI GIULIO BEVILACQUA

giulio bevilacqua

Sono tra coloro che  hanno avuto la fortuna di sentire più d’una volta la viva voce di Padre Giulio Bevilacqua nelle chiesa della Pace a Brescia, quando ero ancora adolescente, (solitamente nella solenne liturgia di ogni venerdì santo). Crescendo, ho potuto prendere in mano e riflettere anche su alcuni dei suoi scritti e ne sono rimasto influenzato e segnato per tutta la vita.

Ci sono alcune parole che ho perfino memorizzato:

  • Cristo, o è contemporaneo o cessa di essere Cristo, cioè salvatore”.
  • Piangete, perché è umano, ma guardate a Cristo che è risurrezione e vita”.

A Brescia, Padre dell’Oratorio della Pace, Parroco di S. Antonio, chiesa di periferia, di gente operaia e Cardinale-Parroco di Santa Romana Chiesa, il suo “vecchio cuore sempre in pace e sempre in tempesta”, ha cessato di battere il 6 Maggio 1965.

Questa imponente figura di prete e di pastore non ha cessato di stimolare il Popolo di Dio con la sua lucida e coerente testimonianza di fede e di carità cristiana, da uomo fortemente radicato nel Cristo e costantemente concentrato sulla Sua persona.

Rivolgendogli un indirizzo di augurio in occasione del suo ottantesimo compleanno (1961), l’allora Cardinale di Milano Monsignor Giovanni Battista Montini concludeva su Humanitas: “Sì, caro Padre, l’abbiamo capito: Cristo solo, Cristo vivo!“.

Cristo - Paul lodel

P. Giulio Cittadini, suo confratello, prete dell’Oratorio, in ricorrenza del XXV della sua morte, ci ha offerto una preziosa testimonianza che ce lo restituisce vivo, attuale: 

Ecco: Cristo vivo! Ma quale Cristo è vivo? Il Cristo attuale, risponde Bevilacqua, il Cristo presente, contemporaneo, il Cristo che interpella il nostro tempo; non il Cristo – diceva con una delle sue caratteristiche e sconcertanti metafore – “oggetto” – testualmente! – “da frigidaire”.

Non che Bevilacqua, è chiaro, intendesse ignorare il Cristo di sempre, “di ieri, di oggi e di domani; che era, che è e che viene” e neanche la teologia della fede, per la quale questa è memoria del Cristo già venuto, discernimento del Cristo presente e profezia del Cristo che tornerà (“Sperandarum substantia rerum“).

Ma la controprova che il Cristo da noi predicato è il Cristo vero e autentico sta nella sua attitudine a entrare in colloquio e a inquietare, contestandolo, il nostro tempo. Il Cristo vero, per Bevilacqua, il Cristo vivo è quello che passa per le nostre strade asfaltate, che si ferma a dialogare proprio con noi, usando le nostre parole, che ci capisce e si fa da noi capire, magari proprio per metterci, come si suol dire, con le spalle al muro.

Da qui la necessità nostra, di noi che vogliamo essere testimoni di questo Cristo vivo, di assumere pienamente la fatica di capire il nostro tempo, di entrare nel suo linguaggio, nelle sue contraddizioni e all’interno di queste inserire il perenne, immutabile annuncio evangelico.

Sterili pertanto per Bevilacqua i lamenti di chi dice: la gente non ci capisce più, non capisce più il nostro linguaggio, parliamo lingue differenti.

Paolo VI, che, come tutti sappiamo, era stato discepolo di Padre Bevilacqua, denuncerà nella sua esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” la frattura esistente tra fede e cultura come uno dei drammi del nostro tempo.

Paolo VI durante il ConcilioMa come rimediarvi? Paolo VI a questo punto ricorda, di Bevilacqua, le ore quotidianamente passate al tavolino, occupato con i suoi autori preferiti, specialmente i francesi (Blondel, Bergson, Mounier, Maritain, Teilhard de Chardin) con i quali discuteva, è proprio il caso di dirlo viste tutte le sottolineature e le annotazioni apposte sui loro libri, discuteva il “caso serio“, Cristo. Egli amava certamente questi grandi autori, questi maestri, che gli insegnavano a comprendere quell’uomo al quale poi lui avrebbe dovuto rivolgere la sua accesa e comprensibile parola di fede, ma, non è quasi neanche il caso di ripeterlo, amare non equivale a cedere, a entrare nei ranghi.

Sul Cristo non erano possibili compromessi. Tre, quattro ore di studio ogni giorno non lo fecero mai diventare né libresco né pedante. Prima di tutto perché, come ho già detto, c’era sempre di mezzo il Cristo, da discutere, da capire meglio, con sempre maggiore purezza e pienezza. E poi Bevilacqua le sue idee finiva sempre col viverle tra la gente, confrontarle con la storia, con gli avvenimenti, dibatterle fino in fondo, sempre mirando, al di là delle stesse idee, alla difesa dell’uomo, della sua dignità e libertà.

Il Card. Silvestrini, nella sua commemorazione tenuta alla Pace nel maggio scorso, ha ricordato una testimonianza sul Bevilacqua datata dalla prima guerra mondiale. Un suo compagno di prigionia in Boemia lasciò scritto: “Solo due cose contano per Bevilacqua: Cristo e la realtà. E bisogna farle incontrare“. Farò un esempio per illustrare ciò che sto cercando di dire. Nella sua polemica antifascista padre Bevilacqua scrisse la frase che rimarrà forse la più celebre di tutte: “Le idee valgono non per ciò che rendono ma per ciò che costano“. Ora, io sono d’accordo con chi ha osservato che tale frase non si può erigere ad assioma etico generalmente valido. Ma era invece proprio nel realismo della situazione in cui la polemica aveva luogo che tale frase rivelava il suo vero senso e la sua grande forza di richiamo morale.

Cristo, dunque, e la realtà, e bisogna farle incontrare“, non certo accomodando il Cristo né benedicendo storicisticamente ciò che avviene, ma cercando il Cristo vero e proponendolo alla coscienza dell’uomo, accettando il linguaggio di quest’ultimo e rispondendo alle sue attese e inquietudini più autentiche. Quanti “equivoci” fra Cristo e l’uomo contemporaneo potrebbero venir dissipati mediante una maggior comprensione reciproca, con uno scavo più profondo! “Cristo e la realtà”: per questo principio ideale padre Bevilacqua fu combattente nella prima guerra mondiale, cappellano di marina nella seconda, avversario irriducibile del fascismo e di ogni altra dittatura, parroco di periferia… Per portare “luce nelle tenebre“, speranza nella disperazione, presenza di Cristo in tutte le sofferenze umane.

Dal Cristo presente a quello che verrà. La fedeltà al Cristo presente come condizione per la fedeltà verso il Cristo non ancora raggiunto… Come non ricordare qui la sua omelia nel primo e unico pontificale che celebrò da Cardinale nel nostro duomo di Brescia?

  • Il cieco di Gerico!
  • Che cosa è un Cardinale? si chiese.
  • Un cieco, rispose.
  • Un cieco alla ricerca della luce,
  • un cieco che vuole vedere,
  • che grida verso il Cristo.

Da qui il suo rapporto con la verità. La verità è ciò che l’uomo ricerca, che non possiede mai, in questa vita, in modo assoluto e totalmente pieno. Ma niente esalta di più il valore della luce che l’essere cieco e non potersene servire per vedere ciò che pure esiste. Inquietum est cor nostrum.

La fede non è stasi né appagamento. Agostinianamente, è continua e sempre più avida ricerca, consapevolezza dei propri limiti nell’ansia invincibile di superarli.

Da qui una profonda umiltà. Il Cristo è, sì, presente, in mezzo a noi, ma noi non l’abbiamo ancora conosciuto del tutto. E nel nostro futuro perché la nostra conoscenza di lui e soprattutto il nostro esaudimento del suo comandamento sono ancora troppo imperfetti.

Giulio BevilacquaNon che Bevilacqua mancasse di riconoscenza a Dio per le certezze di fede e per il dono delle verità che non poteva non cogliere dentro di sé come grazia e raggiungimento. Anima profondamente religiosa, avvertiva tuttavia con un senso di timore la presenza del mistero. Dio è mistero. Ciò che di Lui possiamo sapere è sempre all’interno di quel molto di più che non possiamo sapere; ciò che di Lui possiamo dire ha senso e valore solo sullo sfondo di ciò che di Lui è indicibile e di cui pertanto si deve tacere. La teologia come discorso fatto nel silenzio, che orienta verso un Dio forse più raggiungibile attraverso le vie dell’esperienza, della carità fraterna: “Hai dato da mangiare all’affamato? L’hai dato a me!”.

Una parola ancora sul suo grande amore verso la Chiesa.

  • Come avrebbe potuto non amare la Chiesa di Cristo?
  • La sua sposa, il corpo di cui Egli è il Capo?
  • Non era stata lei, la Chiesa ad annunciargli il Cristo, a battezzarlo nella sua morte e risurrezione, non era essa che lo nutriva costantemente di Lui nella S. Eucaristia?
  • Non era in essa e per essa che egli poteva annunciare e comunicare il Cristo alle anime?

Il suo amore era autentico, non fideistico, non ad occhi chiusi, non genericamente apologetico. Era un amore solidale e corresponsabile. Come ogni vero amore, era un amore sofferente… Della Chiesa vedeva, accanto a tutte le ricchezze di cui gioiva, anche tante “piaghe”: inadempienze, compromessi, ritardi…

Era comunque, il suo, un amore sempre fedele anche se mai rinunciatario. Amando così la Chiesa, amava moltissimo ciò di cui la Chiesa si serve per annunciare e comunicare il Cristo: la Liturgia, come linguaggio fatto di parole e di segni.

Nella sua omelia tenuta alla Pace durante la S. Messa commemorativa, il nostro Vescovo ha voluto ricordare che Bevilacqua “fu uno dei primi in Italia a capire l’importanza della Liturgia, al centro della quale vide sempre il mistero pasquale, sintesi del cristianesimo. Da qui la particolare cura nel preparare le celebrazioni liturgiche della settimana santa“.

All’interno della Chiesa, la sua devozione verso Maria era tenera e forte nello stesso tempo, sempre biblica e cristocentrica. Maria, la madre di Cristo, beata perché ha creduto, che nella sua immensa fede generò il figlio di Dio nella sua mente prima ancora che nel suo corpo verginale… Fu sempre molto deciso contro forme di devozionismo fuorvianti che staccavano la Madre di Dio dal Cristo e quindi dall’uomo e dalla sua storia.

Un ultimo punto di meditazione. Se mi si chiedesse: quale fu la virtù precipua di padre Bevilacqua? Ecco, direi che la virtù, da cui io mi sento da lui più fortemente richiamato, è stata la povertà.

Aveva capito che per seguire Cristo bisognava vendere tutto e darlo ai poveri. Contro il dio mammona tuonava con la forza e l’insistenza del Vangelo. O il Dio di Cristo o il mammona di iniquità…

Laureato in scienze sociali a Lovanio, si era ridotto da parroco a non saper distinguere una tratta da un assegno, a invitare dal pulpito a venire da lui per ritirare un orologio da polso dimenticato (“ma chi l’ha perso dovrà descrivermelo!”). L’orologio poi risultò essere suo. Per quanto mi consta, non lasciò in eredità che qualche banconota lasciata qua e là nei suoi libri come segna pagina. Dava generosamente ai poveri ma sapeva anche spendere molto per abbellire la chiesa (le sue due chiese: prima la Pace, poi S. Antonio). Le suppellettili della chiesa le vedeva come strumenti del suo linguaggio liturgico e in quanto tali le amava moltissimo. Appena terminata la guerra, ricordandosi che provenivo dalle fila della Resistenza, mi ordinò di pernottare in chiesa per fare guardia ai nostri stupendi candelieri d’argento, capolavoro del Grossi, esposti in occasione del Natale.

Tuonava contro i templi del dio mammona, le banche, in modo anche un po’ avventato, così da far letteralmente arrabbiare il suo confratello padre Marcolini (ma nel mondo filippino è lecito, anzi fisiologico, essere diversi) il quale padre Marcolini sapeva invece servirsi molto bene delle realtà economiche, per dare corpo ai suoi progetti di case e villaggi per la povera gente. [ndr. Anche di Padre Marcolini ho la fisionomia impressa nelle pupille].

Ma la povertà di Bevilacqua aveva radici molto profonde, era un distacco interiore da tutto ciò che è soltanto relativo e penultimo, così da aggrapparsi all’unica vera e irrinunciabile ricchezza che è Cristo, come lo scalatore si aggrappa alla nuda roccia per salire verso la vetta. Da buon alpino, egli si serviva spesso di questa metafora, mediante la quale esprimeva la sua convinzione più radicale, che cioè l’uomo è povero di tante cose, ma anche e soprattutto di Cristo. Andare incontro a questa povertà, cercare di sollevare l’uomo da tale miseria facendosi tutto a tutti” egli, Bevilacqua, lo riteneva come l’opera di misericordia più urgente, come il primo servizio di carità affidato ai credenti.

In questi giorni pasquali ho preso in mano le sue prediche sul tempo di Passione. Così si concludeva la sua prima, citando Sant’Agostino:

Cantimo, fratelli, non per rendere affascinanti i nostri riposi, ma per alleggerire la nostra fatica. Cantate come cantano i viaggiatori, senza cessare di progredire. Cantate, ma camminate.

E, durante il suo unico pontificale nella cattedrale di Brescia, così concludeva l’omelia:

Questa meravigliosa cerimonia nella cattedrale non mi faccia mai dimenticare che sono un cieco che ha bisogno di luce, perché sarei un traditore se non diventassi ancora più servitore del mio popolo fino alla morte e, se Dio vorrà, alla morte di croce.

Grazie, Padre Bevilacqua.

Card. Gilio Bevilacqua

PASQUA DI RISURREZIONE – Fernando Armellini / Angelo Nocent

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“VI PRECEDE IN GALILEA”

Di Angelo Nocent

La risurrezione di Gesù è il CUORE della nostra fede e della nostra speranza.

Gesù è vivo non come è vivo un maestro nel cuore dei discepoli. Gesù è veramente risorto. La prima pasqua cristiana, sperimentata da due donne, Maria di Magdala e l’altra Maria, è questa:  

  • Voi non abbiate paura!
  • – So che cercate Gesù, il crocifisso.
  • – Non è qui.
  • – E’ risorto, infatti,
  • come aveva detto;
  • – venite,
  • – guardate il luogo dove era stato deposto.
  • Presto, andate a dire ai suoi discepoli:
  • – “E’ risorto dai morti,
  • – ed ecco, vi precede in Galiea;
  • – là lo vedrete”.
  • – Ecco, io ve l’ho detto” (Mt 28, 5-7).

 E' RISORTO COME AVEVA DETTO...

Un telegramma, un fax, un’ e-mail…per coloro [di ogni tempo] che, delusi, di Lui cercano la tomba…o si recano nei cimiteri…”NON E’ QUI. E’ RISORTO, INFATTI, COME AVEVA DETTO”.

Ogni volta che devo abbandonare il sepolcro, lo faccio sempre contimore e gioia”, per via di quelgià e non ancora”.

L’angelo aveva detto alle donne di portare l’annuncio ai suoi discepoli.

  • “Le donne, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande,
  • – corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli”.

In questo stato di frenesia e agitazione, c’è un imprevisto, una  sorpresa:

Gesù - Le mani del Crocifisso RisortoEd ecco, GESU’ venne loro incontro e disse:

Salute a voi!”.

Quella paura che permane di generazione in generazione, è lo sbigottimento di fronte al soprannaturale. Per questo, insieme con la paura, si trova anche la gioia. Il saluto di Gesù è proprio un invito rasserenante, una parola terapeutica che mette sotto controllo l’ansia, l’agitazione, per fare spazio a una gioia serena.

Se accade anche a noi come a loro, le cose da fare non sono molte, basta mettere in moto tre movimenti, assumere questo atteggiamento:

  • Ed esse si avvicinarono.
  • Gli baciarono i piedi
  • e lo adorarono” (v. 9).

Questa sembra essere la condizione che, di generazione in generazione, viene rinnovata, per ricevere da Lui il mandato di dare la notizia ai suoi discepoli, che chiama suoi fratelli: “Allora Gesù disse loro:

  • “Non temete;
  • andate ad annunciare ai miei fratelli
  • che vadano i Galilea:
  • là mi vedranno (v. 10)

Il ripetuto “non temete”, è quel vedere lontano di Gesù, ossia a noi, così facili a farci travolgere e sopraffare dal panico, incapaci di consegnarci, come lui, nelle mani del Padre.

Nell’invito di Paolo a cercare “le cose di lassù”, non ci viene detto che le cose della terra (la nostra parte corporea, gli impegni del mondo) devono essere abbandonati, quasi invito alla solitudine. Cose della terra sono altre:

  • – i valori illusori,
  • – egoistici,
  • – distruttori,
  • – l’istinto del possesso che si trasforma in idolatria,
  • – le divisioni che oppongono l’uomo all’uomo, popolo a popolo.

GR - Globuli Rossi companyNessuno è estraneo alla PACE che il Risorto oggi diffonde. Lui ci precede sempre, anche quando ci manda: “Andate…guarite…annunciate”.

Noi, per quanto povere schiene a disposizione di Dio, siamo sempre in compagnia del Figlio risorto, nostro fratello primogenito, con il sostegno dello Spirito vivificatore. Ed è quanto ci basta. 

1-Elen Maya Akisada Nocent - Anniversario1

LA FEDE E’ QUELLO SGUARDO CHE SA ANDARE OLTRE …Elena Maya Akisada Nocent

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“VI PRECEDE IN GALILEA”

“Là mi vedranno”

SI RIPARTE DA LI’ 

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ECCO L’UOMO – “ERA FUORI DI SE’…” – Alcune emozioni di Gesù – + Carlo Redaelli

Tentazioni di Gesù

ECCO L’UOMO
Sequeri

Nella memoria di questa passione
noi ti chiediamo perdono, Signore
per ogni volta che abbiamo lasciato
il tuo fratello morire da solo.

Rit. Noi Ti preghiamo
Uomo della croce
Figlio e fratello
noi speriamo in Te (2v.)

Nella memoria di questa tua morte,
noi ti chiediamo coraggio, Signore
per ogni volta che il dono d’amore
ci chiederà di soffrire da soli.

Nella memoria dell’ultima Cena
noi spezzeremo di nuovo il tuo Pane
ed ogni volta il tuo Corpo donato
sarà la nostra speranza di vita.

I LAICI CRISTIANI POSSONO DOVE NON ARRIVANO I PRETI – Raniero Cantalamessa

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Padre Cantalamessa: nel mondo secolarizzato i laici cristiani arrivano col Vangelo dove non riescono i preti

Non si può prescindere oggi dai laici cristiani, dalle famiglie soprattutto, nell’azione evangelizzatrice della Chiesa. Lo ha affermato padre Raniero Cantalamessa, che ha concluso questa mattina in Vaticano il ciclo delle prediche di Avvento tenute al Papa e alla Curia Romana. Nella quarta meditazione, il predicatore pontificio ha riconosciuto ai fedeli laici un ruolo spesso più “decisivo” del clero nel diffondere il Vangelo in contesti secolarizzati.

Il servizio di Alessandro De Carolis: ATTIVA AUDIO   RealAudioMP3 

È il “quarto mondo” quello a cui padre Cantalamessa dedica l’ultima riflessione: il quarto mondo secondo la sua ricostruzione delle “ondate evangelizzatrici” che hanno caratterizzato i duemila anni di storia della Chiesa. Dopo i vescovi protagonisti dell’annuncio di Cristo nel mondo greco-romano, i monaci in quello barbarico, i frati nel Nuovo mondo americano, padre Cantalamessa si è soffermato sui fedeli laici e la loro capacità di incidere nel mondo secolarizzato “post-cristiano”. Certo, ha riconosciuto il predicatore pontificio, non ci si può presentare a un uomo che ha “smarrito ogni contatto con la Chiesa e non sa più chi è Gesù” e imporgli venti secoli di dottrina e tradizione. E inoltre, se “non si può cambiare l’essenziale dell’annuncio”, si “può e deve cambiare il modo di presentarlo”, compiendo uno sforzo di “creatività”:

“Abbiamo un alleato in questo sforzo: il fallimento di tutti i tentativi fatti dal mondo secolarizzato per sostituire il kerygma cristiano con altri ‘gridi’ e altri ‘manifesti’. Io porto spesso l’esempio del celebre dipinto del pittore norvegese Edvard Munch, intitolato ‘L’urlo’ (…) È un grido di angoscia, un grido vuoto, senza parole, solo suono. Mi sembra la descrizione più efficace della situazione dell’uomo moderno che, avendo dimenticato il grido pieno di contenuto che è il kerygma, si ritrova a dovere urlare a vuoto la propria angoscia esistenziale”.

Con il Vangelo, invece, è possibile sempre ripartire da un annuncio autentico, vitale, che non è, ha osservato padre Cantalamessa, né “finzione mentale”, né una “operazione di archeologia”, grazie alla “reale” contemporaneità di Cristo che vive tra gli uomini oggi, come duemila anni fa, grazie all’Eucaristia. Dunque, accanto ai ministri dell’Ostia, il Vaticano II ha fatto riscoprire il protagonismo dei laici nell’evangelizzazione. Questi ultimi, e soprattutto le famiglie, posseggono – ha detto il religioso – una potenzialità simile al processo di fissione dell’atomo, che rende li rende sul piano spirituale “una specie di energia nucleare della Chiesa”:

“Essi non più sono semplici collaboratori chiamati a dare il loro contributo professionale, il loro tempo e le loro risorse; sono portatori di carismi, con i quali, dice la Lumen gentium, ‘sono resi adatti e pronti ad assumersi opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa’”.

I laici, ha ripetuto padre Cantalamessa, sono quelli che possono andare alla ricerca dei lontani molto più dei pastori per i quali è più facile “nutrire con la parola e i Sacramenti quelli che vengono in Chiesa:

“La parabola della pecorella smarrita si presenta oggi rovesciata: novantanove pecore si sono allontanate e una è rimasta all’ovile. Il pericolo è di passare tutto il tempo a nutrire quell’unica rimasta e non avere tempo, anche per la scarsità del clero, di andare alla ricerca delle smarrite. In questo l’apporto dei laici si rivela provvidenziale. di Dio per i nostri tempi La realizzazione più avanzata in questo senso sono i movimenti ecclesiali. Il loro contributo specifico all’evangelizzazione è di offrire agli adulti un’occasione per riscoprire il loro battesimo e diventare membri attivi e impegnati della Chiesa”.

E un’arma per farsi largo nel mondo dell’eclissi di Dio, dominato da scientismo e razionalismo – ha proseguito il predicatore pontificio, riecheggiando le parole di ieri del Papa – è l’arma della “gioia”:

“La testimonianza più credibile che tutti, venerabili padri e fratelli, clero e laici, giovani e anziani, possiamo dare al Vangelo è la gioia. Mostrare che Cristo è stato capace di riempire di gioia e di pace le nostra vita. La parola evangelizzare fa la sua comparsa, nella Scrittura, nella notte di Natale; il suo contenuto è la gioia: ‘Vi annuncio una grande gioia’, ‘Evangelizo vobis gaudium magnum’, disse l’angelo ai pastori. E questo è un linguaggio che tutti capiscono”.

L’ultimo spunto, padre Cantalamessa lo ha riservato al Natale, con una domanda che scava nella coscienza e che già molti secoli fa Origene, Sant’Agostino, San Bernardo si erano posti:

“Che giova a me che Cristo sia nato una volta a Betlemme da Maria, se non nasce di nuovo per fede nel mio cuore?”.

 http://it.radiovaticana.va/news/2011/12/23/padre_cantalamessa:_nel_mondo_secolarizzato_i_laici_cristiani_arrivano/it1-548859 

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CRESIMANDI – CREMA 6 MARZO 2014

 

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Chiamata di Levi

[13]Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. [14]Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi».

Egli, alzatosi, lo seguì.

Pasto con i peccatori

[15]Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. [16]Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?». [17]Avendo udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori».

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ANDATE PER LA STRADE


Andate per le strade in tutto il mondo,
chiamate i miei amici per far festa:
c’è un posto per ciascuno alla mia mensa.

.
Nel vostro cammino annunciate il Vangelo,
dicendo: “E’ vicino il Regno dei cieli”.
Guarite i malati, mondate i lebbrosi,
rendete la vita a chi l’ha perduta.

.

Vi è stato donato con amore gratuito:
ugualmente donate con gioia e per amore.
Con voi non prendete ne oro né argento.
perché l’operaio ha diritto al suo cibo.

.

Entrando in una casa, donatele la pace.

Se c’è chi vi rifiuta e non accoglie il dono,

la pace torni a voi e uscite dalla casa

scuotendo la polvere dai vostri calzari.

.

Ecco, io vi mando, agnelli in mezzo ai lupi:

siate dunque avveduti come sono i serpenti

ma liberi e chiari come le colombe

dovrete sopportare prigioni e tribunali.

.

Nessuno è più grande del proprio maestro

né il servo è più importante del suo padrone.

Se hanno odiato me odieranno anche voi.

Ma voi non temete io non vi lascio soli.

.

 

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MONTE CREMASCO E DINTORNI: CERCANSI MUSICANTI PER DIO

1-_Scan10583Il santo re Davide salmista

Cercansi Musicanti per Dio !

Si racconta che quando Davide

ebbe finito il libro dei salmi,

si sentì molto orgoglioso. 

Egli disse a Dio:

Padrone del mondo,

chi fra tutti gli esseri che hai creato

canta più di me la Tua gloria? 

In quel momento

sopraggiunse una rana

che gli disse:
Davide, non inorgoglirti !

Io canto più di te in onore di Dio. 

(Sefer ha-Haggadah 89b) 

Venite a sfondare

le porte della paura !

RanaInteressante è la rielaborazione poetica del salmo 150 compiuta da Ernesto Cardenal nei suoi “salmi degli oppressi”:

SALMO 150 attualizzato

 
Lodatelo con flauti e violini
Lodate il Signore nel cosmo
                            suo santuario
dal raggio di centomila milioni di anni luce
Lodatelo per le stelle
                     e gli spazi inter-stellari
lodatelo per le galassie
                    e gli spazi inter-galattici
lodatelo per gli atomi
                    e i vuoti inter-atomici
Lodatelo con il flauto e il violino
                      e con il sassofono
lodatelo con i clarinetti e il corno
                      con clarini e tromboni
                      con cornette e trombette
lodatelo con viole e violoncelli
              con piani  e pianole
lodatelo con blues e jazz
          e con orchestre sinfoniche
con spirituals negri
                          e con la quinta di Beethoven
      con chitarre e marimbe
    lodatelo con giradischi
                        e nastri magnetici
Tutto ciò che respira lodi il Signore ogni cellula viva
                                     Alleluia!
 
(tratto da: Ernesto Cardenal, 
Grido. Salmi degli oppressi, Cittadella editrice, Assisi, p.69)

 

Possiamo lasciarci battere dai ranocchi?


Perché non proviamo a mettere a disposizione della comunità, 

  • fantasia,
  • arte,
  • strumenti,
  • voce,
  • mani,
  • danza,
  • colori…

 dando vita a una “GLOBULI ROSSI Company” che risollevi il morale della gente in tempi così difficili, con trasfusioni di calore, ottimismo e speranza? 

GLORY, GLORY,

ALLELUIA !

Contatti:

nocent.angelo@gmail.com

Venite a suonare

l’ora del risveglio!

Monte Cremasco

Venite a danzare

la voglia di vivere !

Globuli Rossi company

1-SAM_5353

Facciamo risuonare nel territorio parole che risanano il cuore!

Venite a cantare

la gioia della fede!

Scannabue territorio

Ragazze, ragazzi,

venite ad annuncirare

CHE

DIO CI AMA !

/

Gesù e i discepoli 02

MONTE CREMASCO E “LE PERIFERIE ESISTENZIALI” – Angelo Nocent

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Monte Cremasco – 7 Aprile 2014 – SALA PARROCCHIALE. 

Incontro per una proposta di missionarietà nella Chiesa locale con attenzione privilegiata alle PERIFERIE ESISTENZIALI

Gli invitati sono una decina. Tempo a disposizione : un’ora che equivale a sei minuti a testa per intervenire sulla proposta di aprire la Parrocchia alla missione, sollecitati dalle ripetute provocazioni di Papa Francesco che mostra di avere un cuore aperto sulle molte ferite delle famiglie e lancia forti appelli ai sacerdoti, ai credenti e ai responsabili della vita pubblica perché la famiglia sia al centro della cura, dell’accoglienza misericordiosa ma anche delle concrete scelte politiche.

FamigliaNel messaggio alle “settimane sociali” il papa scrive che la famiglia «è ben più che un tema: è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e con i valori morali fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto, speranza, futuro. Tutto questo, che la comunità cristiana vive nella luce della fede, della speranza e della carità, non è mai tenuto per sé, ma diventa ogni giorno lievito nella pasta dell’intera società, per il suo maggior bene comune». 

E dal balcone dell’Angelus, il 15 settembre 2013 aveva detto: «Se nel nostro cuore non c’è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti, perché è l’amore che salva, non la sola pratica dei precetti. È l’amore per Dio e per il prossimo che dà compimento a tutti i comandamenti». 

Con i sacerdoti è molto esplicito: L’accoglienza − in riferimento alle coppie conviventi – è da esercitare nella verità. «Dire sempre la verità», sapendo che «la verità non si esaurisce nella definizione dogmatica», ma si inserisce «nell’amore e nella pienezza di Dio». Il prete deve, quindi, «accompagnare». Basti pensare, afferma Francesco, ai discepoli di Emmaus, a come «il Signore li ha accompagnati e ha riscaldato loro il cuore».

Papa Francesco invita i suoi preti a intraprendere «strade coraggiosamente creative». E cita esempi vissuti a Buenos Aires, come l’apertura di alcune chiese per tutta la giornata con la disponibilità di un confessore o l’avvio di “corsi personalizzati” per le coppie che intendono sposarsi, ma non possono frequentare i corsi prematrimoniali, perché lavorano fino a tardi.

Cenacolo

Restano prioritarie le «periferie esistenziali», che sono anche «quelle delle famiglie», di cui ha parlato più volte Benedetto XVI, compreso il tema delle seconde nozze. Il nostro compito, dice, è «trovare un’altra strada, nella giustizia».

Ma è alla veglia di Pentecoste che il Papa lancia un forte appello: “Una Chiesa per le periferie esistenziali”. E, che sia ripieno di Spirito profetico, lo si avverte nei successivi passaggi: “Vivere il Vangelo è il principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico né una struttura ben organizzata né una ong”.

La Chiesa, piuttosto, è chiamata ad essere lievito, con amore fraterno, solidarietà e condivisione”. La crisi attuale non è solo “economica” o “culturale”: “È in crisi l’uomo come immagine di Dio; è, perciò, una crisi profonda”. Guai, allora, a “chiuderci in noi”, in parrocchia o nel nostro gruppo. “Quando la Chiesa è chiusa, si ammala. La Chiesa deve uscire verso le periferie esistenziali”.

Poi il Pontefice avverte che bisogna anche fare attenzione a “non chiudere dentro Gesù e a non farlo uscire”. Oggi, ha aggiunto, “viviamo in una cultura dello scontro, della frammentarietà, dello scarto”. E così, purtroppo, “non fa notizia quando muore un barbone per il freddo”. Eppure “la povertà è una categoria teologale perché il Figlio di Dio si è abbassato per camminare per le strade”. Attraverso i poveri “tocchiamo la carne di Cristo”.

Papa Francesco lavanda dei piediUn momento toccante è questo: “Gesù è la cosa più importante. Perciò, vorrei farvi un piccolo rimprovero, fraternamente. Non gridate più: Francesco, Francesco, ma Gesù, Gesù”.

Poi il Papa, dopo Gesù, evidenzia una seconda parola: “preghiera”: “Dobbiamo guardare il volto di Dio, ma soprattutto sentirci guardati”, ha osservato. Ed è importante “lasciarci guidare da Lui”. Così “siamo veri evangelizzatori”. Dobbiamo, quindi, mettere da parte “piani e strategie”, che sono secondari. “La testimonianza che dobbiamo offrire – ha spiegato– non deve essere fatta con le nostre idee, ma con il Vangelo nella nostra vita”. Si tratta di “una sinergia tra noi e lo Spirito Santo”.

Ed ancora: “Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, ma poi scopriamo che è Lui che ci sta aspettando”. “Con stupore scopriamo questo – ha aggiunto – e ciò aumenta la nostra fede”.

Poi evidenzia un pericolo: “il maggior nemico della fede è la paura”. Ma Francesco tranquillizza tutti: “Se andiamo con il Signore siamo sicuri”.

E lascia due consigli:

  • Non essere troppo sicuri in noi stessi, perché così diventiamo più fragili
  • e “pregare il rosario tutti i giorni”.

1-Monte Cremasco Chiesa e oratorioIeri sera noi abbiamo preso in considerazione solamente il tema forte delle “periferie esistenziali”. Abbiamo provato a disquisire e siamo finiti in uno stato confusionale. Don Roberto è tenace e non si arrende per così poco. E fa bene. Così il discorso verrà ripreso.

Dunque, un’ora sprecata? No: un’ora di grazia. Lo Spirito Santo di Gesù invocato fin dall’inizio, ci ha fatto toccare con mano l’impotenza. Io ho dormito male tutta la notte. Poi, all’alba uno spiraglio di luce che non posso tenere solo per me ma che intendo condividere: la missionarietà parrocchiale può passare solo attraverso un “rinnovamento carismatico”: “Ma riceverete la forza dello Spirito Santo, che sta per scendere su di voi. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria e in tutto il mondo”. (At 1,8) 

Da qui scaturisce il mandato: “Gesù si avvicinò e disse: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Perciò andate, fate che tutti diventino miei discepoli; battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. (Mt 28, 19-20).

Parlo per me: non posso essere testimone di sole idee, per quanto belle o teologiche siano. Non posso essere testimone di Cristo e del suo Spirito se non vivo una reale esperienza della loro influenza nella mia vita.

Il 22 Novembre 1985, nella chiesa del PIME, viale Monte Rosa, di Milano, in un giorno di grazia, sulla pagina bianca di un libretto che mi è stato illuminante e lo è ancora, “L’ORA DELLO SPIRITO SANTO”, ho riportato a mano quell’esperienza che Paolo comunica ai cristiani di Roma (8, 26-27):

Noi sappiamo che fino ad ora tutto il creato soffre e geme come una donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche noi, che già abbiamo le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi figli.

Perché è vero che siamo salvati, ma soltanto nella speranza. E se quel che si spera si vede, non c’è più una speranza, dal momento che nessuno spera ciò che già vede.

Se invece speriamo quel che non vediamo ancora, lo aspettiamo con pazienza.

Allo stesso modo, anche lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché noi non sappiamo neppure come dobbiamo pregare, mentre lo Spirito stesso prega Dio per noi con sospiri che non si possono spiegare a parole.

E Dio, che conosce i nostri cuori, conosce anche le intenzioni dello Spirito che prega per i credenti come Dio desidera”. (Rm, 8, 22-27).

 Isaia profeta

Isaia profeta

 La strada del Signore

  • Il deserto e la terra arida si rallegrino,
  • la steppa fiorisca ed esulti!
  • Si copriranno con fiori di campo,
  • canteranno e grideranno di gioia;
  • diventeranno belli come il Libano,
  • splendidi come il Carmelo
  • e la pianura di Saron.
  •  
  • Tutti vedranno la gloria del Signore,
  • la sua grandezza e la sua potenza.
  • Ridate forza alle braccia stanche
  • e alle ginocchia che vacillano.
  • Dite agli scoraggiati:

“Siate forti, non abbiate timore!

  • Il vostro Dio viene a liberarvi,
  • viene a punire i vostri nemici”.
  •  
  • Allora i ciechi riacquisteranno la vista
  • e i sordi udranno di nuovo.
  • Allora lo zoppo salterà come un cervo,
  • e il muto griderà di gioia.
  • Nel deserto scaturirà una sorgente,
  • e scorreranno fiumi nella steppa.
  • Tra la sabbia bruciata
  • si formerà un lago,
  • e dalla terra secca sprizzeranno
  • sorgenti d’acqua.
  • Dove ora dimora lo sciacallo,
  • cresceranno l’erba, le canne e i giunchi.
  •  
  • Là ci sarà una strada
  • e si chiamerà la “via santa”.
  • Nessun impuro e nessun empio
  • la potrà percorrere.
  • Sarà il Signore ad aprirla.
  • Il leone e le bestie feroci
  • non la renderanno pericolosa.
  •  
  • La percorreranno tutti quelli
  • che il Signore ha liberato.
  • Arriveranno gioiosi al monte Sion:
  • sul loro volto felicità a non finire.
  • Gioia e felicità rimarranno con loro,
  • tristezza e pianto scompariranno. (Is 35, 1-10) 

concilio_vaticano_ii_2Se noi possiamo osare l’impossibile è perché Niente è impossibile a Lui” (Lc 1,37).

  • Paolo dice espressamente che “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1Cor12, 7; cgr 1Cor 14, 2-6; Ef 4,11-16).
  • E il Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium ci dice che lo Spirito Santo “dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa” (n. 12) 

concilio-vaticano secondoTutto fa presagire IL RISVEGLIO DEI CARISMI su Monte Cremasco. E’ lo SPIRITO SANTO che “con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo” (ivi 4).

1-MADONNA DELLE ASSI 30032014

Spirito di Dio scendi su di me.
fondimi, plasmami, riempimi, usami.
Spirito di Dio scendi su di me.

Spirito di Dio scendi su di noi.
fondici, plasmaci, riempici, usaci.
Spirito di Dio scendi su di noi.

1-SAM_5544

Quadro venerato nell’antica chiesa della Madonna delle Assi in Monte Cremasco

Ci impegniamo
Noi e non gli altri
Unicamente noi e non gli altri
Né chi sta in alto né chi sta in basso né chi crede né chi non crede.

Ci impegniamo
senza pretendere che altri si impegnino con noi o per suo conto
come noi o in altro modo.

Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna
senza accusare chi non s’impegna
senza condannare chi non s’impegna
senza cercare perché non s’impegna
senza disimpegnarci perché altri non s’impegnano.
Sappiamo di non poter nulla su alcuno né vogliamo
forzare la mano ad alcuno, devoti come siamo e come intendiamo rimanere
al libero movimento di ogni spirito più che al successo di noi stessi o dei nostri
convincimenti…
Se qualche cosa sentiamo di potere – e lo vogliamo
fermamente – è su di noi, soltanto su di noi.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo
si muta se noi ci mutiamo
si fa nuovo se alcuno si fa nuova creatura
imbarbarisce se scateniamo la belva che è in ognuno di noi.
L’ordine nuovo incomincia se alcuno si sforza di divenire un uomo nuovo.
La primavera incomincia col primo fiore
La notte con la prima stella
Il fiume con la prima goccia d’acqua
L’amore con il primo sogno…

Ci impegniamo
Per trovare un senso alla vita, a questa vita, alla nostra vita.
Una ragione che non sia una delle tanta ragioni che ben conosciamo e che non ci prendano il cuore, un utile che non sia una delle solite trappole generosamente offerte ai giovani dalla gente pratica…

Ci impegniamo
Non per riordinare il mondo
Non per rifarlo su misura ma per amarlo…

Ci impegniamo
Perché noi crediamo nell’amore
La sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perpetuamente.

don Primo MazzolariGlobuli Rossi company1-_Scan10585

 

IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA – Carlo Maria Martini

 13-SAM_5407 - Copia - Copia - Copia - Copia

Preghiera d’inizio 

 

  • Fammi grazia, o Dio, 
  • secondo la tua costante tenerezza. 
  • Nel grande amore delle tue viscere, 
  • nella tua capacità di immedesimarti nella mia situazione,
  • cancella la mia ribellione al tuo ordine.
  • Lavami dalla mia disarmonia; 
  • tirami fuori dal mio smarrimento 
  • in un progetto alternativo. 
  • Oggi ti rallegri di me, mi accogli così come sono. 
  • Rivelati a me perché ti possa conoscere, 
  • fammi accettare gli altri come tu accetti me. 
  • Dammi la forza 
  • e suggerisci cosa posso fare per il loro bene 
  • e per cambiarli in bene. 
  • Tu sai, mi guardi per interrogarmi, 
  • mi metti in discussione e io ascolto il tuo rimprovero.
  • Riconosco la mia colpa, 
  • il mio peccato mi sta sempre davanti. 
  • In quello che ho fatto agli altri e alla natura, 
  • contro di te, contro te solo ho peccato! 
  • Nell’analizzare le mie responsabilità, 
  • non mi deprimo inutilmente ma dialogo con te. 
  • Come è stato possibile fare 
  • quello che è male ai tuoi occhi, al tuo amore? 
  • Eppure l’ho fatto! 
  • Quotidianamente mi chiedo che cosa mi pesa 
  • e mi rende inquieto, 
  • come avrei dovuto diversamente comportarmi.
  • Se tu fossi solo giudice, per me non ci sarebbe scampo, 
  • ma tu sei parte ferita e il tuo giudizio è il perdono. 
  • Il mio dolore nasce da questa sproporzione: 
  • come ho potuto offendere 
  • chi ancora mi contraccambia con la sua amicizia? 
  • E quante volte ti offendo, 
  • trascurando un rapporto con gli altri! 
  • Anch’io, quando mi ritengo leso, 
  • voglio ricambiare con il perdono e l’amicizia.

 (Libera parafrasi del Salmo 51) 

 1-Angelo5

  1. Introduzione

Dopo aver dedicato spazio e tempo alla riflessione sul sacramento della penitenza (o confessione o riconciliazione) entriamo ora nel vivo della sua attuazione: come ci si confessa? Per rispondere a questa domanda riporto (quasi alla lettera) una meravigliosa riflessione del cardinale Carlo Maria Martini (in L’Evangelizzatore in San Luca, Milano, Ancora, 1980, 73-80).

 

  1. Il nostro cammino penitenziale

Carlo Maria Martini -BetlemmeCerchiamo di riflettere sul nostro cammino penitenziale. Una volta si seguiva la pratica della confessione frequente che è un’espressione del cammino penitenziale; questa pratica ha subìto, soprattutto in alcune regioni, un grande calo; conosco paesi e città nelle quali la confessione è diventata molto rara; è sostituita   ogni tanto   da liturgie penitenziali, che, alla fine, risultano certamente più comode di quello che è lo sforzo di una confessione individuale.

Sarebbe troppo lungo parlare della crisi della penitenza già tanto studiata, in questi anni, nella Chiesa e, probabilmente, una delle ragioni della crisi è imputabile anche ad un certo formalismo penitenziale in cui si era caduti. Tutti noi, almeno i più anziani di ministero di confessione, abbiamo avuto l’esperienza di persone che si confessavano molte volte, ma con poco vantaggio, in maniera abitudinaria come succede. Ora si è passati all’eccesso opposto: quando una cosa è divenuta abitudinaria si preferisce lasciarla, invece di approfondirla e di renderla più vera.

Siamo, quindi, ad una svolta incerta di cui non sappiamo l’avvenire. La Chiesa ha però recuperato un senso penitenziale molto più forte di prima, soprattutto per ciò che riguarda la coscienza dei peccati sociali, dell’ingiustizia, del bisogno di fraternità, anche se rimangono temi ancora abbastanza generici. Non vogliamo occuparci tanto di questo ma di quello che è il cammino penitenziale di ciascuno di noi.

Dio giustifica gratuitamente il peccatore e questa è la salvezza che l’uomo continuamente riceve. L’uomo, incapace di amare davvero fino in fondo, è reso capace di amore vero dalla trasformazione dello Spirito che lo purifica.

Se perdiamo questo punto di passaggio – lo Spirito che gratuitamente purifica e rende capace di amore vincendo l’egoismo e la paura della morte – non siamo più capaci di costruire la comunità cristiana, con tutta la buona volontà che abbiamo di instaurare rapporti fraterni fra la gente. La posta in gioco è certamente grave per quanto riguarda il senso della penitenza e del peccato.

  1. Due categorie di penitenti

Che cosa aggiungere, direi a modo di consiglio, per l’esperienza personale nostra? Io distinguerei la nostra esperienza, o meglio l’esperienza della penitenza in due categorie.

Vi sono alcuni per i quali la penitenza intesa nel modo antico, cioè come una confessione breve, frequente, nella quale si costituiscono come una serie di pietre miliari che ci aiutano a essere purificati da tutte le colpe quotidiane e a tenere vivo in noi il senso della gratuità della salvezza, ha ancora un preciso significato. Per chi trova facile questa via, per chi vi è abituato e la porta avanti senza problemi, è una grazia; vuol dire che il Signore lo guida e lo guiderà su questa strada.

Ci sono però, talora, persone che, avendo vissuto l’esperienza del cambio di regime penitenziale, hanno trovato assai più difficile continuare la pratica della confessione regolare; la trovano faticosa, un po’ formale, poco utile, poco stimolante. Vorrei parlare soprattutto per questi: avendo anch’io sperimentato un po’ questo tipo di travaglio, ho cercato di vedere come se ne può uscire.

Mi ha aiutato una considerazione semplice e che sembra paradossale. Mi sono detto: se mi è così faticoso fare la confessione breve, perché non provare a farla più lunga? Un po’ un rovesciamento delle situazioni. Ed è nata l’esperienza (che ho poi confrontato con altre esperienze di gruppi, persone, situazioni, anche in diverse parti del mondo) del colloquio penitenziale che vuole salvare i valori della confessione tradizionale, ma inserendoli in un quadro un po’ più personale. 

  1. Il colloquio penitenziale

Cosa intendo per colloquio penitenziale? Intendo un dialogo fatto con una persona che mi rappresenta la Chiesa, concretamente un sacerdote, nel quale cerco di vivere il momento della riconciliazione in una maniera che sia più ampia di quello che è la confessione breve, che elenca semplicemente le mancanze.

Cerco di descrivervi come questo avviene – il nuovo Ordo paenitentiae ammette questo allargamento:

  • se si può, come suggerisce l’ordo paenitentiae, è meglio ­ cominciare il colloquio con la lettura di una pagina biblica, ad esempio un Salmo, che uno ha cercato perché corrispondente al suo stato d’animo; si recita poi una preghiera, magari spontanea, che mette subito in un’atmosfera di verità. Segue un triplice momento che sinteticamente chiamo: 

  • confessio laudis, 
  • confessio vitae,
  • confessio fidei.

 

Confessio laudis: ripete proprio l’esperienza di Pietro in Luca 5. Pietro, per prima cosa, sperimenta che il Signore è grande, che ha fatto per lui una cosa immensa e lo ha riempito di doni inaspettati. 

Confessio laudis è cominciare questo colloquio penitenziale rispondendo alla domanda: dall’ultima confessione, quali sono le cose per cui sento di dover maggiormente ringraziare Dio? Quelle cose nelle quali sento che Dio mi è stato particolarmente vicino, in cui ho sentito il suo aiuto, la sua presenza? Fare emergere queste cose, cominciare con questa espressione di ringraziamento, di lode, che mette la nostra vita nel giusto quadro.

Segue poi quella che è la confessio vitae. Evidentemente trovo molto giusto quello che si insegnava nella pratica della confessione, di confessarsi cioè secondo i dieci comandamenti o secondo un altro schema, ma per questa confessio vitae io suggerirei – per coloro che hanno una possibilità maggiore di tempo – questa domanda: a partire dall’ultima confessione che cosa è che, soprattutto davanti a Dio, non vorrei che fosse stato? Che cosa mi pesa?

Quindi più che preoccuparsi di far emergere una lista di peccati – che ci potrà anche essere quando sono cose molto gravi e precise perché, allora, emergono da sé – si tratta di vedere le situazioni che abbiamo vissuto e che ci pesano, che non vorremmo che fossero e che proprio per questo mettiamo davanti a Dio per esserne sgravati, per esserne purificati.

Qui la áfesis amartión ha il suo senso proprio: toglierci un peso e un peso potrebbe essere, per esempio, che abbiamo vissuto una certa antipatia senza riuscire a liberarcene e non sappiamo vedere esattamente se ci sia stata colpa o no, ma ha pesato sul nostro animo; oppure abbiamo vissuto una certa fatica nel compiere il bene, una certa pesantezza nell’amare, nel servire che magari è stata poi causa di altri difetti, perché è una radice di fondo. Così mettiamo in luce veramente noi stessi, come ci sentiamo.

  • Che cosa avrei voluto che non fosse avvenuto?
  • Che cosa mi pesa particolarmente ora davanti a Dio?
  • Che cosa vorrei che Dio togliesse da me?

In questo modo è più facile far emergere davvero la persona con le sue situazioni sempre mutevoli, con la sua realtà di peccato spesso non documentabile e che gli altri riconoscono e vedono più di noi, magari criticano e noi non riusciamo a individuare se non in questo modo.

Chiediamo di essere liberati perché la potenza di Dio è per liberare noi, non per liberarci da un punto di vista contabile o moralistico; è per darci spazio, per darci animo, per farci riprendere una nuova spontaneità.

Infine la confessio fidei che è la preparazione immediata a ricevere il suo perdono. È la proclamazione davanti a Dio: Signore, io conosco la mia debolezza, ma so che Tu sei più forte. Credo nella tua potenza sulla mia vita, credo nella tua capacità a salvarmi così come sono adesso. Affido la mia peccaminosità a Te, rischiando tutto, la metto nelle tue, mani e non ne ho più paura.

È necessario, cioè, cercare di vivere l’esperienza di salvezza come esperienza di fiducia, di gioia, come il momento in cui Dio entra nella nostra vita e ci dà la Buona Notizia: «va’ in pace», mi sono preso io carico dei tuoi peccati, della tua peccaminosità, del tuo peso, della tua fatica, della tua poca fede, delle tue interiori sofferenze, dei tuoi crucci. Li ho presi tutti su di me, me li sono caricati perché tu ne sia libero.

  1. Conclusione

Gesù è il mio psicologoEcco uno dei tanti modi: a me sembra che questo tipo di colloquio sia più capace di darci un vero aiuto e l’impressione che ne ricaviamo è di volere ripeterlo volentieri perché ne usciamo un po’ diversi e ci fa del bene.

La confessione non è soltanto un dovere: è un’occasione lieta che si cerca. Anche nelle confessioni ordinarie alle quali è presente tanta gente, a volte vedo che è bello fare questa domanda alle persone che si confessano rapidamente: ma lei ha qualche cosa nella sua vita di cui vorrebbe ringraziare Dio? È una domanda che già mette il colloquio su un piano diverso, non soltanto formale, è già un entrare nella vita di quella persona.

Domande

  • Vivo nella mia vita cristiana il senso delle tre confessio: cioè il ringraziamento, la memoria del peccato, l’abbandono della fede?
  • Sta crescendo, a fronte di queste catechesi, il desiderio di celebrare il sacramento del perdono?

Gesù psicologo

http://www.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/ClaudiaKoll.mp3

Claudia Koll 02

VITA: caso, rischio o vocazione? – Carlo Maria Martini

SEMPRE ATTUALE

LETTERA ALLE FAMIGLIE 

“Vi scrivo per condividere con voi una preoccupazione. Mi sembra di intravedere in molti ragazzi e giovani uno smarrimento verso il futuro, come se nessuno avesse mai detto loro che la loro vita non è un caso o un rischio, ma è una vocazione. 

Ecco, vorrei parlarvi della vocazione dei vostri figli e invitarvi ad aprire loro orizzonti di speranza. Infatti i vostri figli, che voi amate tanto, sono amati ancora prima, e d’amor infinito, da Dio Padre: perciò sono chiamati alla vita alla felicità che il Signore annuncia nel suo Vangelo. 

Dunque il discorso sulla vocazione è per suggerire la strada che porta alla gioia, perché questo è il progetto di Dio su ciascuno: che sia felice. Non dovete dunque temere. il Signore chiama solo per rendere felici. Ecco perché oso disturbarvi. 

Mi sta a cuore la felicità vostra e dei vostri figli. E per questo mi stanno a cuore tutte le possibili scelte di vita: 

  • il matrimonio e la vita consacrata,
  • la dedizione al ministero del prete e del diacono,

  • l’assunzione della professione come una missione… 

Tutte possono essere un modo di vivere la vocazione cristiana se sono motivate dall’amore e non dall’egoismo, se comportano una dedizione definitiva, se il criterio e lo stile della vita quotidiana è quello del Vangelo. Vi scrivo, dunque, per dirvi con quale affetto vi sono vicino e condivido la vostra cura perché la vita dei vostri figli che tanto amate non vada perduta.

La famiglia è una vocazione.

La prima vocazione di cui voglio parlarvi è la vostra, quella di essere marito e moglie, papà e mamma. Perciò la mia prima parola è proprio per invitarvi a prendervi cura del vostro volervi bene come marito e moglie. tra le tanti cose urgenti, tra le tante sollecitazioni che vi assediano, mi sembra che sia necessario custodire un po’ di tempo, difendere qualche spazio, programmare qualche momento che sia come un rito per celebrare l’amore che vi unisce.

L’inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l’altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita.

L’amore che vi ha persuasi al matrimonio non si riduce all’emozione di una stagione un po’euforica, non è solo un’attrazione che il tempo consuma. L’amore sponsale è la vostra vocazione: nel vostro volervi bene potete riconoscere la chiamata del Signore. Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio.

Vorrei pertanto invitarvi a custodire la bellezza del vostro amore e a perseverare nella vostra vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili.

sacra famiglia

Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l’umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità.

Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui vivete, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza della vostra vocazione. E’ necessario reagire all’inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, di preghiera.

 Trovate il tempo per parlare tra voi

 Vi invito pertanto a pregare insieme, già questa sera, e poi domani e poi sempre: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per voi, i vostri figli, i vostri amici, la vostra comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra voi. 

Vi invito ad avere cura di qualche data, a distinguerla come un segno, come una visita a un santuario, una Messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce; la data del vostro matrimonio, quella del battesimo dei vostri figli, quella di qualche lutto famigliare, tanto per fare qualche esempio. 

Vi invito a trovare il tempo per parlare tra voi con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedervi scusa, rallegrarvi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. 

E vi invito a stare qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri. 

Vi invito ad avere fiducia nell’incidenza della vostra opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall’impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. 

La vostra vocazione a educare è benedetta da Dio: perciò trasformate le vostre apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. 

Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. 

Educare è una grazia che il Signore vi fa: accoglietela con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non perdetevi d’animo, non c’è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio. 

santo_rosarioE affidate spesso i vostri figli alla protezione di Maria, non tralasciate una decina del rosario per ciascuno di loro: abbiate fiducia e non perdete la stima né di voi stessi né dei vostri figli.

Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi la sua vocazione. 

Carlo Maria Card. Martini

Globuli Rossi company

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DON GIUSSANI PEDAGOGO DELLA FEDE EDUCATORE DEL PENSARE – Angelo Nocent

Più indago e più quest’uomo di Dio per gli uomini,  mi si rivela pedagogo della  fede, educatore del pensare.

 La proposta di Don Giussani altro non era se non un aiuto a percepire la vita come COMPAGNIA CON CRISTO. In altre  parole, una VOCAZIONE  che viene prima di essere preti, monaci, sposati o altro: in primis,  c’è la chiamata di Cristo cui aderire.

La risposta non può essere che quella indicata da Paolo nella lettera ai Colossesi:

 “12Ora voi siete il popolo di Dio. Egli vi ha scelti e vi ama. Perciò abbiate sentimenti nuovi: di misericordia, di bontà, di umiltà, di pazienza, e di dolcezza.

13Sopportatevi a vicenda: se avete motivo di lamentarvi degli altri, siate pronti a perdonare, come il Signore ha perdonato voi.

14Al di sopra di tutto ci sia sempre l’amore, perché soltanto l’amore tiene perfettamente uniti.

15E la pace, che è dono di Cristo, regni sempre nel vostro cuore. A questa pace Dio vi ha chiamati tutti insieme. Siate sempre riconoscenti.

16Il messaggio di Cristo, con tutta la sua ricchezza, sia sempre presente in mezzo a voi. Siate saggi e aiutatevi gli uni gli altri a diventarlo.Cantate a Dio salmi, inni e canti spirituali, volentieri e con riconoscenza.

17Tutto quello che fate, parole e azioni, tutto sia fatto nel nome di Gesù, nostro Signore; e per mezzo di lui ringraziate Dio, nostro Padre” (Col 3, 12-16ss).

Don Giussani ha praticato e insegnato che quello della preghiera è il momento di coscienza più acuto dal quale scaturisce il mio agire di battezzato. Se prego, si verifica un rapporto che non è solamente tra me e Dio: infatti è il medesimo Spirito a parlare nelle diverse membra dell’unico corpo, la Chiesa cui appartengo. Che sia momento comunitario o avvenga nella solitudine della mia casa, la lode (ossia la preghiera salmica delle ORE)  è il gesto più qualificante di un battezzato e cresimato: egli prende coscienza di essere in comunione.

Ma questo momento andrebbe preceduto da una pre-disposizione alla preghiera liturgica attraverso le più disparate e personalizzate metodologie.

Qui viene richiamata la disposizione d’animo con cui Don Giussani, al risveglio, impostava la sua giornata. 

OFFERTA DELLA GIORNATA

Signore, riconosco che tutto da Te viene, tutto è grazia, gratuitamente dato, misterioso, che non posso decifrare, ma che io accetto, secondo le circostante in cui si concreta tutti i giorni e te lo offro, e tutte le mattine te lo offro, e cento volte durante il giorno – se Tu hai la bontà di farmelo ricordare – io te lo offro.

LE DUE GRAZIE CHE IL SIGNORE DONA

Le due grazie che il Signore dona sono la tristezza e la stanchezza. La tristezza perché mi obbliga alla memoria, la stanchezza perchè mi obbliga alle ragioni per cui faccio le cose.

Fa’ o Dio che una positività totale guidi il mio animo, in qualsiasi condizione mi trovi, qualunque rimorso abbia, qualunque ingiustizia senta pesare su di me, qualunque oscurità mi circondi, qualunque inimicizia, qualunque morte mi assalga, perchè Tu che hai fatto tutti gli esseri sei per il bene.

Tu sei l’ipotesi positiva su tutto ciò che io vivo.

AL MATTINO

Uno s’arresta un istante, pensando che quelle ore che gli incombono sono un pezzetto del cammino al destino.

  • Ti riconosco come il mio scopo!
  • Padre nostro che stai nei cieli nel profondo, da cui io nasco.
  • Ti offro la mia giornata.
  • Questa mia giornata la riconosco come un passaggio ulteriore verso di Te, un pezzo del cammino verso di Te.
  •  Aiutami a che io non mi abbandoni alla violenza e sia me stesso,
  • Ami, cioè affermi l’Altro, perché io non mi faccio da me, e perciò debbo rispettare ciò che sono, ciò che Tu mi hai fatto.
  • E debbo rispettare l’altro, e amare l’altro, perché Tu l’hai fatto.

PER I DEFUNTI

Avvenga di me secondo la tua parola”. Per i nostri morti questo si è attuato definitivamente. Essi sono nella dolce casa per cui l’uomo nasce, alla quale l’uomo è chiamato.

  • Adesso vedono il rapporto che c’è fra quella dolce casa definitiva ed eterna e il segno fragile, ma reale di essa, che è la compagnia in cui sono vissuti.
  • E chiedono a noi, dopo l’esperienza fatta, di essere generosi, vigili, sensibili, impegnati senza paura del sacrificio nel vivere questo anticipo della dolce casa a cui siamo incamminati.
  • Ci supplicano di poter dire con maggiore verità quello che cantiamo sovente: “Troppo perde il tempo chi ben non t’ama”.
  • Essi lo sanno. Senza paragone più che prima. E per questo ci incitano che “avvenga di noi secondo la sua parola”.
  • Ci aiutano a dire l’ Angelus con profondità di attenzione, come raramente ci avviene per la distrazione che ci consuma.

PREGIERA DEL MATTINO

  •  Cercare di vivere, alzandomi tutte le mattine, vincendo con la mia risposta la paura dell’essere, la paura del vivere;
  • Cercando di fare tutte le cose bene, nel miglior modo possibile, come se Lui fosse lì a guardarmi;
  • Correggere e lasciarmi correggere
  • E quando sono stato cattivo, provare dolore, un dolore acuto che tende a diventare lieto, chissà come:
  • Tutto questo si chiama, in termini monastici che ripetono San Paolo, “Fare tutto per la gloria di Cristo, perché Cristo sia conosciuto nel mondo”.
  • Tutto è, tutto io farò, tutto io cercherò di fare, “per la gloria di Cristo”.
  • Ti chiedo, o Dio, di rendermi capace di risponderti in tutti i momenti della mia vita,
  • Perché quel che faccio, misteriosamente, serva alla gloria di Cristo,
  • Perché Gesù sia riconosciuto per quello che è,
  • Perché Tu, o Dio diventato uomo, sia riconosciuto, così che “pur vivendo nella carne – come ognuno di noi – io vivo nella fede del Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me”.

TU, O CRISTO, SEI VICINO A ME

– Tu, o Cristo, sei vicino a me, sei presente a me,a tutti i miei compagni, per indicarmi e guidarmi nella via della felicità che sei Tu.

  • – Vivo la responsabilità che ho, che mi sento addosso per averTi incontrato, mendicando da Te la fedeltà della memoria e mendicando da Te la capacità di sorprendermi di come la Tua felicità possa già essere vissuta ora.
  • Per esempio, cominciando ad amare non per tornaconto, non per piacere, ma per gratitudine, per gratuità;
  • – essendo generoso nel lavoro, anche se non riconosciuto;
  • – avendo presente che Ti si riconosce per la grazia con cui Ti fai riconoscere e perciò mendicandoTi.
  • – Ho bisogno di Te, ma Ti dimenticherei subito, svaniresti subito dalla mia mente. TI CHIEDO: – “Fatti vedere, fatti sentire, rendimi cosciente di Te”.
  • – E mendico da Te, o Signore, di capire come realizzare la vita, come vivere i rapporti con gli amici, i compagni, il lavoro, vivere le cose come le vivresti Tu in modo che un po’ della felicità che Tu sei si riveli al mio cuore adesso.
  • –  Così che io alla sera sia lieto anche se mi è capitata una cosa grave e possa mantenere, paradossalmente, nel fondo del cuore la letizia.
  • – “Siate lieti”, l’hai detto Tu, “siate lieti, ve lo ripeto; siate lieti”. “Tutto quello che vi ho detto ve l’ho detto affinchè la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Non nell’al di là. Nell’aldiqua.

MA DON GIUSSANI HA EDUCATO IL MOVIMENTO  A DELLE PREGHIERE SEMPLICI MA INTENSE, LE STESSE CHE HANNO PORTATO ALLA SANTITA’ QUEI TANTI UOMINI E DONNE DEL NOSTRO TEMPO CHE GIOVANNI PAOLO II HA BEATIFICATO E POSTO AGLI ONORI DEGLI ALTARI:

PREGHIERA DEL PADRE L. DE GRANDMAISON

Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente.
Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione, un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male.
Formami un cuore dolce e umile che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al Tuo Divin Figlio;

un cuore grande e indomabile, così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare: un cuore tormentato dalla Gloria di Cristo, ferito dal Suo amore, con una piaga che non si rimargini se non in cielo.

DON GIUSSANI CREDEVA NELL’INTERCESSIONE DEI SANTI E NON SDEGNAVA DI INVITARE GLI STUDENTI AD ALCUNE PRATICHE DEVOTE:

PREGHIERA A S. GIUSEPPE DA COPERTINO

Protettore degli esaminandi

Confidate in Dio, figliuoli, e sperate che lui solo vi può provvedere: e lui vi provvederà. Gli uomini mancano, ma Dio non manca mai. (S.Giuseppe da Copertino)”

PREGHIERA DELLO STUDENTE IN PROSSIMITÀ DEGLI ESAMI

Eccomi ormai prossimo agli esami, protettore degli esaminandi, S.Giuseppe da Copertino. La tua intercessione supplisca alle mie manchevolezze di impegno e donami, dopo aver sperimentato il peso dello studio, la gioia di gustare una giusta promozione.

 La Vergine Santa così premurosa nei tuoi riguardi, si degni di guardare con benevolenza verso questa mia fatica scolastica e la benedica così che per mezzo di essa e possa aprirmi ad un servizio più attento e più qualificato verso i fratelli. Amen.

COME NON MANCAVA QUESTO INVITO:

PREGHIERA A S. RICCARDO PAMPURI PER I MALATI

 Signore Gesù, che facendoti uomo, hai voluto condividere le nostre sofferenze, ti supplico, per l’intercessione di San Riccardo Pampuri di aiutarmi a superare questo difficile momento della mia vita.
Come un giorno hai dimostrato una particolare predilezione verso i malati, così ora rivela anche a me la tua bontà.
Ravviva la mia fede nella tua presenza e dona a quanti mi assistono la delicatezza del tuo amore

Preghiera a San Riccardo Pampuri

San Riccardo hai camminato un tempo per le strade della nostra terra,
hai pregato nel silenzio delle nostre Chiese,
hai servito con amore ed intelligenza gli ammalati nelle nostre case,
sei stato accogliente verso ogni persona che ti ha cercato.
Oggi, come un tempo i tuoi malati, anch’io ti cerco e mi rivolgo a te perché tu mi aiuti a guarire nel corpo e nello spirito e mi ottenga dal Signore la tua stessa fede.

 PREGHIERA PER I MALATI

 Per intercessione di Maria, salute degl’infermi, di san Raffaele Arcangelo, Medicina di Dio, dei santi Giovanni di Dio, Camillo de Lellis e Riccardo Pampuri, la potenza del nome di Gesù (che non sa dire di no a Sua Madre), si manifesti sulla nostra amica/o.

Non per i nostri meriti ma per la fede della Sua Chiesa lo supplichiamo di distrugga alla radice il male di ….

FORMULA letta dagli aspiranti Memores Domini durante la messa in occasione delle “professioni”.

Sicuro della fedeltà di Dio, alla presenza Sua e della Comunità, chiedo a Gesù Cristo, unica mia salvezza, che tra le vicende della vita il mio cuore resti fisso in Lui, dove è la liberazione del mondo e la vera gioia.

Affido questo impegno alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, e le chiedo un amore sempre più grande per il popolo dei credenti.

>>>>  MEMORES DOMINI

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DALLA TESTA AI PIEDI – Don Tonino Bello Vescovo

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DON TONINO BELLO vescovoCarissimi,

 

cenere in testa e acqua sui piedi. Tra questi due riti, si snoda la strada della quaresima. Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa.

 Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri.

A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno da mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala. Pentimento e servizio.

Sono le due grandi prediche che la chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole.

Non c’è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.

È difficile, per esempio, sottrarsi all’urto di quella cenere. Benchè leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”. Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d’ulivo benedetti nell’ultima domenica delle palme. Se no, le allusioni all’impegno per la pace, all’accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione.

Quello “shampoo alla cenere”, comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.

Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino.

È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l’abbiamo “udita con gli occhi”, pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente.

Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benchè articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il lavarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.

Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.

Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell’attesa di Cristo? “Una tantum” per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane?

Potenza evocatrice dei segni!

Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua. La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnere l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare sui piedi degli altri.

Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.

Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.

Ceneri

 

I piedi di Pietro

 

Lavanda-dei-piediCarissimi,

tra le cose forti che oggi stanno emergendo nella coscienza cristiana, c’è il convincimento che i piedi dei poveri sono il traguardo di ogni serio cammino spirituale.

Abbiamo capito un po’ tutti, cioè, quando Gesù si curvò sulle prosaiche estremità dei sui discepoli, più che offrirci il buon esempio dell’umiltà, volle soprattutto farci vedere, attraverso i moduli espressivi del servizio, verso quali basiliche avremmo dovuto ormai indirizzare i nostri pellegrinaggi. Se, però, almeno in teoria, non si fa più fatica ad ammettere nel povero la presenza privilegiata in Dio, stentiamo ancora a capire che i piedi di Pietro sono il primo santuario dinanzi al quale dobbiamo cadere in ginocchio.

In termini di servizio, è ovvio. Non in termini di ossequio: chè di questo, anzi, ce n’è fin troppo nei confronti del “pescatore”.

Sì, ce l’ha fatto capire Gesù: anche Pietro è un povero. Oggi più che mai. Anzi, per usare la terminologia corrente, appartiene alla classe degli ultimi.

 Noi non ce ne accorgiamo più, perché, a furia di difendere la tesi del “primato” di Pietro, abbiamo perso di vista che è il capostipite di quell’ “ultimato” di poveri verso cui Gesù ha sempre espresso un amore preferenziale. Sta di fatto, comunque, che, benchè gli accoliti gli lavino ostentatamente le mani nei pontificali solenni, i piedi, però, non glieli lava nessuno. O almeno, sono rimasti in pochi quelli che riservano per lui l’amoroso gesto del Signore, dettato da amicizia senza lusinghe e suggerito da tenerezza senza adulazioni.

I più gli baciano “la scarpa”, o la “sacra pantofola”, come si diceva una volta.

In tanti vanno anche “ai piedi dell’Apostolo”. Magari “provoluti” per dirla alla latina. Ma senza brocca, catino e asciugatoio. Del resto, come farebbero a portarli, questi arnesi del servizio, se “provoluti” è un termine di raffinata cortigianeria che, tradotto in italiano, significa “striscianti nella polvere”? Povero Pietro. Forse sta scontando ancora gli effetti di quella iniziale resistenza, quando sottratto all’umido calcagno alla presa del Maestro, contestò caparbiamente: “Non mi laverai mai i piedi”! la sua voleva essere un’affettuosa protesta rivolta al Maestro. Ed è divenuta un’amara profezia rivolta al popolo dei suoi condiscepoli.

Carissimi fratelli, se vi scrivo queste cose è perché temo che, a Pietro, oggi non gli si voglia molto bene. Come se non bastasse il peso del mondo, gli incurviamo le spalle sotto il fardello delle nostre risse fraterne. Anche se in teoria non viene discusso il suo prestigio, la sua parola non viene sempre accolta con l’attenzione e con l’obbedienza che merita colui che ha ricevuto da Cristo l’incarico di confermare i fratelli nella fede. E non avviene di rado che, urtando le nostre barche sui fondali dell’accomodamento, i suoi inviti a prendere il largo vengono interpretati come involuzioni e chiusure. Cadiamo una buona volta ai piedi di Pietro. Non per adorarlo come fece il centurione Cornelio. Ma per lavargli, quei piedi. Oggi specialmente, che sono così stanchi per il tanto camminare sulle strade del mondo. Facciamogli sentire il tepore dell’acqua. Prendiamo l’asciugatoio che ha i profumi casalinghi dello spigo e delle melecotogne. Forse, mentre lo rinfrancheremo dalle sue fatiche con i gesti della tenerezza, cadute certe teorie puritane sullo spreco delle sue itineranze, ripeteremo pure noi i versetti di Isaia: “Come sono belli i piedi dei messaggeri che annunciano la pace!”.

Facciamoci raccontare, attorno a deschi fraterni, le meraviglie operate dal Signore sulle piazze, come accadeva un tempo, quando la gente accorreva da ogni parte conducendo gli ammalati perché, “al passaggio di Pietro anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro”.

Diamo cadenze d’amore trepido alla nostra implorazione, come avveniva un tempo quando “era tenuto in prigione, e una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui”.

Stiamogli vicino, a questo fratello ultimo, che forse più di ogni altro ha bisogno della nostra carità. Forse, mentre l’acqua tintinnerà nel catino, egli proverà tanto ristoro dalla nostra appassionata premura, che ci mormorerà all’orecchio, come quella sera fece con Gesù: “Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo”.

Giuda

I piedi di Giuda

Carissimi,  è più facile parlare delle labbra di Giuda che dei suoi piedi. Tutto a causa di quel bacio naturalmente. Dagli affreschi di Giotto alle tele di Salvatore Fiume, gli artisti hanno adoperato quelle labbra come simbolo del tradimento. Un tradimento che suscita reazioni emotive. Che allude. Una vigliaccata insomma che non lascia estraneo nessuno. Un mistero d’iniquità che provoca processi di identificazione e che comunque induce a riflettere. Non c’è che dire: quelle di Giuda sono labbra scomode per tutti. Se non altro perché stanno a ricordarci che anche noi ci portiamo sulla bocca la possibilità di darlo ogni giorno, un bacio infame del genere.

I suoi piedi invece benché sospesi sul vuoto di un crepaccio non destano emozioni. Provocano solo ribrezzo. Gonfi nella tragedia del suicida, sembrano il punto fermo di un discorso che ha finito di coinvolgere l’interlocutore. Più che l’ultima propaggine di un corpo ancora caldo di vita, sono l’epilogo di una esistenza sbagliata. Il fotogramma finale di una storia infelice, l’estremo dettaglio di una prova fallita. Eppure quei piedi sono stati lavati da Gesù. Con la stessa tenerezza usata per Pietro, Giovanni, Giacomo. Sono stati asciugati dalle sue mani col medesimo trasporto d’amore espresso per tutti. Senza neppure l’ombra di pose scenografiche che accentuassero i contrasti a beneficio dei posteri.

I piedi di Giuda come i piedi degli altri. Anche se più degli altri per paura o per imbarazzo hanno vibrato sotto lo scroscio dell’acqua. Gesù se n’è dovuto accorgere. Tant’è che qualche istante più tardi ha fatto riferimento a quei piedi: “colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno”. Ebbene, quel calcagno già levato nell’atteggiamento del calcio e ciononostante investito dell’acqua ristoratrice del maestro, rimane per tutti un emblema di angoscioso bisogno di redenzione che chiede il nostro servizio e non il rigore della nostra condanna. Non importa quale sia l’esito della lavanda. Così come non importa sapere se il destino finale di Giuda sia stato di salvezza o di perdizione. Sono affari del Signore: l’unico capace di accogliere fino in fondo il mistero della libertà umana e di comporne le scelte, anche le più assurde, nell’oceano della sua misericordia. A noi tocca solo entrare nella logica del servizio, di fronte alla quale non esiste ambiguità di calcagni che possa legittimare il rifiuto o la discriminazione.

Carissimi fratelli se Giuda è il simbolo di chi nella vita ha sbagliato in modo pesante, il gesto di Cristo curvo sui suoi piedi ci richiama a rivedere giudizi e comportamenti nei riguardi di coloro che secondo gli schemi mentali in commercio sono andati a finire sui binari morti di una esistenza fallimentare. Di chi è finito fuori strada per colpa propria o per malizia altrui. Di chi ha calpestato i sentimenti più puri. Di chi ha ripagato la tenerezza con l’ingratitudine più nera. Di chi ha deviato dalle rotte della fedeltà promessa. Di chi ha infranto le regole di una amicizia giurata. Di chi ha spezzato i legami di una comunione antica. Di chi non ce l’ha fatta a seguire Gesù fino al calvario. Di chi dai chiarori del cenacolo è precipitato nella notte della strada. Di chi non ha avuto fortuna ed ha abdicato per debolezza o per ingenuità ai progetti della gioventù. Sui piedi di questi fratelli col divieto assoluto di sollevare lo sguardo al di sopra dei loro polpacci, noi, i protagonisti di tradimento al dettaglio e all’ingrosso, abbiamo l’obbligo di versare l’acqua tiepida della preghiera, dell’accoglienza e dell’accredito generoso di mille possibilità di ravvedimento. Lavare e asciugare i piedi di Andrea che se n’è andato con un’altra donna, lasciando moglie e figli senza far sapere più nulla e ora è disperato. Lavare e asciugare i piedi di Marisa che ha smesso di studiare, è scappata di casa, si buca sistematicamente, si è ammalata di AIDS ed ha prostrato la famiglia nella vergogna. Lavare e asciugare i piedi di Mario che ha fatto il bidone agli amici e ora che si è pentito non gli crede più nessuno perché bollato come infame per tuta l’eternità. Lavare e asciugare i piedi di Damiano anzi il piede di Damiano perché uno glielo hanno amputato per cancrena: rubava , si ubriacava, colpiva alle spalle e ora tutti dicono che ben gli sta. Purificati da un lavacro di amore quei piedi sia pur per carreggiate sconosciute non potranno fare a meno di orientarsi verso la casa del Padre. Ringraziamo il Signore perché al cappio della disperazione che stringe la gola ci fa sostituire il cappio di un asciugamano che stringe i fianchi col nodo scorsoio della speranza.

I piedi di Giovanni

 

Carissimi,

è proprio un arrampicarsi sugli specchi voler trovare nei singoli beneficiari della lavanda dei piedi operata da Gesù, la sera del giovedì santo, altrettanti simboli delle diverse condizioni umane sulle quali egli, per impegnarci in un servizio preferenziale di amore, ha inteso richiamare la nostra attenzione?

Ed è proprio fuori posto vedere in Giovanni l’emblema di quel mondo ad alto rischio che si chiama gioventù, e che oggi, nonostante il grande parlare che se ne fa e nonostante il timore non sempre reverenziale che esso incute, tarda ancora a divenire il referente privilegiato della nostra diaconia ecclesiale?

Ed è proprio una forzatura concludere che il Maestro, piegato sui piedi di Giovanni, il più giovane della compagnia, è l’icona splendida di ciò che dovrebbe essere la Chiesa, invitata dal quel gesto a considerare i giovani come “ultimi”, non tanto perché ai gradini più bassi della scala cronologica della vita, quanto perché ai livelli più insignificanti nelle graduatorie di coloro che contano?

Penso proprio di no.

Anzi, se qualcuno, fuorviato dal chiasso che fanno, dovesse giudicare demagogica l’ affermazione che i giovani oggi non hanno voce, mostra di aver frainteso il senso delle tenerezze espresse da Gesù verso quel mondo che ha sempre fatto fatica a farsi ascoltare.

La figlia di Giairo, il servo del centurione, l’ unigenito della vedova di Nain, il giovane ricco il figliol prodigo… sono indice di uno sbilanciamento del Signore nei confronti di coloro che, pur essendo oggetto di invidia struggente, hanno da sempre accusato un deficit pesantissimo in fatto di accoglienza.

Ma torniamo ai piedi di Giovanni.

Come motivo iconografico, ma anche come suggestione omiletica, non hanno avuto molto fortuna.

E dire che la mattina di Pasqua, nella corsa verso il sepolcro, si sono dimostrati di gran lunga più veloci di quelli di Pietro, aggiudicandosi, a un palmo della tomba vuota, la prima edizione del trofeo “fede, speranza e carità”.

Ma al di là dello scatto irresistibile del giovane sull’affanno impacciato del vecchio, quei piedi non sono entrati nell’immaginario della gente.

La spiegazione è semplice: la testa del discepolo ricurva sul petto del Maestro ha distratto l’attenzione dal capo del Maestro chino sui piedi del discepolo.

È una riprova ulteriore di come, anche nella Chiesa, le lusinghe emotive della teatralità prevaricano spesso sulla crudezza del servizio terra terra.

Che cosa voglio dire? Che noi ci affanniamo, sì, a organizzare convegni per i giovani, facciamo la vivisezione dei loro problemi su interminabili tavole rotonde, li frastorniamo con l’abbaglio del meeting, li mettiamo anche al centro dei programmi pastorali, ma poi resta il sospetto che, sia pure a fin di bene, più che servili, ci si voglia servire di loro.

Perché diciamocelo con franchezza, i giovani rappresentano sempre un buon investimento. Perché sono la misura della nostra capacità di aggregazione e il fiore all’occhiello del nostro ascendente sociale. Perché se sul piano economico il loro favore rende in termini di denaro, sul piano religioso il loro consenso paga in termini di immagine. Perché, se comunque, è sempre redditizia la politica di accompagnarsi con chi, pur senza soldi in tasca, dispone di infinite risorse spendibili sui mercati generali della vita.

 Servire i giovani, invece, è tutt’altra cosa.

 Significa considerarli poveri con cui giocare in perdita, non potenziali ricchi da blandire furbescamente in anticipo.

 Significa ascoltarli. Deporre i panneggi del nostro insopportabile paternalismo. Cingersi l’asciugatoio della discrezione per andare all’essenziale. Far tintinnare nel catino le lacrime della condivisione, e non quelle del disappunto per le nostre sicurezze predicatorie messe in crisi. Asciugare i loro piedi, non come fossero la pròtesi dei nostri, ma accettando con fiducia che percorrano altri sentieri, imprevedibili, e comunque non tracciati da noi.

Significa far credito sul futuro, senza garanzie e senza avalli. Scommettere sull’inedito di un Dio che non invecchia. Rinunciare alla pretesa di contenerne la fantasia. Camminare in novità di vita verso quei cieli nuovi e quelle terre nuove a cui si sono sempre diretti i piedi di Giovanni, l’apostolo dagli occhi di aquila, che è morto ultracentenario senza essersi stancato di credere nell’amore.

Servire i giovani significa entrare con essi nell’orto degli ulivi, senza addormentarsi sulla loro solitudine, ma ascoltandone il respiro faticoso e sorvegliandone il sudore di sangue.

Significa seguire, sia pur da lontano, la loro via crucis e intuire, come il Cireneo ha fatto con Gesù, che anche quella dei giovani, abbracciata insieme, è una croce che salva.

Significa, soprattutto, essere certi che dopo i giorni dell’amarezza c’è un’alba di risurrezione pure per loro.

E c’è anche una pentecoste. La quale farà un rogo di tutte le scorie di peccato che invecchiano il mondo. E attraverso la schiena della terra adolescente con un brivido di speranza. Saremo capaci di essere una chiesa così serva dei giovani, da investire tutto sulla fragilità dei sogni?

 

I piedi di Bartlomeo

 

Carissimi,

L’altro giorno ho ricevuto questa lettera.

Caro Vescovo, io non sono né marocchino, né tossicodipendente, né sfrattato. Temo, perciò di non avere udienza presso di te. Perché ho l’impressione che oggi, se non si appartiene a quel campionario di umanità che ha a che fare con la violenza, con la prostituzione, con la miseria economica e morale, non si è in possesso dei titoli giusti per entrare nel cuore di Dio. Ma è colpa mia se la casa io ce l’ho e il lavoro anche? Debbo farmi uno scrupolo se non ho mai rubato e in tribunale non ci sono mai entrato neppure come testimone? Mi devo proprio affliggere se grazie a Dio non ho grossi problemi di salute né soffro di solitudine? Quando ti sento parlare degli ultimi e affermi che la chiesa a imitazione di Gesù, deve esprimere un amore preferenziale verso coloro che sono precipitati nell’avvilimento dell’alcool, io, che per giunta sono astemio, mi sento quasi un escluso. E’ mai possibile mi chiedo che il Signore mi scarti solo perché non frequento le bettole e la sera mi ritiro a casa in orario? Debbo proprio ritenere una disgrazia il fatto che nella graduatoria sia pur effimera dell’estimazione pubblica, invece degli ultimi posti, occupo posizioni di tutto rispetto? Ricco non sono, ma non mi manca il necessario per tirare avanti con una certa tranquillità. Non ho mai tradito mia moglie. I miei figli che non sono né malati di AIDS né disoccupati, mi danno tantissime soddisfazioni. Mi reputo fortunato. E sarei l’uomo più felice della terra se, da un po’ di tempo a questa parte, a seguito di certi discorsi che ascolto in chiesa e a certe lettere che scrivi tu, non mi fosse venuto il dubbio che senza un certificato di emarginazione, vistato magari dalle patrie galere, mi sarà difficile l’ingresso nel Regno di Dio. Dimmi, vescovo: ma un po’ d’acqua nel suo catino Gesù Cristo ce l’avrebbe anche per me?”

Non ho ancora dato riscontro a questa lettera. Ma siccome so che gli stessi interrogativi sono condivisi da più di qualcuno ho pensato bene di rispondere per così dire ad alta voce. Mi viene in aiuto la figura evangelica di Natanaele, identificato dalla maggior parte degli studiosi col figlio di Tolomeo e detto perciò Bartolomeo. Era un uomo così pulito e trasparente che quando Gesù lo vide la prima volta esclamò: “Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità”. Secondo l’evangelista Giovanni, questo apostolo simbolizza addirittura tutta la categoria di persone, gli israeliti fedeli, che non hanno mai tradito il Dio del’alleanza, si sono mantenuti irreprensibili fino alla venuta del messia e da lui sono stati invitati ad entrare nella sua nuova comunità. Ebbene, la sera del giovedì santo, Gesù si è curvato a lavare anche i piedi di Bartolomeo, l’uomo onesto, nei cui occhi un giorno, mentre si trovava sotto il fico, egli, il Maestro, aveva visto specchiarsi il cielo limpido della rettitudine. Anche quel cielo però aveva la sua piccola nube. Quando infatti Filippo gli andò a dire che Gesù di Nazaret era il Messia, lui, l’israelita integerrimo, il galantuomo, aveva replicato: “Da Nazaret, può mai venire qualcosa di buono?”

Carisimi fratelli onesti, Bartolomeo è la vostra immagine. Non abbiate paura perciò di essere discriminati dal Signore. Egli nel suo catino, l’acqua ce l’ha pure per i vostri piedi che, se si sono contaminati, è solo per la polvere della strada percorsa per andarlo a trovare. Vi lava e vi asciuga con la stessa tenerezza. Perché vi vuol bene da morire. Anzi, vorrei aggiungere che egli, sulle vostre estremità indugia di più. Così come si indugia di più a detergere un cristallo di Boemia che a lavare un bicchiere di creta carico di tartaro. I vostri piedi li lava e li asciuga con identico amore. Anche perché forse tra gli alluci, si nasconde una piccola macchia difficile a scomparire: la riluttanza a ricevere. Dite la verità, non avete mai affermato pure voi: che cosa può venire di buono da Nazaret? Forse questo è il vostro peccato, piccolo quanto volete, ma che vi colloca tra gli uomini, pure voi. Vi siete esercitati solo a dare. A ricevere no. Da un drogato può mai venire qualcosa di buono? Da una prostituta? Da un avanzo di galera? Che cosa mai può dare un marocchino, se non un pericolo di infezioni? Forse questa è l’unica colpa che obbliga Gesù a inginocchiarsi dinanzi a voi e che spinge la chiesa a fare altrettanto: non voler ammettere, sia pure per ragioni estetiche, che i poveri abbiano qualcosa da insegnarvi in termini di crescita umana. Sicchè gli emarginati sono quasi lo spazio dove esercitare le virtù della generosità; ma solo nella direzione del dare e non dell’avere. Non abbiate paura, fratelli irreprensibili e buoni. Gesù Cristo si piega anche su di voi. Se non altro, per dirvi che non serve a nulla svuotare la casa per gli infelici, se poi non sapete introdurre qualcosa che essi possono offrirvi, sia pure un “souvenir”. A me e a tutti voi, che apparteniamo alla confraternita dei galantuomini, conceda il signore di capire che metterci sulla pelle la camicia dei poveri vale di più che lasciarci scorticare vivi per loro. Come San Bartolomeo, appunto.

Papa Francesco lavanda dei piedi

Gli uni i piedi degli altri

 

Carissimi

 

Ve lo confesso: è stata una sorpresa anche per me. Non avevo mai dato troppo peso, infatti, a questa espressione pronunciata da Gesù dopo che ebbe finito di lavare i piedi ai discepoli: “anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Gli uni gli altri, a vicenda, cioè. Scambievolmente. Questo vuol dire che la prima attenzione, non tanto in ordine di tempo quanto in ordine di logica, dobbiamo esprimerla all’interno delle nostre comunità, servendo i fratelli e lasciandoci servire da loro. Spendersi per i poveri, va bene. Abilitarsi come Chiesa a lavare i piedi di coloro che sono esclusi da ogni sistema di sicurezza e che sono emarginati da tutti i banchetti della vita va meglio. Ma prima ancora dei marocchini, degli handicappati, dei barboni, degli oppressi, di coloro che ordinariamente stazionano fuori del cenacolo, ci sono coloro che condividono con noi la casa, la mensa, il tempio. Solo quando hanno asciugato le caviglie dei fratelli, le nostre mani potranno fare miracoli sui polpacci degli altri senza graffiarli. E solo quando sono stati lavati da una mano amica, i nostri calcagni potranno muoversi alla ricerca degli ultimi senza stancarsi. Della lavanda dei piedi in altri termini, dobbiamo recuperare il valore della reciprocità. Che è l’insegnamento più forte nascosto in quel gesto di Gesù. Finora forse ne abbiamo fatto un po’ troppo un esercizio eroico di conquista. L’abbiamo scambiato per uno stile di accaparramento di benevolenze mondane. L’abbiamo inteso come un espediente missionario, capace se non di provocare la fede, almeno di vincolare le emozioni dei cosiddetti lontani. Un bel gesto insomma. Di quelli che fanno immagine. Soprattutto per quel gioco di contrasti. Perché quanto più Gesù sprofonda fino a terra, tanto più emerge l’altezza del suo messaggio. Invece, con quella frase “gli uni gli altri”, espressa nel testo greco da un inequivocabile pronome reciproco, siamo chiamati a concludere che brocca, catino e asciugatoio, prima che essere articoli di esportazione, vanno adoperati all’interno del cenacolo. Non vanno collocati fuori dalla chiesa, quasi per essere offerti come ferri del mestiere a coloro che, terminate le loro liturgie, escono nel mondo. No. Non c’è Eucarestia dentro e lavanda dei piedi fuori. L’una e l’altra sono operazioni complementari da esprimere ambedue negli spazi dove i discepoli di Cristo si radunano e vivono. Fuori semmai c’è da portare la logica di quei doni: frutti che maturano in pienezza solo al calore della serra evangelica. In conclusione, brocca, catino e asciugatoio devono divenire arredi da risistemare al centro di ogni esperienza comunitaria. Con la speranza che non rimangano suppellettili semplicemente ornamentali. Che cosa significa tutto questo per noi? Che ad esempio, un sacerdote difficilmente potrà essere portatore di annunci credibili se, nell’ambito del presbiterio, non è disposto a lavare i piedi di tutti gli altri e a lasciarsi lavare i suoi da ognuno dei confratelli. Anzi, c’è di più o di peggio. E’ l’intero presbiterio che manca di credibilità, se nel suo grembo serpeggia il rifiuto o il riserbo sdegnoso, o il fastidio, a tal punto che i piedi ognuno se li deve lavare per conto suo. Non si tratta di essere mondi, cioè puri. Anche gli apostoli dell’ultima cena lo erano: “voi siete mondi” aveva detto loro Gesù. Il problema è essere servi. Perché gli uomini accettano il messaggio di Cristo, non tanto da chi ha sperimentato l’ascetica della purezza, quanto di chi ha vissuto le tribolazioni del servizio. Altro che gesto sentimentale, quello di Gesù, da incorniciare magari nell’album dei buoni esempi! La logica della lavanda dei piedi è eversiva. A tal punto che grida all’ipocrisia quando in una associazione ecclesiale lacerata dalle risse e dilaniata dalle rivalità, si pretende di organizzare il pediluvio alla gente. Ma a chi andiamo a raccontarla! Il servizio agli ultimi che stanno fuori non purifica nessuno quando si salta il passaggio obbligato del servizio agli ultimi che stanno dentro. Anzi si ritorce come condanna perfino su chi crede che gli basti la riconciliazione procuratagli dai sacramenti, quando poi snobba quella grande riconciliazione con la vita che si raggiunge lavando i piedi del prossimo più prossimo. Gli uni gli altri. A partire dalle famiglie. Che non possono dirsi cristiane se non assumono la logica della reciprocità. Perché, se il marito smania di lavare i piedi ai tossici, la moglie si vanta di servire gli anziani, e la figlia maggiore fa ferro e fuoco per andare al terzo mondo come volontaria, ma poi tutte e tre non si guardano in faccia quando stanno in casa, la loro è soltanto una contro testimonianza penosa che danneggia perfino i destinatari di un servizio apparentemente così generoso. Ce n’è abbastanza perché la ripetizione rituale della lavanda dei piedi che tra la commozione generale, celebreremo il giovedì santo, ci metta nell’animo una voglia struggente di servizio, di accoglienza e di pace. Verso tutti. A partire dai più vicini. E ci mandi in crisi, più che mandarci in estasi. Perché, visto che siamo così lenti a convertirci, quella brocca è esposta al sacrilegio non meno della stessa Eucarestia.

Piedi di Gesù

I piedi del Risorto

Carissimi,

Io non so se nell’ultima cena, dopo che Gesù ebbe ripreso le vesti, qualcuno dei dodici si sia alzato da tavola e con la brocca, il catino e l’asciugatoio si sia diretto a lavare i piedi del maestro. Probabilmente no. C’è da supporre comunque che dopo la sua morte ripensando a quella sera, i discepoli non abbiano fatto altro che rimproverarsi l’incapacità di ricambiare la tenerezza del Signore.

 

Possibile mai, si saranno detti, che non ci è venuto in mente di strappargli dalle mani quei simboli del servizio, e di ripetere sui suoi piedi ciò che egli ha fatto con ciascuno di noi? Dovette essere così forte il disappunto della Chiesa nascente per quella occasione perduta, che , quando Gesù apparve alle donne il mattino della risurrezione, esse non seppero fare di meglio che lanciarsi su quei piedi e abbracciarli. “Avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono”. Ce lo riferisce Matteo, nell’ultimo capitolo del suo Vangelo. Gli cinsero i piedi. Non gli baciarono le mani o gli strinsero il collo. No.

Gli cinsero i piedi! Erano già bagnati di rugiada. Glieli asciugarono, allora con l’erba del prato e glieli scaldarono col tepore dei loro mantelli. Quasi per risarcire il maestro, sia pure a scoppio ritardato, di una attenzione che la notte del tradimento gli era stata negata. Gli cinsero i piedi. Fortunatamente avevano portato con sé profumi per ungere il corpo di Gesù. Forse ne ruppero le ampolle di alabastro e in un rapimento di felicità riversarono sulle caviglie del Signore gli olii aromatici che furono subito assorbiti da quei fori: profondi e misteriosi, come due pozzi di luce.

 

Gli cinsero i piedi. Finalmente! Verrebbe voglia di dire. Ma chi sa in quel ritardo ci doveva essere anche tanto pudore. Forse la chiesa nascente rappresentata dalle due Marie prima di cadergli davanti nel gesto dell’adorazione aveva voluto aspettare di proposito che Gesù riprendesse davvero le vesti. Non quelle che aveva momentaneamente deposto prima della lavanda. Ma quelle veramente inconsutili del suo corpo glorioso. Carissimi fratelli, oggi voglio dirvi che la Pasqua è tutta qui. Nell’abbracciamento di quei piedi. Essi devono divenire non solo il punto di incontro per le nostre estasi d’amore verso il Signore, ma anche la cifra interpretativa di ogni servizio reso alla gente, e la fonte del coraggio per tutti i nostri impegni di solidarietà con la storia del mondo.

Non c’è da illudersi. Senza questa dimensione adorante, espressa dal gruppo marmoreo di donne protese dinanzi al risorto, saremo capaci di organizzare solo girandole appariscenti di sussulti pastorali. Se non afferriamo i piedi di Gesù, lavare i piedi ai marocchini, o agli sfrattati, o ai tossici, non basta.

Non basta neppure lavarsi i piedi a vicenda, tra compagni di fede. Se la preghiera non ci farà contemplare speranze ultramondane attraverso quei fori lasciati dai chiodi, battersi per la giustizia, lottare per la pace e schierarsi con gli oppressi, può rimanere solo un’estenuante retorica. Se, caduti in ginocchio, non interpelleremo quei piedi sugli orientamenti ultimi per il nostro cammino, giocarsi il tempo libero nel volontariato rischia di diventare ricerca sterile di sé e motivo di vanagloria. Se l’adorazione dinnanzi all’ostensorio luminoso di quelle stigmate non ci farà scavalcare le frontiere delle semplici liberazioni terrene, impegnarsi per le promozione dei poveri potrà sfiorare perfino il pericolo dell’esercizio di potere. Non basta avere le mani bucate. Ci vogliono anche i piedi forati. E’ per questo che quando Gesù apparve ai discepoli la sera di Pasqua “mostrò loro le mani e i piedi”.

 E poi, quasi per sottolineare con la simbologia di quei due moduli complementari che senza l’uno o l’altro, ogni annuncio di risurrezione rimarrà sempre mortificato, aggiunse: “guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io”.

Mani e piedi, con tanto di marchio! Ecco le coordinate essenziali per ricostruire la carta d’identità del risorto. Mani bucate. Richiamo a quella inesauribile carità verso i fratelli, che si fa donazione a fondo perduto. Piedi forati.

Appello esigente a quell’amore verso il Signore, che ci fa scorgere il senso ultimo delle cose attraverso le ferite della sua carne trasfigurata .

Buona Pasqua

Don Tonino Bello, vescovo

SAN GIUSEPPE IN QUEL DI MONTE CREMASCO

12-SAM_5406 - Copia - Copia - Copia - CopiaLa statua di San Giuseppe venerata nella Parrocchiale di Monte Cremasco

Non so da quante generazioni è lì collocata la statua del Patriarca Giuseppe. Della sua sposa, Maria, il simulacro in legno è di fattura pregevolissima, ma forse recente e per mano non di comune falegname ma da scalpello d’artista che ha tracciato dolcissimi lineamenti sia alla madre che al bimbo che porta in braccio.
Eccola:

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Ma tu, Giuseppe, per quanto di modesta fattura, fai la tua bella figura lo stesso, perché ci rimandi alla tua vocazione di laico nella famiglia di Nazaret, così significativa anche per noi che troppo spesso non vi badiamo. E,  se c’è uno che non merita di essere emarginato, sei proprio  tu.

Fiori di pesco

Anni fa, nel dare il “BENVENUTO” a un certo  Giuseppe che dava la sua adesione  alla Compagnia dei Globuli Rossi, gli si scriveva:

 

Caro Giuseppe, dietro questi fiori di pesco si cela la tua anima assetata di Dio. Oggi siamo lieti di aggiungere un posto alla tavola dell’amicizia fraterna.

 

Farne parte, non è una formalità. Non è come aderire ad un ”gruppo”.
E’ piuttosto un SI’ ad una chiamata precisa dello Spirito. Credere e condividere un ”Sogno” che può diventare realtà se a sognarlo siamo in tanti.

 

GLOBULI ROSSI accettano di associarsi alle follie di Dio, ai suoi progetti grandiosi. Presi singolarmente, essi sono piccola cosa. Messi insieme, diventano trasportatori di ossigeno nel tessuto umano in preda all’anemia, a rischio di cancrena. La loro determinazione al “servizio trasporto ossigeno” la imparano dalla Mater Hospitalitatis, nel senso del suo Magnificat…

 

Essere GLOBULI ROSSI vuol dire cantare il Magnificat con la vita, ossia portare e trasfondere Vangelo, le gioiose notizie che tutti devono venir a sapere. E sono tante:

(Vedi HO FATTO UN SOGNO)

ModelliSe c’è un santo che dovremo prendere a modello è proprio San Giuseppe di cui ti onori di portare il nome. E proprio l’ideale di come dovrebbe essere un “GLOBULO ROSSO”. Di  “sogni” è popolata anche la sua esistenza.

Ho trovato in internet un passo che lo sintetizza magnificamente e sul quale merita riflettere:

 

File:Sueño de José, por José Luzán.jpg

 IL PATRIARCA

San Giuseppe campione di Fede:


La vita di San Giuseppe è stata veramente travolta dalle iniziative di Dio, iniziative misteriose, iniziative al di là della possibilità di capire. San Giuseppe si è lasciato condurre perché era giusto e “giusto” è l’uomo che vive di fede.


Dove lo porta il Signore? Non lo sa, Dio non glielo dice, non gli spiega niente e lui obbedisce lo stesso. Ha sempre detto di sì con la vita, non con le parole. Non ha mai avuto questioni da sollevare, dubbi da proporre.


San Giuseppe agisce nel silenzio:

E come è fecondo questo silenzio! Esso permette che tra la parola di Dio e l’obbedienza di San Giuseppe non ci sia soluzione di continuità. Dio parla e San Giuseppe fa.


“Non temere…”, e lui non teme, tutti i drammi sono finiti.
“Alzati…”, e lui si alza, eccolo già per strada .


“Ritorna…”, ed è già di ritorno.


Questa immediatezza di San Giuseppe a tutti i cenni del Signore, ci dimostra la sua bella disposizione interiore!

San Giuseppe è l’Umile:


È stupendo questo esempio di San Giuseppe che, pur essendo capo di casa, è semplicemente a servizio, con una familiarità fatta di abbandono e di continua dedizione. San Giuseppe non misura la vita di Gesù e della Vergine sulle sue esigenze, ma mette la sua vita a servizio delle loro. Non parte per l’Egitto quando fa comodo a lui, ma quando l’interesse di Gesù lo richiede.

San Giuseppe è un uomo coerente:


San Giuseppe è un laico nel senso più pregnante della parola, laico perché non caratterizzato da nessuna funzione ufficiale:

  • è un uomo come tutti, inserito fino in fondo nelle realtà terrene per offrirle come supporto all’Incarnazione.

  • Il Verbo si incarna in una famiglia di cui San Giuseppe è il capo e vive nella realtà delle creature umane, nella condizione più universale, che è quella del lavoro e della povertà.

  • San Giuseppe ci insegna come si offra al Cristo il servizio di una vita totalmente inserita nelle realtà terrene.


Il suo non è un patronato più o meno trionfalistico, ma qualcosa di più profondo, che deriva da una realtà interiore. San Giuseppe ci fa comprendere il contenuto del servizio per il Regno e ci aiuta ad essere nella storia della salvezza coloro che in Cristo credono, a Cristo obbediscono e di Lui si fidano.

Dalla iniziativa di Dio San Giuseppe si trova inserito in modo estremamente compromesso nel mistero dell’Incarnazione del Verbo:

  • San Giuseppe è lo sposo di Maria

  • San Giuseppe sarà il padre putativo di Gesù

  • Porterà avanti l’Incarnazione come avvenimento storico, come fatto umano e societario.

  • Sarà San Giuseppe a presiedere la famiglia di Nazareth, a sostenerla con il suo lavoro, a difenderla e a proteggerla, senza fare la parte del protagonista, ma lasciando a Dio di esserlo.

  • San Giuseppe è il custode della più alta e sacra verginità, quella di Maria, e della immacolatezza del Figlio di Dio. E come lo è stato? Non mettendosi a dire: qui ci sono io che li difendo tutti e due, ma scomparendo.. Ha custodito la santità di Gesù e di Maria scomparendo agli sguardi di tutti, fuorché i loro.

San Giuseppe si è lasciato travolgere dal Signore e condurre per strade misteriose. Ha rinunciato a capire e ha accettato di credere, ha rinunziato a comandare e ha accettato di obbedire.


Eppure, credendo, si è lasciato condurre dal Signore e questi lo ha introdotto in un modo particolarmente intimo nel mistero dell’Incarnazione e della salvezza.

San Giuseppe, questo amabilissimo patrono della vita spirituale, ci aiuti ad essere molto presenti solo al cuore e agli occhi di Dio, e quanti più saranno a dimenticarsi di noi, tanto meglio, perché in questo nostro scomparire agli occhi di tutti e agli stessi nostri occhi, il nostro io sappia perdersi nella adorazione umile e silenziosa della infinita grandezza dell’unico Dio e Signore nostro.

Caro Giuseppe la conclusione non vale solo per te ma per tutti noi che siamo lieti di averti come fratello partecipe degli imperscrutabili disegni di Dio su ciascuno.

I fiori sono la nostra maniera di darti il benvenuto e il Magnificat è il modo migliore di onorare la Vergine, la Sposa, la Madre:

 
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CARLO MARIA MARTINI: MOLTI APPALUSI MA… Piero Gheddo

Carlo Maria Martini - Eucaristia 2

Per il cardinal Martini molti applausi ma nessun “santo subito”. E io vi spiego perché.

Ho riportato qui la testimonianza del noto missionario del PIME Padre Piero Geddo, innanzitutto perché condivido il suo giudizio su colui che fu arcivescovo di Milano per ben 22 anni. E poi perché, prima di abitare a Monte Cremsco ho fatto parte della Chiesa Ambrosiana ed ho avuto modo di fare l’esperienza di tre arcivescovi: Montini, Colombo e Martini. Ognuno diverso dall’altro ma grandi arcivescovi sulla cattedra che fu di Ambrogio e  Carlo.

Devo riconoscere che la sua presenza in  coincidenza con la mia piena maturità, ha influenzato più di ogni altro la mia vita spirituale e dai suoi scritti continuo a ricavarne un beneficio come da un Padre della Chiesa dei nostri tempi.

Uomo schivo e riservato, poco incline agli applausi, ha lasiato un segno indelebile nella Chiesa del nostro tempo e scavato un solco profondo. Nella sua REGOLA DI VITA DEL CRISTIANO (presente anche su questo blog) ha posto in essere un binario fatto di Vangelo ed esperienza di vita che può essere di orientamento sia per pricipianti nella fede ma anche per adulti vaccinati.

Carlo Maria Martini benedice con l'Evangelario

 

«Anche a me scandalizzavano certe uscite e la strumentalizzazione del mondo, ma con il tempo sarà sempre più apprezzato il suo atteggiamento autenticamente missionario». Gheddo racconta il suo rapporto con l’arcivescovo emerito di Milano

 

martiniFra le troppe notizie negative di questa lunga estate, una positiva mi allarga il cuore. Il 31 agosto ricorre il primo anniversario della morte del cardinale Carlo Maria Martini. L’anno scorso avevo scritto tre articoli sui miei rapporti con lui, ma l’ultimo non l’ho pubblicato subito. La buona notizia è che la tomba dell’Arcivescovo nel Duomo di Milano continua ad essere frequentata da molti devoti che vi accendono candele e lumini, si fermano in preghiera. Questo articolo interpreta una “fama di santità” popolare che continua dal giorno della sua morte. Ecco l’articolo:

 

La morte del card. C. M. Martini (31 agosto 2012) ha suscitato commozione, devozione, lunghe file per visitare la sua “Camera ardente” e per la S. Messa di suffragio nel Duomo di Milano, i mass media anche internazionali hanno pubblicato pagine per ricordarlo. Nessuno però ha detto che era un santo, cioè non si è notata quella diffusa “fama di santità” nel popolo di Dio, che è uno dei segni per iniziare una Causa di beatificazione.

 

Non è facile capire perché. Non era davvero un santo? Ma questo lo giudica solo Dio. La fama di santità nasce certamente dalla vita santa del possibile “servo di Dio”, ma anche dall’immagine che egli dà di sé non solo ai vicini, ma al popolo di Dio e in genere all’opinione pubblica e ai mass media, che leggono poi tutto sulla base di preconcetti e di visioni anche parziali dei fatti. Chi ha avuto occasione di accostare il cardinal Martini e seguirlo da vicino nella giornata di lavoro (com’è successo a me una volta al mese per sei anni, nel Consiglio pastorale diocesano), ha sempre ammirato la sua serenità di spirito, il riferimento continuo alla Parola di Dio, la sua S. Messa e la preghiera, lo spirito di sacrificio, la capacità di avere uno sguardo paterno e misericordioso sul prossimo e di soffrire con pazienza anche le delusioni più scottanti. Ricordo quando a metà anni Ottanta lamentava che il Rosario e la devozione popolare alla Madonna erano contestati proprio da gruppi di credenti.

 

La stoffa del santo c’era. Ma per capire l’uomo e il prete-vescovo Martini va anche tenuto conto del suo spirito missionario, che lo portava come mentalità di fondo verso i lontani, in due direzioni prioritarie non sempre condivise. Per annunziare Cristo in modo credibile il card. Martini riteneva che la Chiesa (cioè tutto il popolo di Dio) deve convertirsi al Vangelo in due sensi:

 

martini-benedetto XVI-papada un lato avvicinarsi e accogliere i lontani, i diversi, non  giudicarli, capire le loro ragioni, non polemizzare, amarli come fratelli ed esporre la fede in Cristo nello spirito del Vangelo: la fede è un dono di Dio, lo Spirito soffia dove vuole, anche nei lontani e nei non credenti ci sono semi di Vangelo, noi non siamo migliori degli altri. Insomma, la Chiesa deve sempre convertirsi a Cristo, come dice spesso Papa Benedetto, ma quando lo diceva Martini suscitava opposizioni e antipatie nel gregge al sicuro nell’ovile di Cristo, proprio per quell’inquadratura a volte negativa della sua personalità;

 

dall’altro lato, il  card. Martini pensava che «la Chiesa è rimasta indietro 200 anni», come ha detto lui stesso nella sua ultima intervista. E questo non per colpa delle curie o dei preti, ma perché la fede nel nostro Occidente vacilla in molti, la frequenza alla S. Messa domenicale diminuisce e la tentazione è di conservazione, di chiuderci in difesa dell’ovile minacciato da ladri e da lupi rapaci; Martini pensava che questi segnali fossero invece “segni dei tempi” che ci invitano ad una vita più evangelica.

 

È vero però che non pochi fedeli rimanevano a volte scandalizzati da certe sue uscite (specie negli ultimi anni) che sembravano disobbedienza alla Chiesa e acquiescienza al mondo. Ed è anche vero che il nostro caro arcivescovo era spesso strumentalizzato da chi non amava e non ama la Chiesa! Anche a me quelle esaltazioni improprie davano fastidio e lo davano certo anche a lui e nel Consiglio Pastorale tutte le volte che faceva un intervento importante citava sempre Giovanni Paolo II e tutti lo notavano: «Vediamo se questa volta cita ancora il Papa!», si diceva.

 

Com’è complesso l’uomo! Ciascuno di noi è una persona unica, irripetibile, incomprensibile dall’esterno. Solo Dio giudica perché vede nel profondo le nostre intenzioni.

 

I non credenti ammiravano nel card. Martini il suo non giudicare nessuno e non polemizzare, il non imporre nulla, il suo impegno civile e sociale, il suo porre problemi alla Chiesa affinché si aprisse agli altri condividendo le sofferenze delle persone in difficoltà e facendo il possibile per aiutarle e farle sentire a casa propria nella Chiesa. La “Cattedra dei non credenti” è stata per me una delle sue più profetiche iniziative pastorali e missionarie.

 

Camera ardente del cardinale emerito Carlo Maria Martini - officia il cardinale Angelo ScolaI credenti invece lamentavano diverse sue uscite, che apparivano un “contraltare” al magistero e alla Tradizione ecclesiale, ma erano una provocazione “missionaria” al corpo mistico di Cristo (un miliardo e 200 milioni!) che si muove lentamente, perché la Chiesa misura il tempo non ad anni ma a secoli. La sua era una fede che “si è fatta prossimo”, non un “vogliamoci bene perché questo solo è importante”. La fede di Martini era ferma e chiara, ma anche aperta alla ricerca del confronto con le ragioni degli altri. Non voleva una vita cristiana abitudinaria, voleva una fede che non lascia tranquillo il credente, ma lo mette di fronte ai non credenti e quindi a dare ragione del suo credere e ad interrogarsi se la propria vita rende testimonianza a Cristo, se è una luce che riscalda e illumina, oppure una fiammella di candela vacillante o un lievito che non sa di niente. La presenza dei non credenti vicini a noi, nella nostra stessa famiglia e società, deve interrogarci e convertirci a Cristo. Anche questo è spirito missionario.

 

Sono convinto che più passa il tempo, e svaniranno gli aspetti non comprensibili o anche discutibili del suo magistero, più il card. Martini sarà compreso e apprezzato per l’atteggiamento che aveva, autenticamente missionario, di fronte ai non credenti o comunque ai “lontani” da Cristo e dalla Chiesa.

Carlo Maria Martini lapide in duomo sulla sua tomba

Carlo Maria Martini

L’idea di COMPAGNIA DEI GLOBULI ROSSI vine da lontano.

Ma questa inseminazione dello Spirito nei cuori di alcuni, poveri, pavidi, tribolati , esitanti, incerti… si è ripetuta nel contestodel calendario lunare della Chiesa Ambrosiana, guidata dal ministero episcopale del Cardinale Arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, successore del santo vescovo Ambrogio.

A provocarla è proprio la sua predicazione evangelica, a cominciare dalla prima scossa avvertita con l’invito alla CONTEMPLAZIONE DELLA VITA, seguita da altre forti provocazioni: IN PRINCIPIO LA PAROLA, FARSI PROSSIMO, il SINODO, …fino alla REGOLA DI VITA da lui stesso tracciata per il cristiano contemporaneo che vive tra casa, studio, lavoro, Chiesa, impegno sociale e tempo libero, quali siamo anche noi. Così è parso logico adottarla come strumento pedagogico per vivere più coerentemente il Vangelo della miserricordia.

La ricchezza dell’insegnamento del Pastore, la sua pluriventennale meditazione condotta nel tessuto della Città degli Affari, senza esclusioni di persone o di categorie, è così ampia e profonda che permetterà a lungo di attingere al cospicuo patrimonio, sia per la quotidiana LECTIO DIVINA che per la SCUOLA DELLA PAROLA, passioni che ha saputo inculcare fin dall’inizio del suo ministero episcopale a giovani, aduli ed anziani, al clero ed ai laici, indistintamente. La nota CATTEDRA DEI NON CREDENTI ne è una prova.

Sin dai primi giorni a Milano, si è percepito che il linguaggio tecnico dello studioso esegeta lasciava il posto a parole che avevano una rispondenza interiore. Una semplicità modellata su quella del linguaggio biblico. Spirito teso a cogliere il “tutto” nel frammento, ed in esso la coincidenza degli opposti:

  • ha sviluppato il concetto di “utopia” (non-luogo),

  • accostandolo a quello di “realismo” del vivere quotidiano;

  • “ricordo” e “speranza”, sinonimi di passato e futuro, sono andati di pari passo.

Nel suo linguaggio risultano ricorrenti parole chiave come

  • “cuore”,

  • “mistero”,

  • “discernimento”

ed altre ancora, precedute dal suffisso “RI“. Per lui sono verbi fondamentali:

  • ri-cominciare,

  • ri-partire,

  • ri-pensare,

  • ri-educare.

  • ri[e]-cuperare.

Mi ha sempre fatto molta impressione quell’atteggiamento tipico di Dio che parla attraverso il profeta Isaia, 49,2, ma non facilmente riscontrabile sulla bocca di tanti cristiani super-ortodossi, anche giovani, sempre in assetto di partenza per le crociate contro questo mondo  certamente riprovevole in tanti suoi aspeti. Il Cardinale ha spronato la sua Chiesa, dandone l’esempio, ad avere viscere di misericordia e compassione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme…”.

L’Arcivescovo conosce la radice biblica del termine cuore che spesso è riferito al cuore dell’uomo, incline a fare il male (cfr.Gen 8,21), radice di male (cfr Mc 7,21-22), pietrificato, indurito, non libero, sfasato rispetto al cuore di Dio, chiuso, ma anche luogo dove Dio si comunica, il terrerno dove avviene il misterioso scambio di doni tra il Creatore e la creatura, la sede dell’interiorità, dei sentuimenti, la sede della ricchezza degli affetti e delle emozioni.

Se Martini utilizza questo termine come chiave ermeneutica per leggere i contesti, le situazioni e le problematiche a tutti i livelli, è perché il Pastore chiede al suo gregge di tenere lo stesso atteggiamento verso tutti:

  • · Prendere a cuore,

  • · portare al cuore,

  • · comunicare “cuore a cuore”,

Queste espressioni ricorrenti, “stanno ad indicare di come simbolicamente il cuore sia espressione di radicalità in ogni relazione, in ogni ricerca, in ogni desiderio umano e divino. E’ anche l’unico presupposto ad ogni discorso sulla Chiesa nella quale trascendenza e immanenza, santità e peccato, convivono in na misteriosa unità; così per l’uomo il cui cuore rimane un enigma eccetto che all’occhio divino.

Dunque il concetto di mistero è l’unica possibilità rimasta all’uomo per restare aperto all’infinita novità di Dio, del quale non si può che essere ustodi, sentinelle; mil mistero non si può svelare, si può rivelare, lo si può raccontare senza violarlo”(Damiano Modena – C.M.Martini- EP)

In Alzatevi, andiamo ! , Giovanni Paolo II che lo ha voluto e consacrato vescovo, così scriveva: “…nulla può sostituire la presenza del vescovo  che si siede sulla cattedra o si presenta all’ambone della sua chiesa vescovile e personalmente spiega la Parola di Dio a coloro che ha radunato attorno a sé.  Anch’egli come lo “scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”(Mt 13,52).

Mi piace qui menzionare il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, le cui catechesi nella cattedrale della sua città attiravano moltitudini di persone, alle quali egli svelava il tesoro della Parola di Dio. Il suo non è che uno dei numerosi esempi che provano come sia grande nella gente la fame della Parola di Dio“.

Con lui, padre, maestro di fede e di vita, resta vivo il legame di comunione, specie in questi suoi momenti di cedimento fisicho che non intacca  l’ardore spirituale del testimone zelante e fedele al Vangelo anche nell’ora della prova. Terminato il  mistero episcopale, vissuto come servizio, oggi, nella Casa dei Gesuiti di Gallarate, riemerge il gesuita che vive in povertà, castita e obbedienza, secondo lo spirito di Sant’Ignazio di Loiola, nello studio e nella preghiera, sacrificando anche il sogno di chiudere i giorni a Gerusalemme: “Eulàbeia, prendere bene tutte le cose…Bisogna cercare Dio là dove si è“. Una nuova testimonianza che viene a completare la lezione di questi anni, vissuti nella logica del suo motto episcopale: PRO VERITATE ADVERSA DILIGERE.

Pro veritate adversa diligere - C.M. Martini stemma

 Il Porporato parla della sua malattia, il Morbo di Parkinson

Interviste o citazioni di: Martini Carlo Maria mercoledì, 28 maggio 2008 • tg1 20:00 • notizia n.5 | 02:08

carlo-maria-martini-la-tomba-in-duomo Carlo Maria Martini - La tomba in duomo 2 Carlo Maria Martini - La tomba in duomo 3 Carlo Maria Martini - La tomba in duomo 5Carlo Maria Martini 13 Carlo Maria Martini con i carcerati Carlo Maria Martini -Betlemme Carlo Maria Martini 09Globuli Rossi Company

GUIDAMI SULLA VIA DELLA VITA – MEDITAZIONI PER RAGAZZI – Carlo Maria Martini

icona ascolto

(Testo e accordi musicali _ Vieni vieni spirito d’amore)

Vieni, vieni, Spirito d’amore,

ad insegnar le cose di Dio,
vieni, vieni, Spirito di pace,
a suggerir le cose che lui ha detto a noi.

Noi ti invochiamo spirito di Cristo,
vieni tu dentro di noi.
Cambia i nostri occhi, fa che noi vediamo
la bontà di dio per noi.

Vieni, o Spirito dai quattro venti
e soffia su chi non ha vita
vieni, o spirito e soffia su di noi,
perché noi riviviamo.

Insegnaci a sperare, insegnaci ad amare
insegnaci a lodare Iddio
insegnaci a pregare, insegnaci la via
insegnaci tu l’unità.

Introduzione

Abbiamo invocato lo Spirito Santo e ora rivolgiamo la nostra preghiera alla Madonna:

1-_Scan10220Cenacolo – Santuario Madonna delle Assi – Monte Cremasco (CR)

«O Maria, noi ti ringraziamo perché è tuo dono se noi siamo qui riuniti.
Ti ringraziamo perché ci troviamo tutti insieme ad ascoltare, con te, Gesù. Donaci di conoscerlo come tu lo conosci. Donaci di saperlo pregare e ascoltare come tu lo preghi e lo ascolti. Sorreggi i momenti facili e i momenti difficili delle nostre giornate e fa’ che le tentazioni non ci turbino e non ci spaventino.
Sii sempre vicina a ciascuno di noi nel giorno e nel la notte, in ogni istante della nostra vita.
Tu, sede della sapienza, prega per noi. Tu, aiuto dei cristiani, prega per noi. Tu, rifugio dei peccatori, prega per noi».

Il tema degli Esercizi

Sono molto contento di essere tra voi per trascorrere alcuni giorni di riflessione comune e di preghiera.
Ho pensato di parlarvi di Gesù perché credo sia questo il desiderio del Signore; più precisamente, della conoscenza di Gesù. Il suggerimento mi è venuto da un piccolo volume scritto dal teologo Hans Urs von Balthasar: «Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?».
La domanda, a prima vista, potrebbe sembrare superflua, ma se ciascuno di noi si chiede: «Come mi conosce Gesù? Chi sono io per lui?» ci accorgiamo subito che occorre riflessione e approfondimento.
Ci potrà essere utile leggere il salmo 138 che inizia con un’affermazione: «Signore, tu mi scruti e mi conosci». Per questo vi consiglio di tenerlo presente in questi giorni.
Il tema dei nostri Esercizi vorrebbe quindi comprendere un interrogativo: «Gesù mi conosce?», e poi una risposta: «Tu mi ami e mi conosci».

Metodo degli Esercizi

Gli Esercizi spirituali sono un vero e proprio lavoro perché si tratta di «fare esercizio» personalmente, non di guardare un altro che si esercita o semplicemente di ascoltare un altro che parla.
Provate a pensare alla ginnastica: fare esercizio di ginnastica non significa guardare una partita di football, bensì fare degli esercizi ginnici.
In questi giorni voi dovrete fare un esercizio spirituale, un lavoro: il mio compito sarà soltanto quello di guidarvi. Volta per volta vi darò una traccia che comprenderà tre momenti. Enuncerò il titolo della singola meditazione e poi:

1) vi insegnerò a raccogliere i testi del Vangelo o della Scrittura;

2) vi spiegherò come capirli;

3) vi farò vedere come pregarli.

Questi tre momenti dovrete ripeterli per conto vostro, ma non sarà difficile perché cercherò di offrirvi degli esempi: lavorerete dunque sul titolo che vi darò ad ogni meditazione raccogliendo i testi, sforzandovi di capirli e di pregare su di essi.

Comunione e comunicazione

Sono venuto non solo per aiutarvi a riflettere, ma per pregare e per stare con voi. È la cosa più importante per il Vescovo vivere un momento di comunione, sia pregando in comune sia facendo silenzio. Perché anche nel mio silenzio pregherò con voi.

Tuttavia ho previsto un incontro con le varie classi per potervi anzitutto ascoltare. In questi incontri vorrei che ciascuno riuscisse ad esprimere quelle domande o quelle riflessioni che nascono dal lavoro fatto durante la giornata, e che riuscisse a esprimerle con libertà e tranquillità.

Naturalmente potrete anche scrivermi parlandomi di voi o di ciò che emerge dagli Esercizi. Quando non si tratta di cose strettamente personali risponderò in pubblico. Infine, nei limiti consentiti dal tempo, potrò ricevere chi avesse veramente bisogno di un colloquio privato.

Vorrei però sottolineare l’importanza della coscienza di comunione: soprattutto nella preghiera dobbiamo avere la certezza di essere una sola cosa e dobbiamo pregare come se fossimo una persona sola davanti al Signore.

Lettura del salmo 138

Per introdurci alla meditazione di domani leggiamo ora quel salmo 138 che ci spiega come Dio ci conosce.

Dapprima lo leggerò io e voi seguirete il testo (tra lascerò i versetti 19-22).

Quando avrò terminato, voi farete l’esercizio di sottolineare con la penna tutti i verbi che parlano del come Dio ci conosce: ad esempio, va sottolineato mi scruti, mi conosci, tu sai.

Dopo un momento di silenzio, ciascuno dirà ad alta voce i verbi che ha segnato. Concluderemo rileggendo insieme il salmo lentamente, in preghiera.

(Pausa di silenzio)

ARCIVESCOVO: Ho già ripetuto i primi tre verbi. Cosa viene adesso?

RAGAZZO: «Penetri da lontano i miei pensieri».

ARCIVESCOVO: Bravissimo! Come dici tu?

RAGAZZO: «Ti sono già note le mie vie… Già le conosci Mi circondi».

ARCIVESCOVO: Sì, anche «mi circondi» è un modo di conoscere. E tu?

RAGAZZO: «Poni su di me la tua mano».

ARCIVESCOVO: Bene, e poi tu hai segnato: «Mi guida la tua mano». Questo guidare è un conoscere di Dio. Mi guida perché mi conosce. Anche «mi afferra» è un’altra metafora per indicare la conoscenza che il Signore ha di me. La stessa espressione: «Mi hai creato» significa che Dio mi conosce come colui che mi sta facendo. Tu cosa hai detto?

RAGAZZO: «Hai tessuto».

ARCIVESCOVO: Sì, il Signore ci conosce come un tessitore conosce il suo tessuto. Non avete sottolineato, al v. 14: «Ti lodo perché mi hai fatto»? È la conoscenza attiva di Dio. È più facile che venga all’occhio il verbo che viene dopo: «Mi conosci fino in fondo». E poi?

RAGAZZO: «Non ti erano nascoste».

ARCIVESCOVO: Qui la conoscenza di Dio è espressa in maniera negativa. Possiamo anche segnare: «Mi hanno visto i tuoi occhi». Cosa c’è nella riga seguente?

RAGAZZO: «Era scritto».

ARCIVESCOVO: È un altro modo di conoscere, cioè la mia vita, le mie cose sono scritte in Dio. Adesso dovete passare al versetto 23.

RAGAZZO: «Tu scrutami… conosci».

ARCIVESCOVO: Bravissimo! Prima però metterei: «Provami» perché il Signore, provandomi, mi conosce, mi mette alla prova e mi entra dentro. Poi c’è: «Vedi», Dio vede e, quindi, «guidami».

Forse non pensavamo che il salmo 138 potesse esprimere così intensamente la conoscenza di Dio verso di noi: è un conoscere, uno scrutare, un penetrare, un esplorare, un comprendere, un circondare, un mettere sopra la mano, un far riposare la mano sul capo, un afferrare. I verbi attivi parlano di plasmare, creare, tessere, ricamare (nel testo ebraico il verbo è appunto ricamare, anche se in italiano è tradotto con tessere), fare, vedere, provare, guidare.

Il salmo ci offre l’immagine di tutto quello che cercheremo di dire in questi giorni, per capire come Gesù mi conosce. Mi conosce non come uno che da lontano guarda col binocolo! Mi conosce perché opera in me, mi è vicino, è dentro di me, mi fa, mi plasma, mi costruisce.

Se il salmi sta che non conosceva ancora Gesù poteva già indicare, con tanta ricchezza di esempi, di metafore, di similitudini, che cosa è la conoscenza che Dio ha dell’uomo, che Dio ha di me, quante cose potremmo dire sul modo in cui Gesù mi conosce!

Ora, per concludere, rileggeremo il salmo pregando, cioè parlando con Dio, rivolgendoci a Gesù eucaristico e quindi guardando il tabernacolo. Lo leggeremo in piedi, che è una posizione di preghiera, lasciando che il respiro accompagni il momento della preghiera e, più lentamente, la pausa di silenzio.

Pronunciando il pronome «Tu» pensiamo che è il «tu» di Gesù: è Gesù che mi scruta e mi conosce, e desideriamo che questi giorni si riempiano di stupore e di meraviglia di fronte alla scoperta del come lui ci ama.

È importante sapere che Gesù mi conosce?

Qualcuno potrebbe chiedersi se è davvero importante conoscere il modo in cui Gesù ci conosce. È una cosa che aiuta nella vita, che serve?

Vorrei rispondere a questa possibile domanda con le parole che Gesù, nel vangelo secondo Giovanni, rivolge alla samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva!» (Gv 4, 10).

Se noi conoscessimo il dono di Dio e chi è Gesù che ci parla, la nostra vita sarebbe completamente diversa. Senza questa conoscenza di Gesù la nostra vita è fiacca, si trascina. Quando, ad esempio, ci sentiamo privi di volontà, di entusiasmo, oppure andiamo avanti per alti e bassi, significa che non abbiamo la conoscenza di Gesù o che si è sfocata. Quando in una parrocchia c’è grigiore, stanchezza, mancanza di gioia, i giovani si lamentano e sono scontenti, la gente frequenta poco la chiesa, possiamo dire: «Qui non c’è conoscenza di Gesù». Se poi il grigiore e la fiacchezza dominassero una classe, un seminario, rivelando una poca conoscenza di Gesù, la vita diventerebbe pesante, per non dire impossibile.

Per quanto riguarda voi, credo che ciascuno, se non avesse questa conoscenza di Gesù, potrebbe dire: «Il mio futuro è incerto e buio, vorrei sapere ma non so se Gesù mi chiama davvero, non so come fare a capire se sono chiamato».

Se non ho la conoscenza di Gesù, le domande che mi pongo restano confuse e senza risposta.

Già san Paolo diceva che la conoscenza di Gesù è così importante da far dimenticare tutto il resto: «Quello che poteva essere per me un guadagno, tutto ciò che mi dava successo, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù mio Signore per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3,7-8).

Sono parole fortissime, con le quali l’Apostolo dice: «Se ho la conoscenza di Gesù non mi importa più niente del resto, mi sento pieno dentro di me».

È quindi fondamentale per la nostra vita la conoscenza di Gesù di cui parleremo in questi giorni, e dobbiamo insistere nella preghiera: «O Gesù, fa’ che io ti conosca, fa’ che ti conosca come mi conosci tu, fa’ che io conosca come tu mi conosci!».

I. GESÙ CONOSCE TUTTO E TUTTI

Il titolo della prima meditazione è: «Gesù conosce tutto e tutti». Cercheremo di svolgerla secondo i tre momenti del raccogliere i testi, capirli, pregarli.

La raccolta dei testi

Vi segnalo quattro brani del Vangelo dai quali appare che Gesù conosce tutto e tutti. Naturalmente, nel vostro lavoro personale, ciascuno potrà aggiungerne altri.

1. Il primo è un testo molto bello, cui diamo il nome: «Gesù conosce Natanaele», ed è riportato dall’evangelista Giovanni. «Natanaele domandò a Gesù: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse io ti ho visto quando eri sotto il fico”»(Gv 1,48).
«Sotto il fico», indica probabilmente che Natanaele stava pregando o leggendo la Scrittura all’ombra di quella pianta. Gesù lo conosceva già e Natanaele si sente conosciuto da Gesù.

2. Il secondo testo, sempre dall’evangelista Giovanni, riporta alcune parole del dialogo tra Gesù e la samaritana. Lo indichiamo così: «La samaritana è conosciuta da Gesù». Cosa le dice, in realtà?
«Le disse: “Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene… Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito. In questo hai detto il vero”. Gli replicò la donna: “Signore, vedo che sei un profeta”» (Gv 4,16-19).

3. li terzo brano è nel vangelo secondo Matteo: «Gesù conosce i farisei». A Gesù viene portato un indemoniato e lui lo guarisce lasciando sbalordita la folla. I farisei, invece, cominciano a mormorare: «”Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebul…”. Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: “Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde puòreggersi”» (Mt 12,24-25).
Gesù conosce dunque persino i pensieri dei farisei.

4. L’ultimo testo è dal vangelo secondo Luca e possiamo chiamarlo: «Gesù conosce gli apostoli».
«Frattanto sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: “Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome accoglie me”» (Lc 9,46-48).

La comprensione dei testi

Adesso dobbiamo metterci al posto dei personaggi chiedendoci come hanno vissuto la situazione descritta dagli evangelisti. Che cosa avviene in loro quando si sentono conosciuti da Gesù?
Avvengono due cose che ciascuno di noi ha sperimentato o sperimenta.

 La prima è il brivido di sentirsi conosciuto. Ma come mai tu mi conosci? Natanaele, infatti, lo chiede: «Sai davvero chi sono? E come fai a saperlo, come mai mi conosci e conosci ciò che nessuno conosce di me?».
È il brivido di scoprire che c’è qualcuno che mi conosce dentro e dall’alto, che mi conosce davvero, come mai avrei pensato di essere conosciuto. Ogni volta che noi ci accorgiamo di essere conosciuti da una persona che pensavamo ci fosse estranea, ci meravigliamo e restiamo scossi.
È questa la situazione dei personaggi dei testi. La samaritana resta stupita: «Ma come mai sa chi sono?». Gli apostoli non credevano che Gesù potesse vedere nei loro cuori.
Ricordo ancora l’emozione semplicissima che ho vissuto una volta a Parigi – città ancora più grande di Milano -, nella metropolitana. Nelle metropolitane delle città molto grandi ci sono moltissime persone che si affollano, si urtano senza mai salutarsi, senza avere il tempo di guardarsi. Tra l’altro, io non conoscevo nessuno a Parigi. Ad un certo punto, ecco che mi sento chiamare! Mi sembrava impossibile, non riuscivo a crederci. Si trattava di una persona che, quasi per caso, avevo conosciuto tempo prima; non ho dimenticato il senso di stupore provato in quella occasione. Pensavo di essere solo, sperduto in una grande folla, e invece c’era qualcuno che mi conosceva.
È il brivido che ha vissuto Mosè quando, nel deserto, si sentì chiamato per nome. Era solo nel deserto, abbandonato ed era certo che nessuno pensava a lui. Ad un tratto, la voce: «Mosè, Mosè!».
È il brivido di Natanaele, della samaritana, dei farisei e degli apostoli; è il brivido di capire che c’è uno, più alto di me, che sa leggere in me, nel mio cuore.

 La seconda cosa non la provano forse tutti, e vedremo più avanti il perché. L’hanno però sperimentata i personaggi di tre dei testi evangelici, non i farisei di cui ci parla il brano di Matteo. È la gioia di sapere che c’è uno che mi conosce davvero. Se siamo ben disposti ad accogliere il brivido di sentirci conosciuti, se non abbiamo paura di essere giudicati (come l ‘hanno avuta i farisei), se siamo pronti come Natanaele o la samaritana, c’è la grande gioia, una gioia immensa.
Perché c’è una gioia immensa nella scoperta di sapere che c’è uno che mi conosce davvero? Perché talora capita – almeno a me, e mi capitava spesso alla vostra età – di avere il timore di non essere conosciuti per ciò che siamo. Mi capiscono gli altri? Mi capiscono veramente? Forse mi sono comportato goffamente, forse ho detto delle cose sbagliate, non quelle che volevo dire, e il risultato è forse che non mi sono fatto conoscere.
I superiori, ad esempio, mi conoscono davvero? E i compagni? Magari pensano di conoscermi, mi hanno addirittura dato un soprannome, ma mi conoscono per per quello che io sono? E i miei genitori mi conoscono, mi capiscono? Se mi capissero non sarebbe nato quel malinteso!
Ecco la gioia di sapere che c’è uno che mi conosce fino in fondo, che conosce i miei momenti cattivi, i miei desideri, che conosce di me anche ciò che non riesco a dire, a spiegare, che non ha bisogno di parole perché mi ha già visto dentro. Quando troviamo una persona che ci conosce in questo modo restiamo sorpresi e comprendiamo che la sua conoscenza viene da Dio, è qualcosa di divino.

Gesù è quindi Dio che mi conosce così.

Un’ultima riflessione è sui farisei. Hanno rabbia di sapere che un altro li conosce, hanno timore di essere smascherati, di essere colti nella loro ipocrisia. È una situazione difficile e pericolosa, perché se ci si incaponisce nella rabbia, si rifiuta la conoscenza di Gesù, non si ammette il proprio peccato.

La preghiera sui testi

Per pregare sui brani evangelici occorre semplicemente mettersi al posto di Natanaele o della samaritana o dei farisei o degli apostoli, non per indagare sulle loro reazioni bensì per parlare con Gesù. È questo il momento più importante del nostro lavoro. Se dalla lettura del Vangelo non passiamo alla preghiera, non ricaviamo grande frutto per la nostra vita.

– Cominciamo da Natanaele. Che cosa direi io, al posto di Natanaele?

Natanaele probabilmente non era molto stimato, non era un personaggio importante. lo, allora, direi: «Grazie, Gesù, perché mi conosci davvero, perché mi hai capito e hai capito che valgo qualche cosa. Grazie perché ti preoccupi di me, pensi a me, mi stimi. Grazie, Gesù, perché vedi anche il poco bene che faccio e sai valorizzare quello che forse né i miei compagni e nemmeno i miei superiori capiscono di me. Grazie perché mi conosci più a fondo di tutti e vedi il bene che tu hai messo dentro di me».

– Cosa direi al posto della samaritana?

«Grazie, Signore, perché conosci quanto poco valgo, perché conosci le mie sconfitte e le conosci con amore. Grazie perché conosci tutte le mie negligenze, le mie vigliaccherie che quasi nessuno conosce. Grazie perché conosci i miei peccati, le mie pigrizie, la mia sonnolenza, le mie chiacchiere, le mie arrabbiature, i miei litigi: tu però li conosci con amore, non te ne spaventi e mi resti vicino egualmente, li conosci e mi vuoi migliorare. Gesù, tu vedi in che situazione sono! Certe volte non so proprio da che parte voltarmi; sono come la samaritana, una povera donna senza cultura e senza istruzione; sono incapace di uscire dalla situazione in cui mi sono venuto a trovare. Tu mi conosci, Gesù, e questo mi basta».
La conoscenza di Gesù ci dà una grande calma, ci mette la pace nel cuore. Quando siamo arrabbiati perché siamo stati capiti male, quando ci sentiamo trattati ingiustamente, un po’ calunniati, forse derisi, oppure ci sentiamo incapaci a fare qualcosa e ne proviamo vergogna, è il momento di appellarci alla conoscenza che Gesù ha di noi.
«Gesù, tu mi conosci e questo mi basta; sai che sono così e mi vuoi bene così, mi aiuti a camminare così, anche quando zoppico, anche se non sono il più bravo della classe. Tu mi aiuti sempre, anche se non sono il primo davanti agli altri, mi vuoi bene lo stesso. Sono contento di sapere che mi conosci così».
Come dicevo, questa conoscenza di Gesù è fonte di grande pace e non solo per voi. È fonte di pace per gli adulti, per i preti, per il Vescovo, per il Papa. Ci sono le critiche, ci sono tante cose da fare e non si riesce, e tuttavia c’è Gesù che ci conosce, che conosce la nostra povertà, che perdona i nostri peccati.

– Cosa direi al posto degli apostoli?

Qui la preghiera si fa più difficile perché bisogna accettare che Gesù conosce e capisce anche quello che io non capisco di me. Gli apostoli, quando discutevano chi fosse tra loro il più grande, non si comprendevano e non riuscivano a capire tutti i movimenti di superbia che avevano nel cuore. Gesù li conosce più di quanto loro non si capiscono e la loro preghiera, una volta che si sono un po’ calmati, potrebbe essere: «Grazie, Signore, perché sai anche quello che io non so di me».
È importante sapere che Gesù conosce ciò che io non capisco di me stesso.
A me capitava, quando avevo la vostra età e anche dopo, di non capire, ad esempio, perché in certi momenti ero tanto entusiasta e poi, improvvisamente, diventavo triste, mi irritavo, provavo sentimenti che non avrei voluto avere. È difficile capire se stessi, e occorrono molti anni per giungere a conoscersi abbastanza bene: dico abbastanza perché, in realtà, ci sono sempre delle sorprese amare e là dove credevamo di essere forti ci siamo comportati da deboli, là dove pensavamo di essere coraggiosi siamo stati vigliacchi, là dove ci sentivamo tenaci e perseveranti ci siamo scoperti fiacchi!
«Tu però, Gesù, mi conosci e mi capisci! Stando con te, adagio adagio capirò meglio anche me. il mio modo di discutere era sbagliato, come era sbagliato il modo di discutere degli apostoli, e sono lieto di sapere che tu mi conosci meglio di me, che conosci ciò che faccio fatica a chiarire a me stesso. Signore, io mi affido a te!».

– Ancor più difficile è mettersi al posto dei farisei perché sono chiusi, non accettano di essere conosciuti da Gesù, anzi ritengono che Gesù non li conosca affatto. Non c’è quindi preghiera ma rifiuto. Non ci interessa questa conoscenza di Gesù, sappiamo bene ciò che noi siamo e ciò che vogliamo.
Molte vie sbagliate della nostra vita sono dovute al rifiuto della conoscenza di Gesù ed è necessario riflettere sull’atteggiamento dei farisei.
Prima di lasciarvi al lavoro personale, all’esercizio di raccolta dei testi, di comprensione e di preghiera, concludo con una breve invocazione: «Ti chiedo, Signore, come san Paolo, di saper apprezzare talmente la conoscenza di te da desiderarla sopra tutte le cose. Donami, Padre, la conoscenza di Gesù! Te lo chiedo per Gesù Cristo nostro Signore. Amen».

Vivere per Gesù e con Gesù
(omelia nella S. Messa del 4 marzo)

Ascoltando il brano del vangelo secondo Matteo (6,7-18) avrete già notato che parla della conoscenza che il Padre ha di noi, quella conoscenza che comunica a Gesù, perché Gesù è una sola cosa con il Padre.

Possiamo partire dalla parola finale del brano: «Il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà» (6;18). Il Padre vede là dove nessuno vede, nel segreto del mio cuore. Anzi, il Padre non soltanto vede nel segreto ma è nel segreto (6,18). Quando sono in camera, da solo, o in qualunque luogo io mi trovi solo, e nessuno può vedermi, lui è là. Il Padre è. Pensiamo all’esperienza di chi, trovandosi nella solitudine di un deserto, può dire: Dio, il Padre è qui, è con me. Il Padre è nel momento più nascosto della mia vita, nel bene e nel male.

Sono due affermazioni: «vede nel segreto», «è nel segreto», che corrispondono alla tesi svolta nella meditazione: Gesù conosce tutto e tutti.

Ci domandiamo: chi sono coloro che non credono che Dio vede nel segreto ed è nel segreto? Chi sono coloro che magari lo credono a parole e però non a fatti? Come si chiamano queste persone?

Gesù dà loro il nome di «ipocriti». Ipocrita è chi non crede che Dio vede nel segreto e quindi ha sempre bisogno di farsi vedere dagli altri, credendo che sia questa la cosa importante. Ipocrita è chi recita, chi si mette la maschera, chi vive recitando una parte per farsi applaudire, approvare, lodare dai superiori, dai compagni, dagli amici.

L’ipocrisia significa essere contenti che gli altri ci stimino ed essere tristi quando gli altri ci trascurano o pensano male di noi.

La vera vita, ci insegna Gesù, consiste invece nel vivere davanti al Padre, per il Padre e con il Padre, per Gesù e con Gesù.

È una sorte terribile quella di chi si lascia prendere dalla mania dell’ipocrisia, del fare cioè ogni cosa pensando a quello che gli altri potranno dire. È una vera e propria schiavitù che ci toglie la libertà, che ci impedisce il coraggio nelle convinzioni. È una mancanza di libertà anche nel bene. Infatti Gesù prende in giro coloro che assumono l’aria malinconica, che si sfigurano il volto per mostrare agli uomini di aver digiunato!

È veramente libero chi si preoccupa del Padre che vede nel segreto, chi vive, come Abramo, davanti a Dio e cammina davanti a lui.

«Gesù, fa’ che noi camminiamo sempre solo davanti a te! Tu lo sai che abbiamo paura del giudizio degli altri, che quando gli altri ci deridono ci rattristiamo e ci arrabbiamo. Però, quando pensiamo a te, ci accorgiamo che la sola cosa importante è il giudizio che tu hai di noi, è ciò che tu ci dici.

Aiutami, Signore, a vivere questi giorni di Esercizi nel segreto, facendo quindi silenzio, pregando, non per farmi notare dai compagni, non per farmi lodare, bensì perché so che tu mi conosci. Fa’ che io conosca il modo meraviglioso con il quale tu mi conosci, perché allora non sarò mai un ipocrita, non sarò triste; sarò una persona libera e piena di gioia».

1-Angelo5

II. GESÙ CONOSCE ILLUMINANDO

«Vieni, Spirito Santo, e riempi i nostri cuori della conoscenza di Gesù, allarga il nostro cuore perché possiamo conoscere l’ampiezza della sua conoscenza! Maria, madre di Gesù, aiutaci a comprendere che Gesù ci conosce illuminando; tu che sei la fonte della nostra gioia, prega per noi!».

Dopo aver detto che Gesù conosce tutto e tutti incominciamo a vedere come, in quale modo Gesù ci conosce. li titolo di questa seconda meditazione è: «Gesù conosce illuminando» e, applicandolo a ciascuno di noi: «Gesù mi conosce illuminandomi».

Prima di raccogliere i testi del Vangelo su questo tema della luce, vorrei spiegare il significato stesso del titolo. Se, per esempio, entra qui una persona, si siede al mio posto e getta un’occhiata su di voi, ecco che vi conosce. E se voi la guardate, la conoscete. Si tratta tuttavia di una conoscenza molto superficiale, che non ci tocca dentro; è come quando si va in autobus o in treno e vedendo tanta gente la si conosce. Però ciascuno rimane com’è. La conoscenza di Gesù è di una qualità diversa perché lui è luce, luce vera che illumina ogni uomo e ogni cosa, esattamente come la luce del sole illumina tutto ciò su cui si posa, avvolgendolo. Ricordate il salmo 138 là dove dice: «Nemmeno le tenebre per te sono oscure»?

Gesù quindi ci conosce non da lontano, non superficialmente, ma venendo vicino a noi come luce e operando in noi il duplice effetto della luce. Qual è il duplice effetto della luce?

La luce penetra nei corpi trasparenti, creando invece un’ombra quando trova un corpo opaco. Gesù ci conosce come una luce che, arrivando in noi, distingue quello che è luce da tutto quello che è tenebra. Potremmo anche dire che Gesù mi conosce illuminando e separando nella mia coscienza la luce dalle tenebre.
Può sembrare un po’ difficile il concetto, ma i testi che raccoglieremo ci aiuteranno a capirlo.

La raccolta dei testi

Cerchiamo allora quei brani del Vangelo dove si vede che Gesù conosce come luce, con il duplice effetto di rendere luminosi coloro che lo accolgono e mettendo in rilievo l’ombra di coloro che sono opachi e non lo accolgono.

Ve ne suggerisco due molto belli, lasciando a voi di trovarne altri.

1. Il primo brano racconta la scena di Gesù in casa di Simone, di fronte alla donna peccatrice: Lc 7,36-50. La luce, che è Gesù, colpisce due persone, Simone e la peccatrice, e però con un effetto diverso. Simone è opaco e la luce di Gesù fa emergere la sua oscurità; la donna è trasparente, aperta e la luce di Gesù la conosce trasformandola.

2. Il secondo brano è un racconto della passione di Gesù: Lc 23,39-43. Crocifissi con Gesù ci sono due ladri e Gesù li illumina entrambi: uno si lascia illuminare e lo accoglie; l’altro respinge la luce e resta nella tenebra.
Ci sono tanti altri episodi evangelici che ci parlano di persone trasparenti nelle quali penetra la luce di Gesù, e di persone opache che la respingono. Sono certo che voi saprete trovarli.

La comprensione dei testi

Passiamo al momento della riflessione nel desiderio di capire i testi evangelici che abbiamo trovato.

– Lc 7,36-50. Gesù è invitato da un fariseo, di nome Simone, entra in casa sua, si mette a tavola. Ad un tratto giunge una donna, con un vasetto di olio profumato e si mette ai suoi piedi: piange, bacia i piedi di Gesù, li cosparge di olio. Simone, che l’aveva invitato, pensa dentro di sé: «Se costui fosse un profeta saprebbe che specie di donna è costei che lo tocca: è una peccatrice!». È interessante quello che il fariseo pensa. Egli sa che Gesù conosce i cuori degli uomini e tuttavia non si immagina che li conosce illuminandoli, cioè entrando nella loro coscienza.
Che cosa avviene? Essendo luce per tutti e due, Gesù conosce con amore sia Simone che la donna, è disposto e pronto a volere il loro bene. Sono queste due persone che si comportano in maniera diversa.

Simone è pieno di sé, della propria dignità, è convinto di aver fatto un piacere a Gesù invitandolo a mangiare e si aspetta che Gesù lo ringrazi, che apprezzi il coraggio da lui avuto facendolo entrare in casa sua! La luce di Gesù non può penetrare in Simone, perché trova materia opaca ed emergono le ombre della superbia e della vanità, della presunzione e del disprezzo che Simone ha degli altri. Pur essendo luce, Gesù incontra la resistenza e la chiusura del cuore.

La donna, invece, piange ai piedi di Gesù pensando di non valere niente, di non meritare niente perché ha sbagliato. La gente mormora di lei ed ecco che lei si affida a Gesù. La luce la penetra perdonandola e rifacendola nella sua vita.

Simone si erge a giudice, giudica Gesù e la donna; la donna si lascia giudicare da Gesù e si lascia trasformare dalla sua luce.

Gesù, conoscendoci come luce, può rivelare la nostra superbia e la nostra bontà. Per questo dice a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei, da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai cosparso il mio capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati poiché ha molto amato. Quello invece a cui si perdona poco, ama poco» (Lc 7,44-47).

Gesù dunque capovolge la situazione: Simone, che presumeva di avere grandi meriti, è smascherato come uomo meschino, gretto, freddo, arido, incapace di accogliere bene un ospite; la donna, che era disprezzata, rivela di avere il cuore più grande di tutti.

Questo è il modo in cui siamo conosciuti da Gesù, e fino a quando non ci lasciamo conoscere così non abbiamo ancora capito come ci conosce, non abbiamo veramente compreso come Gesù, con la sua conoscenza, entra dentro di noi.

– Lc 23,39-43. L’episodio ci è noto: Gesù è appeso alla croce e vicino a lui sono crocifissi due ladri. Uno lo insulta dicendo: «”Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso”».

La scena è simile a quella di Simone e della peccatrice.

C’è Gesù che sta morendo, e con la sua morte e con il suo amore illumina i due uomini crocifissi. Uno però è chiuso, pieno di rabbia e di amarezza e non vuole accettare di avere sbagliato, getta la colpa sugli altri, grida contro la società, non riconosce di aver fatto del male, di essere stato ingiusto.

L’altro, invece, ammette i suoi errori, sa di ricevere un castigo corrispondente alle azioni malvagie che ha compiuto e riconosce che Gesù non ha fatto nulla di male.

È lo stesso Gesù che ha messo in luce le tenebre del primo e che rischiara il cuore del secondo: lo rischiara al punto che il buon ladrone afferma la grandezza di Gesù e il suo potere nel regno di Dio.

Ci sarebbero tante altre riflessioni da fare e affido a voi questo lavoro: se troverete altre pagine evangeliche che parlano della conoscenza di Gesù che illumina i cuori trasparenti e mette in evidenza le ombre dei cuori chiusi e presuntuosi, potrete paragonarle l’un l’altra, approfondendo sempre più il tema della meditazione.

La preghiera sui testi

Proviamo a metterci ora nella situazione di preghiera dei personaggi che abbiamo cercato di capire.

 La preghiera della peccatrice ai piedi di Gesù può diventare la nostra preghiera: «Gesù, sono anch’io ai tuoi piedi, ho la fortuna di essere davanti a te che sei nel tabernacolo come Eucaristia. Mi verrebbe voglia di cantarti tutti i miei meriti, come Simone, e invece preferisco riconoscere che ho degli sbagli e dei peccati. Signore, non sono sempre come vorrei ,essere, non sempre prego volentieri, spesso mi lascio vincere dalle distrazioni. Signore, talora ce l’ho con i miei compagni, sono invidioso, ho dei risentimenti, mi irrito ed esprimo la mia ira con parole e con gesti. Signore, tante volte non lascio il primo posto agli altri, me lo prendo io il primo posto, convinto che mi spetti». In questo momento Gesù mi illumina perché sono sincero davanti a lui.

– Se, al contrario, mi metto nella situazione di Simone, prego così: «Signore, gli altri hanno sbagliato, ce l’hanno con me, mi trattano male e ingiustamente, non mi capiscono, mi mettono da parte, credono di valere più di me».

– Sono due modi di pregare che ci fanno venire alla mente un altro brano del vangelo di Luca, là dove si parla del fariseo e del pubblicano: due personaggi che reagiscono diversamente alla luce di Gesù (Le 18,9-14). E poi c’è pure il racconto parabolico del buon samaritano, del levita e del sacerdote (Lc 10,30-37). Un uomo ferito è sulla strada, e Gesù illumina tutti coloro che gli passano accanto: la sua luce è accolta dal samaritano ed è respinta dal sacerdote e dal levita.
La preghiera di fiducia in Gesù e di riconoscimento del nostro peccato è una preghiera di preparazione al sacramento della Confessione.
Confessarsi significa mettersi, come la peccatrice, ai piedi di Gesù, significa porsi vicino al ladro sulla croce, vicino al pubblicano che prega nel tempio e al buon samaritano che si ferma accanto al ferito, e dire: «Signore, illumina la mia vita, fammi capire chi sono io veramente, entra in me come luce che illumina, purifica, riscalda, fa’ che io mi lasci conoscere da te fino in fondo… Signore, come vorrei poterti gridare, come il ladro, di ricordarti di me nell’ora della mia morte! Ho sbagliato, è vero, ma io confido in te».
Gesù allora entra nel nostro cuore, nella nostra vita e resta con noi.

Applicazioni pratiche

– Come prima applicazione pratica della nostra riflessione, chiediamo la grazia di prepararci al sacramento della Confessione avvicinandoci a Gesù come luce che entra in noi, che ci chiarisce e dona serenità al nostro cuore mettendo a posto le cose che sono sbagliate. Do. mandiamoci: Come vivo il sacramento della Confessione? È per me un avvicinarmi a Gesù come luce?

– Una seconda applicazione pratica, sulla quale vi invito a riflettere, riguarda la direzione spirituale che è la continuazione della parola di Gesù che ci illumina.

Chi è aperto nella direzione spirituale, chi si manifesta facilmente, chi si esprime con tranquillità, certamente si lascia illuminare da Gesù.

Chi invece cerca di nascondersi, di mostrarsi diverso da quello che è, magari per vergogna, mette in risalto la sua oscurità e non permette a Gesù di essere luce.

La direzione spirituale, che voi avete, è un dono immenso e vorrei che ve ne rendeste conto. Girando le parrocchie per la visita pastorale, incontro tanti ragazzi, pieni di buoni propositi, desiderosi di impegnarsi, e io mi dico che la maggior parte di loro non potrà fare un grande cammino perché non hanno un po’ di direzione spirituale: i loro buoni propositi si scioglieranno e non riusciranno ad accettare fino in fondo Gesù come luce.

Credo infatti che sia molto difficile che un ragazzo, a partire dai 12-13 anni [mo ai 18 anni, viva una vita cristiana seria senza l’aiuto della direzione spirituale. Voi avete quindi una grande fortuna e forse alcuni vostri compagni di parrocchia vi invidiano perché il loro sacerdote ha poco tempo e fanno fatica a trovare chi li guidi con la direzione spirituale.

«O Maria, madre di Gesù, aiutami ad accogliere Gesù come luce nella mia vita. Tu vedi che ci sono in me le tenebre che io stesso non conosco. Fa’ che esse non resistano alla luce di Gesù, ma che si aprano a lui nell’esame di coscienza, nella Confessione, nella direzione spirituale, nella meditazione e nell’ascolto della parola di Gesù. O Maria, tu che hai permesso a Gesù di illuminare la tua vita, aiutami affinché in ogni momento della mia vita io lasci che Gesù illumini la mia coscienza. Fa’ che io possa conoscerlo come mio amico, mio Salvatore e Redentore!

Donami, o Maria, questa grazia e donala a tutti noi, a tutti i seminaristi, a tutti i ragazzi della nostra parrocchia che talora hanno più buona volontà di me ma non hanno i mezzi che a me sono offerti. Fa’ che io mi lasci illuminare da Gesù anche per loro. A volte invidio i miei compagni che non sono in seminario perché hanno una vita più libera della mia; ti prego, Madre, fammi conoscere i doni grandi che mi sono stati dati rispetto a loro. Di questi doni io sono responsabile per tutti, sono responsabile perché quei miei compagni possano crescere nella verità e nell’amore, perché anch’essi possano conoscere Gesù come lo conosco io!».

samaritana al pozzo 02

III. GESÙ CONOSCE SOPPORTANDO

«Ti ringraziamo, Signore Gesù, perché ci chiami davanti a te. Tua è la parola che ascoltiamo e non parola di uomini; tu parli al nostro cuore. Sei tu che ci parli con amicizia, è a te che diciamo grazie perché ci hai dato tante cose. E noi, Gesù, che cosa daremo a te?
Fa’ che oggi sappiamo darti qualcosa di importante, fa’ che ti conosciamo come tu ci conosci perché possiamo essere veramente tuoi amici, così come tu sei amico nostro.
Maria, madre di Gesù, sede della sapienza e aiuto dei cristiani, prega per noi. Amen».

Abbiamo visto come Gesù conosce tutto e tutti, abbiamo compreso che Gesù ci conosce illuminando e separando in noi la luce dalle tenebre. Forse qualcuno di voi avrà anche pensato che la prima grande illuminazione che Gesù ha fatto nella nostra vita – l’illuminazione che resta fondamentale – è il Battesimo. Nel Battesimo ci ha chiamato per nome e ci ha dato il dono della fede, della speranza e dell’amore.

Sarebbero molti i temi sulla conoscenza che Gesù ha di noi, sul come Gesù ci conosce, e tuttavia io mi devo limitare a suggerirvi quattro meditazioni in tutto. Vorrei però çhe voi continuaste, terminati questi giorni di ritiro spirituale in comune, a cercare altri titoli. Ad esempio, sarebbe bello approfondire la tesi: «Gesù ci conosce perdonandoci». Quando Gesù ci perdona nel sacramento della Confessione, ci perdona dal di dentro, come uno che ci conosce e ci ama a fondo.

Il perdono è uno dei modi migliori per diventare amici! Ci sono amicizie che nascono dal trovarsi bene insieme, e ce ne sono altre che nascono da un perdonarsi sincero dopo aver litigato: questo secondo tipo di amicizie è certamente più forte. Non so se ricordate il grande gesto di perdono eroico che il figlio di Vittorio Bachelet ha avuto nei riguardi dei terroristi che avevano ucciso suo padre, o il gesto eroico di perdono di Maria Fida Moro: da questi gesti è nata una profonda amicizia tra il figlio di Bachelet e i terroristi, tra Maria Fida Moro e i terroristi. Il perdonare è segno di amicizia. Confido quindi che voi saprete riflettere su altri modi con cui Gesù ama ciascuno di voi.

In questa terza meditazione vorrei svolgere il titolo: «Gesù mi conosce sopportando». Non vuol dire che Gesù mi conosce sopportando la mia pigrizia, la mia svogliatezza, il mio poco impegno! Si tratta di qualcosa di molto più profondo: Gesù mi conosce vivendo delle prove e delle tentazioni simili a quelle che vivo io, Gesù mi conosce facendosi simile a me nelle prove. Svolgiamo il titolo attraverso i tre momenti che ormai avete certamente imparato.

La raccolta dei testi

Sono tre i testi evangelici che ho pensato di suggerire.

1. Le tentazioni di Gesù: Mt 4,2. Gesù dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ha avuto fame e allora il tentatore gli si avvicina. Mi fermerò soltanto sul significato delle seguenti parole: «Gesù ebbe fame».
È una fame diversa da quella che si può avere dopo aver giocato tutta la mattina, dopo essersi impegnati a fondo in una gara sportiva. La fame che Gesù prova si avvicina alla grande fatica di coloro che fanno, ad esempio, lo sciopero della fame. Per quaranta giorni e quaranta notti aveva vissuto con pochissimo – un po’ d’ acqua da una pozzanghera, qualche erba -; è stanco, affaticato, con la testa vuota e non ha più voglia di niente. Gesù prova la tentazione di pesantezza che noi sentiamo nella vita quotidiana quando tutto ci è difficile e ci dà disgusto: facciamo fatica a vedere i compagni, facciamo fatica ad alzarci e a rispondere al richiamo della campana.
Gesù ci conosce perché ha provato anche lui queste cose.

2. Il secondo testo è il racconto del Getsemani: Mt 26,38. Gesù prende con sé Pietro e i due figli di Zebedeo (Giacomo e Giovanni) e va con loro nel podere chiamato Getsemani. Poi dice loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Da ragazzo questo brano mi faceva molta impressione e mi chiedevo: «Come è possibile che Gesù provi tristezza e angoscia fino alla morte? Come è possibile che Gesù provi le tristezze che posso sentire io, i momenti di ansietà che talora vivo?». Gesù mi conosce anche in quei momenti di turbamento e di angoscia che nessun altro forse conosce.

3. Il terzo testo è la terribile tentazione di Gesù sulla croce: Mt 27,40. I passanti insultano Gesù crocifisso e gli dicono: «Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce!».

La comprensione dei testi

Abbiamo già detto sufficientemente della prima tentazione, quella della fame, della stanchezza infinita provata da Gesù.

– Pensando all’angoscia del Getsemani dovremmo approfondire la riflessione leggendo, sempre al c. 26 del vangelo secondo Matteo, là dove si dice che «tutti i discepoli fuggirono» (v. 56). Gesù si sente solo e nessuno dei suoi gli dà più retta, nessuno sta più dalla sua parte. La tristezza giunge fino all’esperienza della solitudine, del sentirsi abbandonato. Talora ci capita di sentirci soli, anche se abbiamo intorno i compagni di scuola, i superiori del seminario, se ci sono con noi i genitori e gli amici. È una sensazione che non riusciamo a spiegare, che ci fa soffrire, che ci toglie ogni gioia. Gesù ha già vissuto tutto questo e l’ha voluto provare per me, per darmi la certezza che lui conosce tutto di me e sempre mi è vicino, mi ama.

– Nel terzo testo, Gesù viene tentato in ciò che gli sta più a cuore: «Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce». Ma Gesù è figlio di Dio e l’insulto vuol costringerlo a scegliere la via del potere, del trionfo, lasciando la via dell’obbedienza e dell’umiltà. È quindi tentato sulla sua strada, sulla sua vocazione. Spesso vi sarà capitato o vi capiterà che altri dicano: Ci sono tante cose da fare per la Chiesa e perché tu scegli la via del seminario, una via di sacrificio, di rinuncia? Perché scegli la via del sacerdozio, una via povera e difficile?
La fame e la fatica, la tristezza fino alla solitudine, la tentazione sulla vocazione, sono tre esempi attraverso i quali vediamo che cosa Gesù sopporta per noi.

– Comprendere i tre testi vuol dire approfondire la domanda: Perché, Signore Gesù, tu che non avevi bisogno di viverle, sei passato per queste prove così dure? E Gesù ci risponderà: Per esserti vicino, per conoscere e sperimentare quello che tu puoi provare e provi.
Sarebbe utile che ciascuno di voi, personalmente, cercasse di leggere un altro brano della Scrittura, che si trova nella lettera agli Ebrei – forse la più difficile di tutto il Nuovo Testamento -: «Gesù doveva rendersi in tutto simile ai fratelli per diventare un sacerdote misericordioso e fedele… Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,17-18).
Leggendo e rileggendo questi versetti sono certo che, con la grazia del Signore, potrete capire meglio che cosa significa che Gesù ci conosce sopportando e che non situazione nella quale non possa darci una mano, anche se il demonio tende a suggerirci: «TI Signore ti ha abbandonato, nessuno più pensa a te!».

La preghiera sui testi

Sono cinque le domande che vi aiuteranno a pregare insieme con Gesù.

Prima domanda: Quali sono le mie tentazioni? Ciascuno dovrà naturalmente rispondere personalmente e potrà poi parlarne con il confessore o con il direttore spirituale.
Sarà forse la fatica di pregare, la svogliatezza, oppure la tentazione degli alti e bassi, il cambiamento di umore con passaggi dalla gioia alla malinconia, voglia di piangere, tristezza… Altre tentazioni possono riguardare la nostra vita, la nostra fantasia, il nostro corpo, i nostri progetti, il nostro futuro. Pensare a quelle che mi toccano più da vicino chiedendo al Signore: «Gesù, tu che hai sofferto tante prove per me, fammi capire quali sono adesso le mie prove». Perché ci sono prove che non riusciamo a cogliere e sarà importante forse fare un elenco, per iscritto, delle più decisive.

Seconda domanda: Mi spavento delle prove? Mi fanno paura? Quando, ad esempio, abbiamo l’impressione di vivere una prova che nessuno può capire, sopravviene il timore. Ricordo il grande bene che mi ha fatto il Diario di Giovanni XXIII, là dove parla delle difficoltà e delle prove che ha passato quando era un giovanissimo seminarista, delle prove avute con la famiglia, dei suoi difetti, dei problemi che ha dovuto affrontare da prete, da delegato apostolico in Turchia, in Bulgaria, e poi da Papa. Mi ha fatto bene perché ho capito che prima o poi passiamo tutti per le stesse tentazioni, le stesse difficoltà. Tra l’altro Giovanni XXIII ne parla con tale semplicità da aiutarmi a ridere un po’ sulle mie prove.
Il demonio invece cerca di farci paura mettendoci in mente che la nostra è la prova più grande di tutte, che nessuno l’ha mai vissuta, che è meglio non parlarne perché non saremmo capiti, ecc.

Terza domanda: Mi sento solo nelle mie prove? Sentirsi solo è già una prova. Le prove più dure sono quelle che non vogliamo esprimere nemmeno nella preghiera, dicendo a noi stessi che Gesù non può aiutarci, che siamo fatti così e non c’è altro da fare. E, naturalmente, il demonio si accanisce a farci credere che siamo davvero soli.

Quarta domanda: Mi faccio aiutare da Gesù nella preghiera, dalla Madonna, da una visita al SS.mo Sacramento, da una lettura del Vangelo, soprattutto da un colloquio con il direttore spirituale? Oppure penso che posso cavarmela da me? In questo secondo caso cadremmo in una grandissima tentazione.

Quinta domanda: Mi difendo? Bisogna, infatti, imparare a difendersi nelle tentazioni. In questi giorni, trovandomi con voi, mi sono venute in mente abbastanza chiaramente le prove e le tentazioni che ho avuto da ragazzo e per questo vi dico: è estremamente importante non che il Signore ci tolga le prove o tentazioni bensì che ci aiuti a saperci difendere, a saper resistere. Le prove hanno una grande utilità nel nostro cammino: senza di esse non si riesce a crescere, a diventare maturi e io ringrazio il Signore per tutti i momenti difficili attraverso i quali sono passato e ancora passerò. Tuttavia dobbiamo imparare a difenderci. Come ci si difende?

1. Non indugiare nei pensieri che ci vengono, non rimuginare sul perché e sul come. Se indugiamo, ad esempio, nelle prove depressive – scoraggiamento, malinconia – ne rimaniamo avvolti come ci avvolge un serpente quando attacca. Bisogna interrompere con decisione il corso dei pensieri.

2. Fare qualche cosa, qualche attività: cantare, correre, ascoltare una bella musica, leggere un salmo, dedicarci a una cosa che ci interessa. Se non si reagisce fortemente, ci deprimiamo sempre di più.

3. Per difenderci dalle tentazioni che riguardano la fantasia, la curiosità, i sensi, occorre saperci chiaramente disciplinare, cioè rendere ferma la nostra attenzione sui pensieri o sulla curiosità. Se ci lasciamo prendere dalla curiosità, sarà difficile vincere le distrazioni. Un esempio pratico è quello della televisione: la televisione sempre accesa costituisce un grosso danno. Come pure il manovrare la televisione passando continuamente da un canale all’altro, da un’immagine all’altra, perché è fonte di divagazione. Se dunque mi accorgo di essere distratto nella preghiera e non mi decido a dare un taglio netto alla televisione e alla curiosità, non potrò controllare i pensieri inutili durante la preghiera.

Quando ero ragazzo io, la televisione non c’era e però mi piaceva moltissimo il cinematografo: uno dei miei sogni era, una volta diventato grande, di comprarmi la tessera del cinema in modo da poter andare sempre senza fare la coda per il biglietto! Ad un certo punto ho compreso chiaramente che dovevo fare un passo decisivo, che dovevo troncare con l’abitudine del cinema e con i sogni della tessera. Forse il mio fu un taglio un po’ duro, un po’ rigido, e tuttavia sincero e coraggioso. Da quel momento ho avuto un grande giovamento nella preghiera.

Credo quindi che una decisione possa vincere le tentazioni di distrazioni, di curiosità, di fantasia, di incapacità a pregare assai più che non tanti consigli buoni. Per difendersi è allora necessario conoscere le proprie tentazioni e le proprie prove e applicare per ciascuna i rimedi giusti. Il direttore spirituale è la persona più adatta per aiutare, con la sua esperienza, ad applicare i rimedi giusti.

Poco per volta ci lamenteremo sempre meno delle prove. Le prove ci saranno, ma diventeranno occasione di crescita e potremo ricordarle come i momenti più belli della nostra vita, i momenti della lotta e del coraggio, i momenti in cui abbiamo sentito davvero che Gesù ci conosce e che noi lo conosciamo sopportando le prove e le tentazioni, lo conosciamo come amico che ha condiviso le nostre difficoltà e le nostre sofferenze, come amico vero.

«Signore, fa’ che ti conosciamo nelle nostre prove. Fa’ che ti ringraziamo per le nostre prove».

LAVANDA-DEI-PIEDI-GIOVEDI-SANTOIV. GESÙ CONOSCE DONANDO

«Signore Gesù, siamo giunti all ‘ultima meditazione e mi accorgo di non essere riuscito a dire tutto quello che avrei voluto. Sii tu, te ne prego, a dire loro le parole che veramente contano! Fa’ loro comprendere chi tu sei affinché ciascuno comprenda come tu lo ami.
Maria, madre di Gesù, insegnaci a conoscere Gesù come tu l’hai conosciuto soprattutto quando, sulla croce, ha dato tutto se stesso per noi. Tu, Maria, che sei l’aiuto dei cristiani, prega per noi. Amen».

In questa nostra ultima meditazione vorrei riassumere il segreto di tutte le cose dette precedentemente sotto il titolo: «Gesù conosce donando», ed è per questo che ho voluto affidare alla Madonna la riflessione che cercheremo di fare.
«Gesù conosce donando» significa che noi lo conosciamo quando ci accorgiamo che cosa fa per noi.

Il testo della lavanda dei piedi

Mi fermo alla lettura di un solo brano evangelico, uno dei più belli del vangelo secondo Giovanni, perché è una pagina ricchissima. Mentre io leggo cercate di seguire, come si fa davanti a un testo che vogliamo penetrare, e anzitutto vi consiglio di mettervi in una posizione che favorisca la riflessione. La parola di Dio va ascoltata per quello che è: parola di salvezza, per la nostra salvezza.

Gv 13,1-11: «Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e che a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita». Vi confesso che leggo queste parole con particolare emozione perché, come sapete, il Vescovo, nel giovedì santo, compie lo stesso gesto in Cattedrale.

«Poi versò dell’ acqua e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù: “Quello che io faccio tu ora non lo capisci ma lo capirai dopo”. Gli disse Simon Pietro: “Non mi laverai mai i piedi!”. Gli rispose Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli disse Simon Pietro: “Signore, non solo i piedi ma anche le mani e il capo”. Soggiunse Gesù: “Chi ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo. E voi siete mondi ma non tutti”. Sapeva infatti chi lo tradiva e per questo disse: “Non siete tutti mondi”».

La comprensione del testo

1. Qual è lo scenario di questo avvenimento? Gesù si trova verso la fine della sua vita con i discepoli, i quali pensano di conoscerlo a fondo, di conoscerlo già abbastanza. L’hanno infatti sentito parlare per tre anni, hanno visto i suoi miracoli, l’hanno visto pregare e probabilmente pensano: «Ormai sappiamo tutto di lui, sappiamo chi è».
In realtà, non lo conoscono ancora perché non hanno capito che cosa Gesù è capace di fare per loro. Il simbolo della mancanza di comprensione, di conoscenza, è Pietro che si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù, non lo ammette. Pietro non sa che Gesù è colui che si dona, che serve, che si dà sino in fondo: «Li amò sino alla fine».
Il racconto della lavanda dei piedi è dunque molto importante per conoscere Gesù e vi invito a rileggerlo attentamente.

Da parte mia voglio indicarvi tre punti.

 Primo: Gesù è pronto a servirmi. Sembra incredibile ma è vero. Mi ama fino a servirmi, fino a mettersi a mia disposizione.

 Secondo: Gesù è pronto a servirmi con il dono della sua vita sulla croce. Il racconto della lavanda prelude alla croce. E Pietro, che già in precedenza si era ribellato al pensiero che Gesù potesse andare incontro alla morte di croce, anche qui si ribella ad essere servito da Gesù nel gesto simbolico della lavanda.

 Terzo: Gesù si mette a mia disposizione nell’Eucaristia facendosi cibo. Mi conosce fino in fondo ed entra in me, come cibo eucaristico, come dono del suo corpo.

Noi comprendiamo bene la reazione di Pietro per::ché, pur avendo una grande voglia di essere amati, rion riusciamo a credere che qualcuno ci possa amare fino a dare la sua vita per noi!
Il testo di Giovanni sottolinea, invece, che Gesù ci conosce donandosi, donando tutta la sua vita per noi, per me.

2. Che cosa significa il donarsi di Gesù? Ora è necessario capire che cosa sta dietro alla donazione di Gesù, e mi richiamo a tre brani del Nuovo Testamento: 1 Cor 15,3; Gai 2,20; Ef 5,2. Sono tre parole di san Paolo che ci spiegano cosa vuoI dire che Gesù ci conosce fino in fondo e viene a noi donandosi.

– 1 Cor 15,3: «Vi ho trasmesso, dunque, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture».
Gesù ci ama fino a morire per i nostri peccati. Si mette al nostro posto, entra dentro di noi come se questi peccati li avesse commessi lui, assume su di sé la nostra responsabilità.

– Gal 2 ,20: «Il figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me».
Paolo mette al singolare la stessa affermazione della prima lettera ai Corinzi. Il figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me: potremmo meditare per ore intere su questa parola. Gesù mi vuole essere così vicino da dare se stesso per me! Talora, quando distribuisco l’Eucaristia nella Messa della Visita pastorale, mi capita di pensare: Gesù ha dato la sua vita per questa persona alla quale sto dando l’ostia, perché l’ostia è il suo corpo! Ciascuno di noi quando riceve l’Eucaristia può dire veramente: Ecco il corpo di Gesù per me. Nell’Eucaristia c’è una rivelazione altissima di Dio perchéè la prova, per così dire, fisica che mi sta dando il suo corpo, cioè che mi ama. È un segno irrefutabile dell’a- . more di Dio per ciascuno di noi.

– Ef 5,2: «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi».
Dal momento che Gesù ha dato se stesso per noi, noi dobbiamo amarci e camminare nella carità, essere una Chiesa della carità. Il programma pastorale che la nostra diocesi vuole vivere quest’anno è la prossimità, il farsi prossimo, l’essere Chiesa della carità. E il motivo è che Gesù ci ha amato e ha dato se stesso per noi. Questa è la radice di tutto, di tutta la vita della Chiesa. Tutto quello che io faccio come Vescovo, quello che fanno i preti, quello che si fa nelle parrocchie e nei seminari, quello che fa il Papa, ha una unica radice: il figlio di Dio ci ha amato e ha dato se stesso per noi.
Senza questa radice la Chiesa diventa incomprensibile, la vita cristiana perde il suo senso, i sacerdoti non avrebbero ragione di essere.
Non dimenticate dunque mai la fondamentalità del dono che meditiamo guardando Gesù in croce.

La preghiera sul testo

La preghiera che il racconto della lavanda suscita in noi deve essere preceduta da una domanda: Che cosa posso dare a Gesù, che cosa gli darò per ricambiare ciò che lui ha fatto per me?

1. Anzitutto cercherò di fare la visita al SS.mo Sacramento. Nella visita, infatti, posso contemplare Gesù che mi serve e mi ama dando se stesso per me: mi metto in ginocchio o compostamente seduto, e gli metto a disposizione un po’ del mio tempo. È un segno di grande riconoscenza la visita, e se ci costa, meglio ancora! «Gesù sono qui con te, sto qui con te perché tu hai fatto tutto per me».

2. In secondo luogo devo vivere la S. Messa come centro della giornata. Nella Messa io dono a Gesù tutto me stesso. È vero che la Messa è il centro della mia giornata? «Gesù, fa’ che lo sia, fa’ che lo diventi!». Penso durante il giorno alla Messa e mi rioffro al Padre con Gesù? «Gesù, fammi vivere la Messa in unione con te, come offerta al Padre!».

3. Il terzo modo per rispondere alla domanda è di chiedermi se c’è qualcosa, nella mia vita, che Gesù vuole e che mi costa dargli. Forse si tratta di una cosa molto piccola e tuttavia non mi decido a darla. «Gesù, fammi comprendere che cosa vuoi da me e, dopo avermelo fatto comprendere, dammi il coraggio di donartela così come tu hai avuto il coraggio di morire per me sulla croce».
Se, ad esempio, in questi giorni abbiamo capito che Gesù vuole una cosa particolare, questa può costituire il proposito degli Esercizi e sarà allora utile metterla per iscritto: magari un difetto che devo vincere, una ripugnanza da superare, un’antipatia o un malumore da lasciar cadere. Tutto questo può essere un dono a Gesù, un modo per rispondere a quell’ amore che il racconto della lavanda dei piedi ci ha fatto comprendere.

Il salmo 138

Possiamo, per concludere, provare a rileggere il salmo 138. L’abbiamo letto all’inizio, però adesso molte parole del salmo ci saranno più chiare avendo capito di più che Gesù ci conosce, che ci conosce illuminandoci, standoci vicino, costruendoci e perdonandoci, che ci conosce sopportando e soffrendo le nostre prove e le nostre tentazioni, che ci conosce donandoci se stesso fino alla morte di amore in croce.

Lo leggiamo lentamente per recitarlo come una preghiera nostra, che ci nasce dal di dentro e che riassume le riflessioni comunitarie e personali che abbiamo fatto.

E prima di leggerlo possiamo invocare il Signore dicendo: «Signore, noi sappiamo pregare così poco! Manda il tuo Spirito perché preghi il salmo per noi, perché ci insegni la vera preghiera. Tu che hai ispirato il salmista, ispira il nostro cuore affinché possiamo leggerlo con quell’amore con cui l’ha pregato Gesù, con cui l’ha pregato Maria. Donaci di leggerlo con quell’amore con cui l’hanno pregato i tuoi Santi: Ambrogio, Carlo, Agostino. Vogliamo pregarlo insieme con tutti i Santi del cielo e della terra, con l’intera Chiesa diocesana di Milano, con i nostri genitori, i nostri fratelli e sorelle, con i superiori del seminario, con le suore, con tutti coloro che in questo momento sono sotto lo sguardo di Dio».

«Signore, tu mi scruti e mi conosci.
Tu sai quando seggo e quando mi alzo. 
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.

Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua 
e tu, Signore, già la conosci tutta.

Alle spalle e di fronte mi circondi 
e poni su di me la tua mano. 
Stupenda per me la tua saggezza, 
troppo alta, e io non la comprendo.

Dove andare lontano dal tuo spirito, 
dove fuggire dalla tua presenza? 
Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo agli inferi, eccoti.

Se prendo le ali dell’aurora
per abitare all’estremità del mare, 
anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra.

Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra 
e intorno a me sia la notte”, 
nemmeno le tenebre per te sono oscure 
e la notte è chiara come il giorno; 
per te le tenebre sono come luce.

Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere.

Tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando vènivo formato nel segreto, 
intessuto nelle profondità della terra.

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi 
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati, quando ancora 
non ne esisteva uno.

Quanto profondi per me i tuoi pensieri, 
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.

Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore, 
provami e conosci i miei pensieri:
vedi se percorro una via di menzogna 
e guidami sulla via della vita».

Don Luigi Serenthà e i Card. MartiniLe pagine che seguono sono di Mons. Luigi Serenthà, Rettore Maggiore dei Seminari Milanesi,che ha concluso gli Esercizi Spirituali. Il testo è stato trascritto da registratore e non rivisto dall’Autore.

Mettere la nostra vita sotto il raggio della parola di Dio

1-2013-12-167

Preparazione alla Confessione comunitaria

L’Arcivescovo non sa più che parole usare per dire quanto siete bravi, quanto l’avete colpito; ha ripetuto più volte: «Si vede che sono attenti; che sono dei ragazzi formati, diligenti, e ciò nonostante non hanno perso la loro freschezza, la loro vivacità; sono ragazzi pieni di vita, pieni di sincerità, di gioia». Con queste parole l’Arcivescovo vi ha già assolti tutti! Potremmo quindi chiudere qui questo rito penitenziale, perché l’Arcivescovo ha dato un giudizio generale di bontà e bravura per tutti voi!

Ma ho letto una volta in una pagina di santa Teresa d’Avila, una grande santa, vissuta nel 1500 in Spagna, questo paragone molto bello: «Provate a prendere un bicchiere pieno d’acqua e mettetelo in una stanza in un angolo un po’ buio, in ombra. A voi quel bicchiere d’acqua sembra tutto limpido, tutto pulito; ma se per caso, da una fessura di una finestra, entra in quella stanza un raggio di sole e voi collocate quel bicchiere sotto quel raggio, vi accorgerete che dentro l’acqua c’è del pulviscolo, c’è tanta impurità, qualche scoria». Ecco, io penso che uno può dire che tutti noi siamo bravi, buoni, se guarda le cose un po’ da lontano; ma se lasciamo attraversare la nostra vita dalla luce della parola di Dio, ci accorgiamo che la nostra vita, purtroppo, non è limpida, non è bella; porta dentro di sé alcune cose sbagliate, alcuni peccati.

Allora, anche se l’Arcivescovo ha detto che siete bravi, buoni, generosi, simpatici, noi quest’oggi vogliamo mettere la nostra vita sotto il raggio della parola di Dio, per poter scoprire anche le cose meno belle che sono presenti nella nostra esistenza. E io personalmente, senza voler insegnare niente a santa Teresa d’Avila (e sapete che è stata proclamata dal Papa «Dottore della Chiesa», cioè maestra di vita cristiana), vorrei prolungare l’immagine che ha scritto in quella sua pagina, dicendo che la luce del sole, attraversando quel bicchiere, non soltanto fa vedere le cose sporche, il pulviscolo, le scorie, che ci sono, ma con la sua forza, col suo calore riesce a distruggerli, e fa diventare l’acqua ancora limpida e pulita.

Ecco, questo è ciò che vorremmo fare: lasciarci attraversare dalla parola di Dio, per raggiungere due risultati:

1) Vedere le cose sbagliate che sono dentro di noi. 
2) Chiedere alla forza e al calore della parola di Dio di distruggere, di bruciare queste cose sbagliate.

Mi sono detto allora: cercherò nella Bibbia qualche parola di Dio da usare come raggio di sole, nel quale collocare la nostra vita; ma poi ho pensato: è da due giorni che l’Arcivescovo dice tante parole di Dio, le ha commentate con la sua parola autorevole di Vescovo, le ha fatte cercare anche a voi… Allora proviamo insieme a ricordare alcune di queste parole forti, luminose, intense, che l’Arcivescovo vi ha suggerito. Intanto anch’io imparo qualcosa…

Faremo due cose: la prima è di raccogliere le parole che vi hanno impressionato; cercherò poi di aiutare me e voi a fare sì che queste parole entrino come un raggio di sole nella nostra vita per farci capire i nostri sbagli, i nostri peccati; ma entrino nella nostra vita anche per darci coraggio, per non avere paura.

Mi pare di capire che le parole che l’Arcivescovo ha commentato con particolare insistenza sono state: 
– Gesù conosce tutto e tutti.
– Gesù conosce perdonando e donando.

1. Gesù conosce tutto e tutti, niente e nessuno sfugge alla sua conoscenza piena di amore

Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.

+ La luce di Gesù penetra tutto. La luce di Gesù non lascia nessuno indifferente.

Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte»;
nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.

+ Gesù conosce di me anche tutto quello che io non conosco.

Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.

Il brivido di sentirsi conosciuti. Il brivido di gioia o di rabbia, secondo che noi siamo felici che ci guardi o abbiamo paura che ci scopra!

2. Gesù conosce perdonando e amando

Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri;
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita.

Gesù ci vuole e ci accetta così come siamo; ma incontrandolo, facendoci e lasciandoci conoscere, ci trasforma, perdonandoci e donandoci una vita rinnovata.
Quando incontra la samaritana (e si lascia incontrare), quando incontra la peccatrice (e si lascia amare), quando incontra Zaccheo (lasciandosi vincere dalla sua voglia di vederlo) Gesù li fa diventare diversi; li ha accolti così come erano, ma poi li ha fatti diventare diversi.
(Si può utilmente riprendere il salmo 138 o i diversi episodi del Vangelo sopra ricordati e altri ancora).

* * *

Adesso facciamo due minuti di silenzio, affinché la nostra vita venga attraversata con coraggio da questa sciabola di luce che è la parola di Dio che l’ Arcivescovo ci ha detto in questi giorni e che in questo momento abbiamo ricordato.
Cerchiamo di pregare su quelle parole del Signore. E questa preghiera è anche un po’ un esame di coscienza, un parlare a Gesù come introduzione alla celebrazione del sacramento della Penitenza.

1. Mancanze contro la gioia di essere cristiano e seminarista

O Gesù, io sono rimasto colpito anzitutto da questo fatto, che la tua conoscenza, il tuo sguardo dovrebbe suscitare in me tanta gioia; ma riconosco che purtroppo non sempre ciò si verifica, non sempre sono felice di esserti amico. Se fossi davvero felice di esserti amico, pregherei molto volentieri quando mi è possibile; penserei a te, verrei con gioia in chiesa per celebrare la tua Eucaristia; non avrei paura di dedicare qualche tempo in più della mia vita a leggere la parola di Dio, non soltanto qui in Seminario ma anche quando vado a casa, quando ci sono le vacanze. Forse io sono contento che tu mi guardi e mi conosci, però non provo la gioia di essere conosciuto e guardato da te! Ecco una prima impurità che scopro dentro di me: non sono un cristiano felice.

A volte sopporto la vita cristiana. Con fatica prego, con fatica ascolto la tua parola; non sono uno che prega con entusiasmo, con gioia; che è felice di essere amico

di Gesù; anzi, qualche volta arrivo a dire: «Magari sono più fortunati quelli che non sono stati conosciuti e guardati da Gesù, perché fanno quello che vogliono!». Quante volte forse ho detto: «Come sono fortunati i ragazzi che Gesù non ha conosciuto e non ha guardato come me!».

O Signore, tu che sei tanto buono, perdona se non sempre mi sono lasciato guardare e conoscere da te con gioia, se ho portato la vita cristiana come un peso e non come un dono prezioso che tu mi hai fatto e che mi deve rendere felice!

2. Incapacità di vedere i propri difetti

E poi una seconda cosa bella, o Gesù, io ho ascoltato in queste parole: tu sei venuto per i peccatori, tu sai capire fino in fondo i nostri peccati, tu sei venuto non per quelli che si ritengono giusti, ma per quelli che sanno di essere peccatori, e che cercano il perdono come la samaritana, come Zaccheo, come il buon ladrone, come la peccatrice che è entrata durante il pranzo in casa di Simone. Ecco, io, o Signore, qualche volta faccio fatica a riconoscere di essere peccatore e continuo a guardare i difetti degli altri, e non ho il coraggio di guardare i miei; non ho il coraggio di riconoscere dove sbaglio; faccio fatica anche a farmi conoscere con i miei difetti ai miei educatori e a quelli che vogliono conoscermi bene, perché possano aiutarmi ad essere un bravo cristiano, un bravo seminarista.

Io apprezzo, ammiro la samaritana, Zaccheo, il buon ladrone, ma non so fare come loro; non ho il coraggio, o Gesù, di riconoscere i miei sbagli, di presentarti le mie povertà, i miei peccati. O Gesù, aiutami a non aver paura di me, aiutami a guardare dentro, per scoprire anche le cose che tu soltanto conosci e che io non so conoscere. Comunicami tu la tua conoscenza; fammi vedere dove sbaglio; fammi essere luminoso, coraggioso con me stesso; fammi essere limpido, trasparente verso di te e verso i miei educatori.

3. Non corrispondenza alla generosità del Signore

Terza cosa che mi è piaciuta molto, o Gesù, delle cose che hai detto in questi giorni a questi ragazzi attraverso l’Arcivescovo è che tu conosci tutto e tutti, e, conoscendo tutto e tutti, ti doni, dai tutto te stesso. È questa parola «tutto» che ho sentito continuamente ritornare: Gesù conosce tutto e tutti, Gesù perdona e sopporta tutto, Gesù dona tutto se stesso a noi… e mi ha colpito.

Ecco, anche su questa totalità mi scopro pieno di difetti, perché io ti voglio bene in certi momenti, ti darei veramente tutta la mia vita… Ma poi comincio a dire: questa cosa la tengo per me, per esempio un po’ del tempo della mia preghiera; mi piace pensare ad altre cose mentre prego. Un po’ del mio tempo di studio non lo do a te, ma lo tengo per me per far niente, per disturbare i miei compagni, che sono così indotti dal mio cattivo esempio a distrarsi, a non studiare.

O Signore, quante cose trattengo per me stesso; non do a te tutto il mio tempo, non ti do tutto il mio cuore perché voglio coltivare alcune amicizie non buone; non ti do tutto il mio corpo perché accontento la mia golosità, perché non mi alzo presto la mattina, accontento gli istinti che sento nascere in me.

Tu conosci tutto e tutti; tu doni tutto te stesso a me e io invece continuo a fare degli sconti; qualche cosa di me, del mio cuore, del mio corpo, del mio tempo, del mio studio non te lo do, lo tengo per me.

4. Il nostro amore diverso da quello del Signore

E infine, Gesù, la quarta cosa molto bella che ho sentito viene dalla parabola del buon samaritano.
Questo signore, che non aveva speciali vocazioni, che non aveva particolari compiti nel popolo di Dio (era anzi un forestiero, un nemico), ha saputo imitare la carità di Dio; ha visto quel poveretto e si è comportato così come avrebbe fatto Dio, con tenerezza, con amore, con comprensione.

Ho sentito dire tante belle parole; Gesù ci ama senza differenza, e allora anche noi dobbiamo interessarci dei nostri fratelli; Gesù ci ama, ci conosce, sopporta, perdona nei nostri confronti, noi dobbiamo essere come Gesù per i nostri fratelli, dobbiamo donare, perdonare, sopportare, capire; e anche qui, o Gesù, quante cose sbagliate scopro nel bicchiere della mia anima e della mia vita; quante volte io non do tutto ai miei fratelli, non sono capace di sopportare qualche loro difetto, non sono capace di dare qualche cosa di mio, di dire una buona parola, di perdonare un torto che ho ricevuto. ..

O Signore, aiutami ad essere come te; aiutami a conoscere gli altri con lo sguardo pieno di amore, che sa perdonare, che sa capire, che sa sopportare.

PREGHIERA

Grazie, Gesù, perché mi scruti e mi conosci. 
Grazie, Gesù, perché mi conosci perdonando. 
Grazie, Gesù, perché mi conosci illuminando. 
Grazie, Gesù, perché mi conosci separando. 
Grazie, Gesù, perché mi conosci sopportando.

Perdona, Gesù, le mie mancanze contro la gioia. 
Perdona, Gesù, la mia incapacità di vedere i miei difetti. 
Perdona, Gesù, le mie mancanze di trasparenza, di ge
nerosità.
Perdona, Gesù, se ti ho rubato qualcosa che ti dovevo. 
Perdona, Gesù, se non ho amato i miei fratelli come te.

Un cammino in tre tappe 
Omelia durante la celebrazione eucaristica conclusiva 
(Letture: Gn 37,1-7; Prv 3,13-18; Mt 6,19-24)

Dobbiamo rendere grazie al Signore perché la sua parola che questa sera ci è stata annunciata sembra arrivare proprio al momento giusto.
Il rischio che possiamo correre al termine degli Esercizi spirituali è quello di dire: «Ho camminato tanto, ho fatto un lungo percorso di preghiera, di silenzio, di riflessione. Ecco, sono come arrivato in cima ad una montagna. Ho finito di camminare. Adesso mi siedo e riposo un po’».
Mentre il vero significato degli Esercizi non è di invitarci a riposare, ma piuttosto di camminare di più. Gli Esercizi non segnano una mèta raggiunta, ma sono un punto di partenza per una vita cristiana più vera, più seria, più profonda. E mi pare che proprio in questo contesto riusciamo a cogliere la bellezza della parola che il Signore questa sera ci ha rivolto. È una parola che traccia davanti a noi un cammino in tre tappe da percorrere e che potremmo intitolare così:

1) la prima tappa: dall’esterno verso l’interno; 2) la seconda tappa: dall’interno verso l’alto; 3) la terza tappa: dall’alto verso l’altro.

Prima tappa: dall’esterno verso l’interno

Penso soprattutto al Vangelo, che ci ha ricordato come le realtà più importanti da coltivare non siano le cose esterne, ma il nostro cuore, cioè i nostri desideri più profondi, che coltiviamo nella mente e nell’animo.
Il nostro cuore è il nostro intimo, il nostro interno da cui parte ogni decisione di orientare la vita verso i tesori del cielo che sono quelli veri, autentici, che rimangono; oppure verso le cose che passano e vengono distrutte dalla ruggine, dalla tignuola e portate via dai ladri. È importante dare una direzione giusta alla nostra esistenza. Questa direzione giusta dipende dal nostro cuore, dalla capacità che noi abbiamo di penetrare dentro di noi, di meditare, di capire, di riflettere, di non essere tutti dispersi fuori di noi stessi, attratti da tante cose. Questa direzione giusta dipende dalla nostra capacità di fare silenzio per ascoltare parole più grandi e più vere; per riflettere su ciò che accade, così da sapere confrontare un episodio con un altro e distinguere ciò che mi ha fatto bene da ciò che mi fa male, per cercare di coltivare le cose che mi fanno bene ed evitare ciò che fa male a me e agli altri.
Gesù dà importanza al cuore, cioè all’interno della nostra vita. Forse voi in questi giorni, con tanta gioia e anche con un po’ di fatica, avete sperimentato come è importante il vostro cuore. Tutti voi mi avete detto che sono stati giorni belli, che avete pregato, avete fatto silenzio; ma mi avete anche detto che avreste voluto pregare di più, tacere ancora di più, perché avete sco
perto che nella preghiera e nel silenzio uno impara tantissimo.
Ecco la prima tappa di viaggio che Gesù ci propone: saper passare dall’esterno di voi verso l’interno, coltivando l’abitudine al silenzio, alla riflessione, alla preghiera.

Quando ero bambino mi è tanto piaciuta una leggenda che ora vi racconto. Parla di un eremita, che viveva solo in cima ad una montagna, e una volta vide arrivare nella sua grotta una signora che gli disse:
– Signor eremita, sono disperata, sono vedova. Mi è morto il marito. Mi ha lasciato una grande fattoria e tutto va a rotoli. Ogni anno quando tiro le somme della mia attività sono sempre sotto zero; sono sempre piena di debiti. Tutto va male nella mia fattoria.
L’eremita, lisciandosi la barba, cominciò a dire: – Senti, figliuola mia, raccontami cosa fai durante la tua giornata.
– Signor eremita, io mi alzo verso le 9,30-10. – Così tardi? – replicò l’eremita.
– Sì! Poi faccio la mia toilette, e arrivano le 11 – continuò la signora -. Faccio un passeggino in città, a vedere i negozi. Arriva l’una e tomo a casa a mangiare. Poi faccio un riposino. Alle 16 prendo il tè da qualche mia amica. Arrivo a casa la sera. Faccio cena e poi guardo la televisione oppure vado a teatro, o a fare una passeggiata…
L’eremita, lisciandosi la barba, disse:
– Ora ti do io un rimedio per questa tua disgrazia. Si ritirò in un angolo nascosto della grotta e dopo un po’ comparve con in mano una scatoletta, che consegnò alla signora con queste parole:
– Senti, figliuola mia, in questa scatoletta c’è un rimedio eccezionale per la tua disgrazia. Tu però non puoi guardarlo. Tra un mese tornerai qui, e apriremo insieme la scatoletta. Tu devi fare soltanto questa cosa: ogni ora della tua giornata, iniziando dalle sette del mattino sino alle sette di sera, porterai questa scatoletta dapprima nel frutteto, poi nel vigneto, poi nel campo seminato a grano, poi nel mulino, e vedrai che questa scatoletta farà miracoli; farà fiorire ancora la tua azienda.
Fiduciosa nelle parole dell’ eremita, la signora ritornò a casa. Era tentata di aprire la scatoletta, ma pensava: «L’eremita ha detto che se l’apro tutto il rimedio svanisce» .

E così cominciò ad ascoltare l’eremita. Alle sei del mattino si alzava, lei abituata ad alzarsi alle nove! Poveretta, era tutta assonnata, sbadigliava, ma pensava: «L’eremita mi ha detto…», e così si faceva coraggio.
Alle sette era nel mulino, dove stavano macinando il grano, e scoperse che i mugnai spandevano la farina e la buttavano via; ma quando videro arrivare la padrona misero la farina tutta nei sacchi ben pigiata.
Alle otto la signora prendeva la scatoletta preziosa e la portava nel vigneto. I contadini, anziché raccogliere l’uva per fare il vino, la mangiavano oppure la distribuivano ai passanti. Ma visto che arrivava la padrona, dissero:
– Ragazzi, arriva la padrona! Mettiamo tutta l’uva nei tini per poter fare il vino.
E così di ora in ora quella signora portava la scatoletta in tutte le parti della sua fattoria. Così si accorse che anche i mungitori che dovevano mungere le mucche non lo facevano e lasciavano soffrire quelle povere bestie; e altrove gli operai anziché lavorare facevano altre cose.

Per un mese ogni giorno, dalle sette di mattina alle sette di sera, la signora portava la scatoletta preziosa in un posto diverso della sua fattoria, e alla fine del mese cominciò a vedere che i conti tornavano giusti.
Piena di gioia, andò dall’eremita a dire:
– Adesso deve aprirmi questa scatoletta, perché contiene un rimedio veramente formidabile. Ha fatto funzionare alla perfezione tutta la mia azienda.
L’eremita aprì la scatoletta e ne uscì il rimedio misterioso: un piccolo fogliettino su cui c’era scritto: «Alle cose tue pensaci tu!»; e commentò:
– Sappi stare in casa tua. Sappi badare alle cose della tua azienda e vedrai che funzioneranno. Se sei sempre in giro, o a dormire, a chiacchierare, a prendere il tè, invece di pensare a governare la tua casa, sarà impossibile che la casa funzioni.

Ecco, questo saggio eremita ci aiuta a interpretare l’invito del Signore a passare dall’esterno verso l’interno. Impariamo a stare in casa, dentro quella casa interiore che ognuno di noi porta dentro di sé. Tante volte noi pensiamo ad altro, pensiamo a centomila cose. Ma non pensiamo a noi stessi. Non siamo capaci di stare dentro di noi per ascoltare ciò che il Signore ci dice, per capire quello che dobbiamo fare. Ecco la prima tappa che gli Esercizi ci invitano a percorrere: andare dentro di noi.

Imparare a pensare. Imparare a riflettere. Penso che un aiuto importante a percorrere questa tappa ci è dato anche dalla scuola. I vostri educatori e professori vi insegnano a pensare, a ragionare, a riflettere. È un grandissimo aiuto che vi danno. Anche se qualche volta dite che sono troppo esigenti o rigidi – ed è normale che vi lamentiate un po’ – tuttavia dovete dire a loro un grazie immenso, perché vi aiutano ad «andare verso l’interno», a diventare gente che sa badare alle sue cose, che non è sempre con la testa fra le nuvole, dispersa fra centomila distrazioni, ma che sa abituarsi a pensare, a riflettere, a guardarsi dentro.

Seconda tappa proposta dalla parola del Signore: dall’interno verso l’alto

Gesù ci dice: «Il tuo cuore, che è dentro di te, va orientato verso i beni del cielo, verso Dio, verso Gesù, non verso le cose che possono essere rubate dai ladri, o distrutte dalla ruggine e dalla tignuola».
Occorre che i nostri desideri interni vengano orientati verso Dio, verso Gesù. È anche il messaggio che l’Arcivescovo vi ha suggerito in questi giorni. Dobbiamo capire sempre più profondamente questo invito di Gesù ad «andare verso l’alto».
Gesù ci dice che non basta pensare a Dio e servirlo con il nostro cuore qualche volta, dedicandoci poi qualche altra volta a Mammona, cioè al dio del denaro, all’egoismo, al possesso. Gesù ci chiede di andare dall’interno verso l’alto non soltanto qualche volta, ma sempre. Il nostro interno deve sempre essere orientato verso Gesù, in uno sforzo continuo di generosità. Penso che tutti i buoni cristiani di questo mondo ogni tanto sanno orientarsi verso l’ «alto», perché pregano, vanno a Messa, leggono la Bibbia, dicono di sì a Gesù. Ma il guaio è che poi in tanti altri momenti della loro vita non pensano a Gesù; non pensano ad andare verso l’alto, si separano da Gesù con il loro egoismo e i loro peccati.

Dobbiamo noi, tutti insieme, fare il proposito di orientare tutta la nostra vita verso Gesù: senza venire a mezze misure, senza dividere la vita Un po’ per Gesù e un po’ senza Gesù. Tante volte noi dividiamo a metà la nostra vita. Per esempio, con il corpo siamo qui in chiesa, siamo in ginocchio, con le mani giunte, ma la nostra anima è altrove, perché pensiamo ad una cosa e all’altra e così ci distraiamo. In questo caso, metà del nostro essere è con Gesù, ma l’altra metà non è con Gesù. Qualche altra volta facciamo l’inverso: con i nostri pensieri diciamo a Gesù: «Ti voglio bene, voglio pensare a te», ma poi il corpo lo teniamo per accontentare la nostra pigrizia, i nostri comodi, i nostri istinti, i nostri capricci.

Gesù ci chiede di non dividerci a metà, ma di essere tutti intieri per lui.

Ho letto alla porta della cappella una bellissima frase di Madre Teresa di Calcutta: «Essere con Gesù e come Gesù, non qualche ora o per un po’ della nostra giornata, ma ventiquattro ore su ventiquattro». Dobbiamo essere generosi con Gesù; dare tutto noi stessi a lui, e proprio questo vi ha richiamato l’Arcivescovo quando insisteva in questi giorni nel dire che Gesù conosce tutto e tutti; che ha dato tutto se stesso a noi e perciò noi dobbiamo dare tutto noi stessi agli altri.

Quando si tratta di entrare in rapporto con Gesù, gli scarti non vanno bene. Quando ad esempio so che devo fare la meditazione di venti minuti, mentre in realtà la riduco a diciotto…; quando so che devo studiare un’ora e tre quarti, mentre in realtà mi impegno solo per un’ora e mezza, e sciupo l’ultimo quarto perdendo tempo e disturbando gli altri; allora gioco a tirare di prezzo… Ma con Gesù non va bene mirare all’economia. Con Gesù bisogna essere generosi al massimo.

Mi viene in mente al riguardo un’ altra storiella, breve breve, che mi è stata raccontata quando ero in seconda media e come voi stavo facendo gli Esercizi spirituali. Mi è rimasta impressa, perché è un racconto simpatico. Non è un episodio contenuto nei Vangeli, è una leggenda, che però dice una verità molto importante.

Un giorno Gesù disse agli apostoli Pietro e Giovanni: «Andiamo a fare una bella passeggiata in montagna. Però vi raccomando di portare insieme con voi un sasso». Pietro, che era un tipo realista, ragionò così tra sé: «Andare in montagna costa fatica, ci sono delle salite lunghe. Conviene portare un sasso piccolo piccolo». E così si mise in tasca un leggero sassolino.

Giovanni, invece, che era un generoso, senza fare troppi calcoli, prese una grossa pietra, e messala sulle spalle si incamminò dietro a Gesù, verso la cima della montagna. Dopo un bel po’ di strada, Giovanni moriva dalla fatica ed era tutto sudato, mentre Pietro camminava fresco fresco, fischiettando e prendendo in giro Giovanni: «Chi ti ha fatto fare tutta quella fatica lì! Basta un sassolino…».

Arrivarono in cima alla montagna stanchi morti, pieni di fame. Gesù si sedette tra i due apostoli e benedisse quei sassi che, d’incanto, diventarono un pane fragrante. Pietro si trovò tra le mani un minuscolo boccone di pane con cui sfamarsi; Giovanni invece una bella pagnotta, così grande che poté mangiarla insieme con Gesù, e ne avanzò anche per la sera.
Questa leggenda ci insegna ad essere generosi. Con Gesù non si deve giocare a mezze misure o stare sul minimo: a lui occorre dare tutto, e darlo con gioia.

Terza tappa del nostro viaggio, suggerita dalla parola di Dio: dall’alto verso l’altro, cioè verso i fratelli

Quest’ultima tappa non la trovo scritta nel brano del Vangelo proposto, ma la ricavo dall’episodio del libro della Genesi narrato nella prima lettura.

Giacobbe, che ha conosciuto Dio, che ha toccato con mano il suo favore e la sua bontà misericordiosa, sente il bisogno di dire a tutti i suoi familiari: «Buttate via gli idoli. Cercate anche voi di credere in Dio con tutto il vostro cuore!».

È l’esempio di un uomo che ha conosciuto Dio, ha orientato il suo cuore verso l’alto e ora va verso gli altri per dire a ciascuno: «Credete in Dio insieme con me. Sapete come è bello amare Gesù; come è bello conoscerlo; come è bello sapere di essere conosciuti e scrutati dal suo sguardo che illumina e purifica, che separa in noi il bene dal male, che perdona».

E qui capite, cari amici, che voglio alludere alla vostra vocazione. Gesù, chiamandovi a diventare preti, vi invita proprio a spendere la vostra vita per dire agli altri uomini che è bello amare il Signore. Altre persone offrono agli uomini altri doni, come il vestito, il cibo, il vino da bere, la giustizia, ecc.; voi darete agli uomini soprattutto la certezza di essere conosciuti e amati dal Signore.

E qui mi rivolgo in particolare a quelli di terza media che stanno vivendo questi Santi Esercizi quasi come ultima tappa verso una decisione importante che dovranno prendere: se passare in ginnasio, e così continuare il cammino vocazionale, oppure incamminarsi per qualche altra strada.

Può darsi che uno, ragionando con calma col suo Rettore e col suo Direttore Spirituale, capisca che Gesù gli chiede un altro modo di volergli bene e di servirlo nella Chiesa. Quindi niente di male se lascia il Seminario per continuare a seguire la vocazione di Gesù su un’ altra strada, diversa dal sacerdozio.

Però penso che tanti di voi sono realmente chiamati a fare il prete. Qualcuno potrebbe dubitare, pensando: «Ma io ho tanti difetti, faccio tanti sbagli. Come posso fare il prete?»; oppure: «Cosa serve fare il prete. La gente ha bisogno di altre cose più importanti che non la preghiera, il Vangelo, i Sacramenti…».

Ecco, io vi dico: se voi scoprite che la vostra strada è un’altra, benissimo, seguite ciò che Gesù vi indica. Ma se Gesù vi chiama a diventare preti, non scoraggiatevi per i vostri difetti. Chiedetegli piuttosto il coraggio di vincerli pian piano. Soprattutto non pensate che il mondo non abbia bisogno di Gesù. lo ho girato un po’ il mondo in questi anni e dappertutto ho visto un immenso bisogno di persone che parlino di Dio agli uomini.

Ho in mente una scena straziante: nel luglio scorso sono stato in Africa, nel Sudan, e ho visitato a Quirick vicino a Giuba un grosso lebbrosario. C’è chi dice che lì siano raccolti 5.000 lebbrosi, altri dicono che siano 15.000, altri infine che ve ne siano 25.000; nessuno sa il numero preciso, perché i lebbrosi sono abbandonati a se stessi. C’è solo qualche capanna e una piccola cappella costruita da un prete. Ricordo che quando sono arrivato ho incominciato a distribuire un po’ di vestiti e altro… ma quando hanno capito che ero un prete, uno dì loro, che fa un po’ da sacrista, è corso subito in cappella a suonare la campana a più non posso per dire alla gente che era arrivato un prete.

In breve tempo si è radunato un bel gruppo di lebbrosi, e io dicevo: «Ma la Messa l’ho già detta, poi non so parlare l’arabo. L’inglese lo so appena appena». Essi mi rispondono: «Non fa niente, non fa niente! Father, bless us: Padre, benediteci!». Ecco, quella gente affranta aveva bisogno di incontrare un prete per essere benedetta. Uno può dire: «Certo in Africa, poveretti, non hanno niente, cercheranno i preti per consolarsi». No, non è così. Anche in altre parti del mondo ho fatto la medesima esperienza.

Ad esempio, nel 1970 sono stato un mese intero in America, ospite di mio fratello. Vicino c’era la casa di un protestante, più precisamente di una famiglia presbiteriana che ho cominciato a conoscere piano piano fino a diventare amici.

In America tanta gente ha tutto: il frigorifero, il condizionatore d’aria, soldi a palate, due o tre macchine… Eppure questa gente ha un immenso bisogno di Dio. Ricordo che quando recitavo il breviario nel giardino, dalla finestra della casa vicina la signora mi vedeva e sempre mi urlava: «Father Louis, pray also for us! (Don Luigi, preghi anche per noi!». Questa gente, che ha tutto, cerca qualcuno che preghi per loro.

E infine l’ultimo episodio che vi racconto si riferisce all’estate scorsa, quando sono stato in Germania con i seminaristi più grandi della Scuola Vocazioni Adulte di Milano.

Eravamo alloggiati in un ostello della gioventù, dove c’erano anche dei soldati impegnati per alcuni giorni in esercitazioni militari. La sera della nostra partenza abbiamo organizzato una festa assieme, bevendo birra, mangiando salsicce e cantando un po’ in italiano e un po’ in tedesco. Alla fine ci siamo salutati, e un soldato mi è venuto incontro e mi ha detto: «Padre, so che voi siete cattolici e so che questi giovani sono seminaristi. lo sono un protestante evangelico, voglio molto bene al Signore, dica ai suoi seminaristi di pregare tanto per me».

Il mondo ha un immenso bisogno di gente che parli loro di Gesù, che annunci il Vangelo, che trasmetta le cose che l’Arcivescovo vi ha detto in questi giorni.

La gente ha bisogno di uomini che con la loro vita dicano a tutti che Gesù ci conosce, ci ama, ci perdona, sopporta con noi tutte le nostre prove e difficoltà e ci sostiene con la sua grazia.

lo prego tanto in questa Messa soprattutto per voi più grandi di terza media, perché viviate questi ultimi mesi di scuola con coraggio, con gioia, con responsabilità.

Se il Signore vi chiama a diventare preti non siate pigri. Non spaventatevi dei vostri difetti. Non dite che non c’è bisogno di preti in questo mondo, Mentre prego per tutti i seminaristi, prego in modo speciale per voi, perché il vostro cammino sia pieno di speranza e di coraggio.

DON PRIMO MAZZOLARI

icona ascoltoDON PRIMO MAZZOLARI

Cinquant’anni fa, prima di morire il 12 aprile 1959, Don Primo Mazzolari ebbe due intimi momenti di gioia: il 25 gennaio 1959, Papa Giovanni XXII annunciava il Concilio e il 5 febbraio il Papa bergamasco lo riceveva in udienza, a suggello di una «riabilitazione ecclesiale» alla quale aveva dato un contributo determinante il Cardinale Giovanni Battista Montini chiamandolo a predicare nella «Missione di Milano».

Martini  Card.Arcivescovo emerito di Milano  Attaccato dai lefebvianiUna riabilitazione ampiamente meritata se il Cardinale Carlo Maria Martini, afferma: «Don Primo fu profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo il cuore del suo ministero. Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio. Il suo è un messaggio prezioso anche per l’oggi».

Con gli immigrati

Primo Mazzolari nasce al Boschetto, periferia di Cremona, il 13 gennaio 1890 da una famiglia di contadini. A 10 anni con la famiglia si trasferisce a Verolanuova, nella Bassa bresciana, nel 1902 entra nel Seminario di Cremona e, dopo gli studi, il 25 agosto 1912 è ordinato sacerdote nella chiesa parrocchiale di Verolanuova dal Vescovo di Brescia Mons. Giacinto Gaggia. È lo stesso vescovo che il 29 maggio 1920 ordinerà Don Montini, di 7 anni più giovane di Mazzolari.

Viceparroco a Spinadesco e al Boschetto, insegnante di lettere nel Seminario di Cremona, nell’estate 1914 va in Svizzera, ad Arbon, per gli emigrati italiani rimpatriati dalla Germania. Infatti nel 1915 l’Italia entra in guerra e Don Mazzolari è soldato semplice a Genova, poi caporale all’ospedale militare di Cremona, infine nel 1918-20 cappellano militare: delle truppe italiane in Francia, degli Alpini sul Piave, poi nell’Alta Slesia in Polonia. Una vita di sofferenza e condivisione che lo segnano profondamente, come la morte al fronte del fratello Giuseppe e l’abbandono del sacerdozio dell’amico Don Carletti.

Al rientro, nel 1921 il Vescovo, Mons. Giovanni Cazzani lo nomina parroco di Cicognara. Inflessibile la sua opposizione al fascismo: nel 1931 gli squadristi sparano tre colpi di pistola alla sua finestra. Nel 1932 è nominato parroco di Bozzolo da dove inizia un percorso ecclesiale e pastorale, letterario e sociale legato ai movimenti politici italiani. Dal 1941 partecipa a Milano al movimento clandestino neoguelfo contro il nazifascismo e, dopo l’8 settembre 1943, collabora alla resistenza partigiana: arrestato e rilasciato tre volte, ricercato dalle SS per un mandato di cattura, entra in clandestinità e si nasconde a Gambara (BS) e poi a Bozzolo.
Dopo la Liberazione cerca di evitare le vendette e prepara i giovani a una nuova stagione democratica. Nel 1949 fonda il quindicinale Adesso di cultura sociale e politica, che gli procura dieci richiami dall’autorità ecclesiastica e la chiusura temporanea nel 1951. In quell’anno convoca a Modena un convegno sulla pace proponendo agli italiani «un patto di fraternità». Nel 1954 il Sant’Uffizio – guidato dal Cardinale Alfredo Ottaviani, «il carabiniere di Dio», gli proibisce di predicare fuori dalla diocesi e di scrivere.

Ma dopo il pontificato pacelliano, arrivano Papa Giovanni e il Concilio. Montini lo invita a predicare nella «Missione di Milano» e Giovanni XXIII lo riceve in udienza privata. Due riconoscimenti importanti, anche se in extremis. Colpito da ictus mentre predica nella Messa domenicale, Don Primo muore a Cremona il 12 aprile 1959.

Sempre nella Chiesa

Don Mazzolari, nonostante le censure ecclesiastiche, non si sente fuori ma dentro la Chiesa con un’incredibile capacità di profezia: avverte acutamente i passaggi della storia, le tensioni politiche, le sofferenze dei poveri, i dubbi dei lontani, le attese dei giovani. Dalla sua terra «nella Bassa» apre gli occhi sulla Chiesa nel mondo, con uno sguardo profetico che sa coniugare l’«a­desso» e il «domani», il «già» e il «non ancora».

Nella sua terra, sugli argini del Po, egli legge in varie occasioni «la Parola che non passa», il Vangelo, e recupera nei gesti e nelle parabole di Gesù alcune sollecitazioni che segnano profondamente il travaglio della sua coscienza e le sue scelte che passano sotto il segno dei chiodi.

Nell’ascolto della Parola di Dio, Mazzolari rilegge «la più bella avventura», quella del perdono di Dio al figliol prodigo e del giudizio del fratello maggiore. Proprio la sua rilettura del perdono di Dio lo farà cadere in disgrazia. Il libro, La più bella avventura sarà condannato per «le idee erronee» ma per Don Primo segna l’inizio del dialogo con i lontani, fissa la distinzione tra errore ed errante – che caratterizza l’esperienza e il magistero di Papa Roncalli – gli insegna la tolleranza.
Per lui la Chiesa è «la casa» dove Dio torna ad amare continuamente l’uomo e dove si impara che «Dio è amore». La Chiesa come «casa» è coniugato in cinque modi: la Chiesa casa del Padre, la Chiesa casa della redenzione, la Chiesa casa della libertà, la Chiesa casa dei poveri, la Chiesa casa della testimonianza.

La parrocchia come casa

In questa concezione di Chiesa aperta, attenta e in ascolto non c’è spazio né per il clientelismo né per il clericalismo. Nella Lettera sulla parrocchia Mazzolari insiste sulla parrocchia come «casa»: «Nella parrocchia la Chiesa fa casa con l’uomo: la sua missione gerarchica, dottrinale e carismatica vi si inizia e vi si fissa, e l’uomo concreto – nome, volto, cuore, fragilità e destino eterno – si innesta e rifluisce nel corpo mistico del Cristo». In una casa così – aggiunge – «il parrocchiano ha diritto di incontrarvi il suo travaglio, la sua passione, la sua fatica quotidiana; non solo come spesso accade, attraverso l’asprezza del pulpito o del bollettino, ma nella verità del giudizio cristiano, il quale mentre dà il criterio di ciò che dovrebbe essere, dà pure la forza di superare certe posizioni incomplete e false. Anche gli errori vi hanno voce poiché la Chiesa, pur condannandoli, rispetta ogni rettitudine di ricerca e ricapitola ogni briciola di verità».

Il modello del prete

Dalle sue pagine emerge un modello di prete che mette al centro della propria spiritualità l’ascolto di Dio e l’incontro con l’uomo dentro e fuori la parrocchia. Di questa preoccupazione traboccano i suoi scritti, le pagine di Diario e alcuni articoli di Adesso sul quale il 5 giugno 1949 scrive: «Non conosciamo più le nostre pecore, non sappiamo chiamarle per nome una a una. Crediamo che possa bastare il generico, mentre c’è un bisogno di essere capiti come siamo e di essere portati a spalla sull’esempio del buon pastore.

Ne viene di conseguenza che se non andiamo a cercarli dove sono, se non li comprendiamo come sono, se non li amiamo come sono, qualcuno lo potremo trapiantare nell’orto del presbiterio, ma la massa resterà fuori anche quando un richiamo spettacolare ce la porterà in processione o in chiesa. La parola è spada e tritolo, che spacca e sommuove, sa urlare e imprecare; è una grazia che bisogna domandare, a costo di finire come di solito finiscono i profeti. Questa parola che non rende, che brucia e consuma chi la porta, è la sola che il popolo può ancora capire, perché l’Evangelo è stato portato sulla terra per essere predicato al popolo».

Da Bozzolo egli vede e scruta i «segni dei tempi» con il linguaggio della carità, indicato chiaramente nei due scritti Il samaritano e I lontani. Nella carità e nei poveri vede i «segni dei tempi» che interpellano la credibilità della Chiesa. Così nel volumetto La parrocchia rilegge questa istituzione in chiave di servizio dei poveri: «Una parrocchia senza poveri cos’è mai? Una casa senza bambini, forse anche più triste. Purtroppo ci siamo così abituati a case senza bambini e a chiese senza poveri, che abbiamo l’impressione di starci bene. I bambini scomodano, i poveri scomodano».

Il compito dei giovani

Ai giovani, che considera importanti in parrocchia e nella costruzione della città, dedica Impegno con Cristo – la quarta edizione nel 1963 sarà dedicata a Giovanni XXIII, «parroco del mondo» –, un manuale di educazione alla responsabilità civile e sociale. Scrive Mazzolari: «È mortificante la carità, che suggerisce a un giovane: basta che gli diate da mangiare per questa sera. Vi dico che basta ancor meno. Ma se voi ponete un limite di questo genere o di altro genere alla carità, se la riducete a un’assistenza materiale, se impedite al mio occhio di vedere “cieli nuovi” e “terra nuova”, se mi togliete di arrischiare qualcosa di mio per questa novità che mi splende nel cuore, non so che farmene della vostra carità. Io voglio una carità che mi impegni mente, cuore, sogno: che mi invada con la sua pietà, la quale grida da ogni parte del mondo con il grido del Crocifisso: “Perché mi hai abbandonato?”.

È mortificante ogni carità che vuole togliermi il dovere della rivolta verso un mondo che moltiplica l’infelicità. Molti possono mangiare, bere, ruminare e divertirsi in pace, perché non sono straziati dalle voci del dolore. C’è ancora troppa gente che si illude che basterà una legge per regolare i guai di quaggiù, senza impegnarsi a fondo, senza impegnare la nostra coscienza contro il nostro egoismo».

La prima e la seconda guerra mondiale, l’interventismo e il patriottismo lo inducono a sposare con audacia la scelta dell’obiezione di coscienza alle armi, che illustra in una serie di articoli in risposta ad alcuni quesiti sulla guerra e sul servizio militare posti da alcuni giovani della Fuci, e poi nel libro Tu non uccidere.

Il volume, pronto nel 1952, fu pubblicato da “La Locusta” nel 1955, dopo che vari editori avevano rifiutato la pubblicazione: «Come cristiani dovremmo essere davanti nello sforzo comune verso la pace. Davanti per vocazione, non per paura, opponendoci a militari, politici e banchieri che sono i signori della guerra. Alcuni diranno che la nostra tesi sarà sfruttata dai comunisti. Noi crediamo che non sia una ragione valida tacere una cosa che si sente di dover dire perché può servire la tesi avversaria».

                                                                                 Pier Giuseppe Accornero


 

I suoi libri

Le sue opere principali sono:
– La più bella avventura (1934),
– Il Samaritano (1938),
– Tra l’argine e il bosco (1938),
– La Via Crucis del povero (1939), – Tempo di credere (1941),
– Impegno con Cristo (1943),
– La samaritana (1944),
– Il compagno Cristo (1945),
– La pieve sull’argine (1952),
– La parola che non passa (1954), – Tu non uccidere (1955),
– La parrocchia (1957),
– I preti sanno morire (1958).
Titoli secchi, contenuti alti e forti per quei tempi, per la Chiesa e la società.

 

Da Maria Ausiliatrice 2009 – 6


 

PORTARE IL VANGELO AI LONTANI – Papa Francesco

Papa-Francesco-ad Assisi

Portate il Vangelo ai lontani senza rigidità mentali o pastorali: così il Papa alla comunità diocesana di Assisi

Il Papa ha pranzato con i poveri nel centro della Caritas a Piazzale Donegiani in Santa Maria degli Angeli. Poi ha visitato l’Eremo delle Carceri, pregando nella Cella di San Francesco. Primo incontro del pomeriggio, quello con il clero, i consacrati e i membri dei Consigli pastorali della Diocesi nella Cattedrale di San Rufino.

Nel suo discorso, il Papa ha innanzitutto ringraziato per l’accoglienza i sacerdoti, i religiosi e le religiose e i laici impegnati nei consigli pastorali. “Quanto sono necessari i consigli pastorali! – ha esclamato – Un vescovo non può guidare una diocesi senza i consigli pastorali. Un parroco non può guidare la parrocchia senza i consigli pastorali. Questo è fondamentale! [applausi]”.

Francesco e Chiara piedi crocifisso

“Siamo nella Cattedrale” – ha detto – “Qui si conserva il fonte battesimale dove san Francesco e santa Chiara furono battezzati, che in quel tempo si trovava nella Chiesa di Santa Maria. La memoria del Battesimo è importante! Il Battesimo è la nostra nascita come figli della Madre Chiesa”. Poi ha fatto una domanda”: chi di voi sa il giorno del suo battesimo? Pochi, eh? Pochi … Adesso, compiti a casa, eh?”.

Fonte battesimale - Chiesa madre di Cervignano

Il mio fonte battesimale – Cervignano del Friuli – Chiesa di san Michele Arcangelo

“Ma, è importante – ha aggiunto – perché è il giorno della nascita come Figlio di Dio. Un solo Spirito, un solo Battesimo, nella varietà dei carismi e dei ministeri. Che grande dono essere Chiesa, far parte del Popolo di Dio! Tutti siamo il popolo di Dio. Nell’armonia, nella comunione delle diversità, che è opera dello Spirito Santo, perché lo Spirito Santo è l’armonia e fa l’armonia: è un dono di Lui, e dobbiamo essere aperti a riceverlo!”.

“Il vescovo – ha detto – è custode di questa armonia. Il vescovo è custode di questo dono dell’armonia nella diversità. Per questo il Papa Benedetto ha voluto che l’attività pastorale nelle Basiliche papali francescane sia integrata in quella diocesana. Perché lui deve fare l’armonia: è il suo compito, è il suo dovere e la sua vocazione. E lui ha un dono speciale per farla. Sono contento che stiate camminando bene su questa strada, con beneficio di tutti, collaborando insieme con serenità, e vi incoraggio a continuare. La Visita pastorale che si è da poco conclusa e il Sinodo diocesano che state per celebrare sono momenti forti di crescita per questa Chiesa, che Dio ha benedetto in modo particolare. La Chiesa cresce, ma non è per fare proselitismo: no, no! La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi dà al popolo di Dio”. [applausi]

“Non voglio dirvi cose nuove – ha precisato – ma confermarvi in quelle più importanti, che caratterizzano il vostro cammino diocesano. La prima cosa è ascoltare la Parola di Dio. La Chiesa è questo: la comunità – lo ha detto il vescovo – la comunità che ascolta con fede e con amore il Signore che parla. Il piano pastorale che state vivendo insieme insiste proprio su questa dimensione fondamentale.

E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la nutre, la rigenera. E’ la Parola di Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua logica che è così diversa dalla nostra; è la Parola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità…Penso che tutti possiamo migliorare un po’ su questo aspetto: diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle sue Parole. [applausi] Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima non ha aperto il suo cuore, non ha ascoltato, nel silenzio, la Parola di Dio?

Via queste omelie interminabili, noiose, [applausi] delle quali non si capisce niente”. E ha aggiunto: “Penso al papà e alla mamma, che sono i primi educatori: come possono educare se la loro coscienza non è illuminata dalla Parola di Dio, se il loro modo di pensare e di agire non è guidato dalla parola, quale esempio possono dare ai figli? Questo è importante, perché poi papà e mamma si lamentano, ‘questo figlio …’ … ma tu? Che testimonianza gli hai dato? Come gli hai parlato? Della Parola di Dio o della parola del telegiornale? Eh? [applausi]

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Papà e mamma devono parlare dalla Parola di Dio!. E penso ai catechisti, a tutti gli educatori: se il loro cuore non è riscaldato dalla Parola, come possono riscaldare i cuori degli altri, dei bambini, dei giovani, degli adulti? Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse: è proprio Gesù che parla nelle Scritture, è Gesù che parla in esse. Bisogna essere antenne che ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere antenne che trasmettono! Si riceve e si trasmette.

E’ lo Spirito di Dio che rende vive le Scritture, le fa comprendere in profondità, nel loro senso vero e pieno! Chiediamoci, come una delle domande verso il Sinodo: che posto ha la Parola di Dio nella mia vita, la vita di ogni giorno? Sono sintonizzato su Dio o sulle tante parole di moda o su me stesso? Una domanda che ognuno di noi deve farsi”.

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“Il secondo aspetto – ha continuato – è quello del camminare. E’ una delle parole che preferisco quando penso al cristiano e alla Chiesa. Ma per voi ha un senso particolare: state entrando nel Sinodo diocesano, e fare “sinodo” vuol dire camminare insieme. Penso che questa sia veramente l’esperienza più bella che viviamo: far parte di un popolo in cammino, in cammino nella storia, insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi! Non siamo isolati, non camminiamo da soli, ma siamo parte dell’unico gregge di Cristo che cammina insieme”.

Papa Francesco buon pastore

“Qui – ha sottolineato – penso ancora a voi preti, e lasciate che mi metta anch’io con voi. Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro popolo? E’ bello! Quando io penso a questi parroci che conoscevano il nome delle persone della parrocchia, che andavano a trovarli, [applausi] anche come uno mi diceva: ‘Io conosco il nome del cane di ogni famiglia’: anche il nome del cane, conoscevano! Che bello che era, no? Che cosa c’è di più bello?

Lo ripeto spesso: camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: [applausi] davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro: per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che dicono i teologi. Che cosa c’è di più bello? E nel Sinodo dobbiamo avere anche cosa lo Spirito Santo dice ai laici, al popolo di Dio, a tutti!”.

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“Ma la cosa più importante – ha detto – è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma anche accettare le scuse degli altri perdonando – quanto è importante questo! Alle volte penso ai matrimoni che dopo tanti anni si separano. ‘Eh, no, non ci intendiamo, ci siamo allontanati …’. Forse non hanno saputo chiedere scusa in tempo. Forse non hanno saputo perdonare a tempo. E sempre io, ai novelli sposi, do questo consiglio: ‘Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la giornata senza fare la pace! Mai!’. [applausi]” …

Scusami

E se i coniugi “imparano a dire: ‘Ma, scusa, ero stanco’, o soltanto un gestino: ma, è questa la pace e riprendere la vita il giorno dopo! Questo è un bel segreto, e questo evita queste separazioni dolorose. Quanto è importante camminare uniti, senza fughe in avanti, senza nostalgie del passato. E mentre si cammina si parla, ci si conosce, ci si racconta gli uni agli altri, si cresce nell’essere famiglia. Qui chiediamoci: come camminiamo? Come cammina la nostra realtà diocesana? Cammina insieme? E che cosa faccio io perché essa cammini veramente insieme? Io non vorrei entrare qui nell’argomento delle chiacchiere, però voi sapete che le chiacchiere dividono sempre, no? [applausi]”.

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Dopo l’ascoltare e il camminare – ha detto il Papa – “il terzo aspetto è quello missionario: annunciare fino alle periferie. Anche questo l’ho preso da voi, dai vostri progetti pastorali. Il vescovo ne ha parlato, recentemente. Ma voglio sottolinearlo, anche perché è un elemento che ho vissuto molto quando ero a Buenos Aires: l’importanza di uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciale. E’ il caso della diocesi che avevo prima, quella di Buenos Aires: una periferia che mi faceva tanto male, era trovare nelle famiglie di classe media, bambini che non sapevano farsi il segno della Croce. Ma, questa è una periferia, eh? E io vi domando: qui, in questa diocesi, ci sono bambini che non sanno farsi il segno della croce? Pensateci. Ma, queste sono vere periferie esistenziali, dove Dio non c’è”. 

Il Papa ha poi detto che “le periferie di questa diocesi, per esempio, sono le zone della Diocesi che rischiano di essere ai margini, fuori dai fasci di luce dei riflettori. Ma sono anche persone, realtà umane di fatto emarginate, disprezzate. Sono persone che magari si trovano fisicamente vicine al “centro”, ma spiritualmente sono lontane. Non abbiate paura di uscire e andare incontro a queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal famoso “si è sempre fatto così!”. Ma si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e sicammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è proprio il Signore che lo salva!”.

E ha concluso: “Ecco, cari amici, non vi ho dato ricette nuove. Non le ho, e non credete a chi dice di averle: non ci sono. Ma ho trovato nel cammino della vostra Chiesa aspetti belli e importanti che vanno fatti crescere e voglio confermarvi in essi. Ascoltare la Parola, camminare insieme in fraternità, annunciare il Vangelo nelle periferie! Il Signore vi benedica, la Madonna vi protegga, e san Francesco vi aiuti tutti a vivere la gioia di essere discepoli del Signore!”.

sito Radio Vaticana

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UN LICEO CI PROVA: mette in scena JESUS CHRIST SUPER STSAR

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Sono passati quarant’anni da quando uscì al cinema un film destinato a un grande successo e a scatenare grandi polemiche, Jesus Christ Superstar, diretto da Norman Jewison e tratto dall’opera rock di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice. Un film che, pur legato all’epoca in cui fu realizzato (nel pieno dell’esplosione della cultura hippie), non ha perso la sua carica emotiva e “rivoluzionaria”.

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SANTI COME AMICI – CLAUDIA KOLL

 

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CLAUDIA KOLL è una squisita persona nella quale  tanti di noi potrebbero benissimo identificarsi, perché appartiene alla nostra razza,  con le nostre ambizioni, la fame di successo, la sete di denaro…

E possiede anche le nostre fragilità e paure. 

Per quanto trasgressiva attrice di successo, facile ai compromessi, finisce per ritrovarsi perfino donna sola,  insoddisfatta e  ”grande peccatrice“, come osa definirsi.

Ebbene, da quando è stata toccata dalla Divina Misericordia, non ha più smesso di raccontare al mondo del suo incontro con il Misericordioso.

La sua testimonianza è sempre commovente. Ma per noi è anche un monito a lasciarci trasfigurare dallo Spirito di Gesù che non usa  particolari  benevolenze solo con alcune persone  ma vuol farsi “tutto in tutti“. Egli ci chiede solamente di autorizzarlo ad operare il “trapianto di cuore“. Da insensibili, ci vorrebbe aperti  alle continue novità di Dio, le sole in grado di restituirci la pace interiore. Perché Gesù guarisce ancora.

Buona visione in prossimità della festa della Santissima Trinità che ci abita, rendendoci parte della famiglia di Dio. Non solo commensali ma anche eredi.

IL SILENZIO BREZZA DEL DIVINO

Il SILENZIO BREZZA DEL DIVINO


Serra San Bruno: la comunità di solitari che sorridono

di Enzo Romeo

Il monastero certosino che sorge sulle Serre calabresi è famoso quasi quanto la Grande Chartreuse. Qui è morto san Bruno. E qui oggi un gruppo di eremiti provenienti da ogni parte del mondo tiene vivo l’ideale del fondatore.  

Mentre Philip Gröning era recluso volontariamente nella Grande Chartreuse, una troupe televisiva di Tg2 Dossier stava vivendo un’esperienza altrettanto straordinaria nella clausura della certosa di Santo Stefano del Bosco, tra le Serre calabresi. I monaci ci diedero un’opportunità eccezionale per comprendere la loro scelta contemplativa, che li porta a «sprecare» la propria esistenza nella preghiera e nell’adorazione all’Altissimo. (foto G. Archinà).Scene di vita quotidiana dei monaci (foto G. Archinà).

Trascorremmo dieci intense giornate, vivendo tra i monaci, anzi come i monaci. Il primo giorno il silenzio ci parve quasi irreale, “assordante”: ci mancava il sottofondo perenne di rumori, musica, parole che accompagna la vita fuori da lì. Poi cominciammo a percepire altri suoni, quelli della natura che avevamo dimenticato (il fruscìo del vento, il rumore della pioggia, il ronzare degli insetti…) e quelli più profondi che sono l’eco interiore del cuore.

Certosini di Serra San Bruno nel coro

Fu una sorpresa. Quante cose ci sono attorno a noi – magari piccole ma affascinanti – che non vediamo, non sentiamo più. La certosa ci aiutò a riscoprirle. Alla fine ne venne fuori il documentario I solitari di Dio, più volte replicato su Raidue e riproposto nel libro-dvd edito da Rubbettino e dalla Eri.

I Certosini non hanno tv né radio, la loro rigida regola claustrale li rende invisibili al mondo. Fanno proprio il detto di un padre del deserto del V secolo, Isidoro di Pelusio: «Una vita senza parole può giovare più che le parole senza vita». Tuttavia sono ben coscienti di quanto sia importante comunicare la propria esperienza. Ad esempio, da anni pubblicano i loro canti: diretti da un maestro di gregoriano che viene appositamente dalla Germania, trasformano la chiesa in una sorta di sala di incisione. Finora hanno prodotto tre album. L’ultimo, Puer natus est, è stato inserito lo scorso Natale nel sito ITunes della Apple (sorta di sterminata enciclopedia musicale a pagamento) e a sorpresa ha scalato la classifica delle raccolte più “scaricate”, superando pop e rock star di fama internazionale. Proporsi al mondo moderno, con strumenti moderni, restando se stessi. Per questo quattro anni fa accettarono di accogliere nel loro monastero le telecamere e di farsi seguire in ogni momento della propria quotidianità, dalla preghiera notturna alla messa conventuale, dalla meditazione della Bibbia al lavoro manuale, dai momenti di solitudine in cella alla lunga passeggiata sui monti.

 Scena di vita quotidiana dei monaci.

http://www.stpauls.it/jesus/0704je/0704je65.htm 

Sono uomini che vengono da tutti i continenti per vivere di orazione e silenzi. Nel periodo in cui siamo stati fra loro c’erano un novizio coreano, un postulante texano, un giovane padre argentino, un anziano monaco vietnamita che aveva conosciuto le carceri di Ho Chi Min… E c’erano ancora l’ex avvocato penalista siciliano, l’ex impiegato torinese della Fiat, l’ex contadino toscano.

«La diversità tra di noi», afferma il priore francese, dom Jacques Dupont, «è la cosa che colpisce subito quando si entra in contatto con la comunità. E la diversità si gestisce con la consapevolezza che all’inizio di ogni cammino c’è sempre il Signore che chiama. Non bisogna stupirsi della diversità, ma chiedersi che cosa il Signore mi vuol dire attraverso colui che è differente da me». Dom Jacques è stato studente e poi ricercatore di matematica alla Sorbona di Parigi negli anni caldi della rivoluzione studentesca. «Il ’68 ci fece capire che non tutto poteva rientrare in una prospettiva materiale, ma che c’era qualcos’altro per cui valeva la pena lottare». Questo «altro» lo ha condotto alla scelta monastica, condivisa con suo fratello, dom Philippe, abate benedettino di Solesmes, in Francia.

Veduta della certosa di Serra San Bruno.

(Foto G. Archinà).

L’eremo di Serra è il luogo dove nel 1101 finì i suoi giorni san Bruno di Colonia, il fondatore dei Certosini, sorta di migrante alla rovescia, partito dalla Germania, passato per la Francia e Roma e approdato nel profondo Sud d’Italia. Una volta la Certosa di Serra San Bruno era off-limits solo alle donne, per gli uomini era invece abbastanza facile entrare, almeno per assistere alle preghiere comunitarie nella chiesa conventuale. Ma, a un certo punto, l’Ordine (l’unico nella Chiesa a non essere mai stato riformato in oltre novecento anni di vita) decise di ridare vigore al tratto eremitico, indispensabile per mantenere l’originalità della vocazione certosina. I monaci vollero riprendere la tradizione dei primi secoli: incontrare la Parola nel silenzio, e del silenzio fare sia l’inizio che il perdurare di questo ascolto. Il certosino non parla di Dio, ma parla a Dio.

Per soddisfare la curiosità dei visitatori venne costruito un museo che riproduce i luoghi della clausura, dalla cella con il cubiculum agli stalli del coro con i grandi antifonari. Ai curiosi che ancora bussano chiedendo di oltrepassare il portone della certosa, dom Jacques racconta questa storia: un giorno un monaco rispose a uno che voleva venire da lui: «Se vieni, ti aprirò. Ma se apro a te aprirò a tutti, allora non rimarrò più in questo luogo». Udendo ciò il visitatore pensò: «Se andandoci lo caccio, non ci vado più».

Il priore francese del monastero, dom Jacques Dupont. Il priore francese del monastero, dom Jacques Dupont (Foto G. Archinà).

Quella dei Certosini è una comunione di solitari dove si combinano sapientemente eremitismo e cenobitismo, cioè vita solitaria e vita di comunità. Afferma ancora dom Jacques: «Il silenzio, in sé, è privo di valore. Il silenzio può essere addirittura cattivo quando viene praticato per orgoglio, per disprezzo dell’altro, o collera nei suoi confronti. Allora, sia che si parli sia che si mantenga il silenzio, ciò va fatto per amore. Se non è così, grande è il rischio di peccare, che sia con la lingua o che sia con il silenzio non cambia le cose». Qui ritorna un’altra frase di un padre del deserto: «C’è un uomo che sembra tacere ma il suo cuore giudica gli altri; costui parla sempre. E c’è un altro che parla da mattina a sera ma conserva il silenzio, perché non dice niente che non sia edificante».

Quando Il grande silenzio uscì lo scorso anno nelle sale italiane, i Certosini di Serra San Bruno si fecero mandare la pellicola dal distributore, improvvisarono una sala cinematografica e proiettarono il film in certosa. I giudizi furono piuttosto critici: nel lavoro di Grning – dissero – manca il sorriso dei monaci, cioè quella capacità di giungere alla gioia del cuore attraverso una vita pure in apparenza tanto severa. Per dom Jacques questo dipende anche dal luogo in cui le riprese sono state effettuate. La Grande Chartreuse, con le sue montagne incombenti, gli orridi, la stretta valle dell’Isère è un paesaggio «verticale» che incute quasi timore. Molto diverso, ad esempio, dal paesaggio «orizzontale» dove sorge la certosa calabrese, incastonata tra i boschi di un morbido altopiano.

Veduta della certosa di Serra San Bruno.

Veduta della certosa di Serra San Bruno (foto G. Archinà).

Il paesaggio, così come la cultura di un luogo, non può non condizionare l’esperienza dei monaci. Perfino san Bruno subì questa influenza e quasi mise a confronto gli anni trascorsi tra le Alpi del Delfinato, alla Chartreuse, con quelli vissuti sui monti calabresi. Nella lettera a Rodolfo il Verde, scritta dall’eremo delle Serre, descrisse il clima mite e sano, la pianura vasta e piacevole, i floridi pascoli, i ruscelli e le sorgenti. E aggiunse: «L’animo, troppo debole, affaticato da una disciplina troppo rigida e dalle applicazioni spirituali, molto spesso con queste cose si risolleva e respira. Se, infatti, l’arco è continuamente teso, si allenta e diviene meno adatto al suo compito».

I Certosini che abbiamo conosciuto e descritto ne I solitari di Dio sono così uguali eppure così diversi da quelli descritti ne Il grande silenzio. Il dato comune è la separazione dal mondo, che non può essere – sostiene ancora dom Jacques – solo simbolica, ma concreta. «Il nostro deserto non è un simbolo, è una realtà. Ma sappiamo che può sembrare una fuga e suscitare disapprovazione e giudizi negativi. Per convincere il nostro interlocutore ricorriamo spesso alla fase di Evagrio: “Separato da tutti, il monaco è unito a tutti”».

Scena di vita quotidiana dei monaci.Foto G. Archinà.

Ma come si realizza questa comunione nel «deserto» della clausura e della solitudine? «Innanzi tutto va detto che il silenzio va congiunto con lo sguardo. Solo colui che sa guardare non ha bisogno di parlare. Silenzio e sguardo valgono più delle parole. E poi, noi siamo convinti, e ne facciamo l’esperienza ogni giorno, che la solitudine abbracciata per Dio non ripiega il monaco su se stesso, ma al contrario ingrandisce il suo cuore alla dimensione del mondo intero. Chi lascia tutto per darsi a Dio non può incontrare l’egoismo ma l’amore, perché Dio è amore e Dio riempie chi lo cerca. Il monaco solitario abbraccia tutti gli uomini nell’ardore di un immenso amore e di un’infinita compassione. La solitudine sboccia in una pienezza di comunione».

Insomma, l’eremita sembra marginale e in realtà si trova al centro del mondo. «Sì, in apparenza siamo ai margini della società, in realtà ci troviamo nel cuore della realtà. Purché la nostra vita sia realmente un modo particolare di stare con Cristo sulla croce. Cioè, condividere l’abbassamento, l’abbandono, l’annientamento di Cristo, per riprendere le parole di Paolo. D’altra parte, il Verbo sulla croce tace. Come noi abbiamo scelto una vita di silenzio per condividere questo silenzio di Cristo, partecipiamo anche alla comunione che sgorga dal Calvario. Per questo la nostra vita, pur richiedendo la separazione dal mondo, è una vita di comunione profonda con tutta la Chiesa e l’umanità».

Quando, alla fine del nostro soggiorno in certosa, chiudemmo le lampade al quarzo, smontammo i cavalletti e riponemmo la telecamera nella sua custodia, rivolgemmo un’ultima domanda al priore: dunque, non sono vite sprecate quelle dei monaci? «Certo, abbiamo deciso di sprecare la nostra vita per Gesù, che amiamo; tutti quelli che sono stati innamorati sanno che le più grandi follie si fanno per amore».

Nient’altro da aggiungere, tranne il silenzio.

Enzo Romeo

Monaca domenicana nel convento Matris Domini di Bergamo.

Monaca domenicana nel convento Matris Domini di Bergamo

 

Monaci e silenzio, binomio spirituale antico

Proprio perché momento imprescindibile della vita spirituale, il silenzio è un tratto peculiare di ogni forma monastica, cristiana e non: basti pensare alle molte esperienze sviluppate nelle religioni dell’Estremo Oriente, dal taoismo allo shintoismo. Anche all’interno della Chiesa cattolica è stato il monachesimo a fare del silenzio, fin dalle origini, un proprio tratto distintivo. Gli anacoreti del III secolo, che si ritiravano nei deserti egiziani sul modello di Gesù che lotta con le tentazioni, ne sono i più risoluti difensori. Titoes di Tabennesi pone il silenzio in funzione dell’orazione interiore: «Come possiamo custodire il nostro cuore, se sono aperti la bocca e il ventre?». La tradizione del silenzio accompagna il passaggio dall’eremitaggio alle prime forme di vita comune – le laure e i cenobi – e viene trattato nelle prime regole di Pacomio e Basilio. Nel VI secolo Benedetto da Norcia, che eredita la ricchezza del monachesimo orientale pur mitigandone la componente ascetica, dedica al silenzio il sesto capitolo della propria Regola, esplicandone anche qui la funzione relazionale: «Se infatti parlare e insegnare è compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e ascoltare» (VI,6). Ci si priva delle parole solo in vista di una maggiore penetrazione della Parola. Non è dunque un caso se proprio nel silenzio dei chiostri nasce la forma musicale par excellence della tradizione cattolica – il canto gregoriano – che la costituzione Sacrosanctum Concilium ha ribadito essere il «canto proprio della liturgia romana».

 

Monaci benedettini in una chiesa di Norcia. Monaci benedettini in una chiesa di Norcia (foto P. Ferrari/Periodici San Paolo)

La tendenza al rilassamento della disciplina monastica originò numerose riforme dell’Ordine benedettino: già nell’anno 779 Benedetto d’Aniane accentua l’ascesi e la liturgia limitando lo studio. All’inizio del X secolo l’abbazia di Cluny, per sfuggire alle pastoie della feudalità laica, si pone alle dirette dipendenze della Curia romana. La riforma cluniacense, che riunì sotto l’obbedienza all’abate di Cluny numerosi monasteri con autonomia locale, accrebbe la propria influenza culturale e politica per oltre due secoli. A questa eccessiva interferenza sociale risponde un rinnovamento della vita eremitica con Romualdo (camaldolesi) e Bruno di Colonia, che nel 1084 fonda l’eremo della Grande Chartreuse, da cui il nome di “certosini”. Cominciano nuovi filoni monastici come i vallombrosani di Giovanni Gualberto, ma è soprattutto con la fondazione di Cîteaux (1098) che si riporta la regola benedettina all’originale austerità, tornando a costruire i monasteri in località deserte: la riforma cistercense troverà in Bernardo di Clairvaux la sua voce più autorevole. Particolarmente dolorosa fu, per il monachesimo, la Riforma protestante: Inghilterra e Germania, che ospitavano centri insigni, ne soppressero ogni forma. E non meno difficile fu la Restaurazione napoleonica. Eppure la crescita di questi Ordini, dopo l’Ottocento, è stata continua e significativa.

Oggi la famiglia benedettina raccoglie circa 12.930 membri, tra Ordini maschili e femminili, mentre 6.732 sono i cistercensi (la maggior parte dei quali trappisti, cioè di stretta osservanza), 384 i certosini, 1.703 i membri dei differenti Ordini basiliani, 690 gli antoniani (maroniti) e 553 i monaci di san Paolo primo eremita. Ad essi vanno aggiungendosi le numerose esperienze che, nel post-Concilio, hanno recuperato il carisma monastico attualizzandolo al di fuori degli Ordini tradizionali, come le comunità legate a Bose (1965), i dossettiani, le comunità dei Figli di Dio (Cfd) e le molte fraternità, in particolare quelle legate a Charles de Foucauld.

Paolo Pegoraro

Un carmelo genuino nel cuore di Carpineto Romano di Vittoria Prisciandaro – foto A. Giuliani/Catholic Press Photo/Periodici San Paolo

 Tra i vicoli di uno storico paesino laziale adagiato sui Monti Lepini sorge il monastero di Sant’ Anna. Ospita 14 religiose che formano una comunità giovane e vivace, discreta ma aperta ai bisogni del mondo di fuori.  

Il mulattiere ha appena scaricato la spesa della settimana. Via Cardarozzi si raggiunge lasciando alle spalle la piazza del paese e l’ultimo parcheggio utile. Strade in pietra e case con il comignolo, percorsi pedonali tra antiche mura e sapori genuini. In piazza, la meridiana ricorda l’era fascista; la fontana, invece, papa Leone XIII, che ebbe i suoi natali proprio qui, a Carpineto Romano. I vecchi e le mamme con i bambini si godono il sole di una primavera anticipata, aria salubre dei Monti Lepini, a 650 metri sul mare e a una settantina di chilometri da Roma. Nel profilo del paese il carmelo di Sant’Anna ha un suo posto discreto, in armonia con il paesaggio. Così come la vita delle monache di clausura. Silenziosa presenza nel tessuto cittadino da 28 anni.

Suor Maria Noemi, giovane priora del carmelo di Carpineto Romano.

Suor Maria Noemi, giovane priora del carmelo di Carpineto Romano.

In parlatorio una foto in bianco e nero riproduce Teresina di Gesù Bambino che, quindicenne, chiede proprio a Leone XIII di poter entrare in clausura. Suor Maria Elvira del SS. Sacramento, fondatrice di Sant’Anna, priora storica (“la serviente”, secondo la regola), e suor Maria Noemi, che ha preso il suo posto da pochi mesi, ci introducono al silenzio del carmelo. La sua specificità rispetto ad altre esperienze monastiche è la ricerca della contemplazione assoluta. Anche il lavoro non dev’essere impegnativo per la mente. Per questo niente servizi faticosi, ma pittura di icone e lavorazioni artigianali, segnalibri e portaspilli, e oggettini di culto, come coroncine del rosario, scapolari e Agnus Dei, i cuoricini lavorati a uncinetto che secondo un’antica devozione vengono messi sulle culle dei neonati.

La giornata delle 14 donne, dai 23 ai 77 anni, che hanno scelto di vivere ritirate in questo monastero che dall’alto domina una verde conca naturale tra Frosinone, Latina e Roma, è scandita dal tempo della preghiera, comunitaria e personale. La sveglia è alle 4.30, per prepararsi all’ufficio delle Lodi e al mattutino in cappella, alle 5.10. «Dopo ci ritroviamo in cella per la preghiera “solitaria“. È il momento della lettura, della meditazione, del colloquio interiore. L’anima», dice Elvira, «entra nella quiete. Percepisci la Sua presenza. Non è un sentimento, ma un atteggiamento di fede che ti colma, ti dà gioia». Un dono che è anche attesa e ricerca. «Puoi fare silenzio anche “fuori” tra la folla, perché è un atteggiamento interiore. Ma la mia scelta è stata diversa: quello che cercavo era dedicarmi completamente alla preghiera».

Elvira oggi ha 77 anni ed è arrivata al carmelo a 38. In precedenza era stata educatrice in una congregazione di vita attiva. «Amavo molto stare con i ragazzi. Mi piaceva insegnare anche attraverso la musica, le rappresentazioni teatrali. Sono sempre stata curiosa e appassionata della vita». Tutto questo era però accompagnato dalla ricerca di uno spazio più grande da dedicare al colloquio interiore. Da lì la richiesta ai superiori di poter provare l’esperienza del carmelo. «Il mio posto era qui. Ho tanto desiderato questa vita che posso dire con serenità di non aver mai sperimentato momenti di aridità, che pure non mancano nella vita di silenzio». La cosa più difficile? «A volte la convivenza, qui come altrove».

Nel confronto che segue con le altre monache, che incontriamo passando dal parlatorio ai locali interni dove si svolge la vita della comunità, scopriamo i sentieri più disparati che a Carpineto si sono incontrati, complici in qualche caso anche le pagine del nostro mensile, che oltre vent’anni fa aveva dedicato un servizio alla neonata struttura. È la strada di Eliana, da Rimini, o di Lucia, da Modena; di Paola da Jesi, Giuliana e Carla dal napoletano, Edwige dalla Polonia e Doroteé dal Camerun; e poi Padova, Latina, Roma. Molte monache sono laureate, hanno avuto esperienza di fidanzamento, alcune arrivano dalle parrocchie, altre da una famiglia non credente. Nessun percorso è scontato o banalmente “esemplare”.

Suor Doroteé durante la preghiera comune. Suor Doroteé durante la preghiera comune.

Si parla con semplicità sul terrazzo del monastero, nell’intervallo dedicato alla ricreazione post prandiale, sotto i tralicci coperti da rampicanti di rose. È il giorno della festa della donna e così anche in refettorio hanno deciso di interrompere il tradizionale silenzio che accompagna i pasti, scanditi dalla lettura della Parola di Dio. Prima di arrivare al pranzo le monache hanno partecipato alla celebrazione eucaristica, alle 7.30, celebrato l’Ora media, e quindi fatto colazione, alle 8.30. Dopo aver riordinato la cella, le giovani in formazione sono andate a studiare mentre le altre si sono dedicate a quei lavori manuali meccanici che «permettono di non perdere il filo del colloquio con il Signore. Il silenzio è come l’anima di ogni occupazione al carmelo», dice Eliana.

Dal lavoro si ritorna in cappella, per l’Ora sesta, seguita dalla preghiera dell’Angelus e quindi alle 12 si passa in refettorio. Il pomeriggio prosegue tra le preghiere della Liturgia delle Ore, la recita del Rosario, la seconda ora di preghiera personale in cella, di nuovo il lavoro e quindi la cena alle 19.30, seguita da ricreazione, preghiera della Compieta alle 21 e quindi ritirata. Qualche volta si assiste alla proiezione di un film o di un documentario a carattere religioso.

Durante la ricreazione qualcuna gioca a tamburello, qualche altra si riposa sulle panchine, Agnese ci mostra il laboratorio di icone e cucito, mentre Maria Noemi ci fa visitare le stanze e il terrazzino in alto, dove è collocata la statua della Vergine. Ci si racconta a vicenda. Giovani donne spigliate, in un approccio senza formalità, qualche sorella più in là con gli anni che alla fine non si sottrae alla macchina fotografica, l’anziana priora che si lascia anche prendere in giro con leggerezza. La percezione è che non sia una recita che dura l’arco del breve incontro per l’ospite accolto oltre la grata, ma la condivisione di una quotidianità “diversa”, scelta con consapevolezza. Lontana dalle immagini claustrofobiche che la clausura potrebbe evocare.

È probabilmente in questa semplicità, accompagnata da una povertà non ostentata («viviamo del nostro lavoro, qualche offerta, la generosità dei vicini»), il successo di un’esperienza che continua ad attirare vocazioni. Il carmelo di Sant’Anna nasce nell’antica canonica di San Giovanni nell’aprile del ’79, su iniziativa di alcune giovani monache che, con il consenso dei superiori, lasciano il carmelo di Sutri, un ambiente di anziane poco propenso all’apertura al nuovo. «Seguivamo il Vaticano II: “La clausura si apra per farsi conoscere da vicino, se vuol essere segno e fascino per i giovani”», ricorda Elvira. La struttura, con le sue sedici stanze e qualche posto in foresteria, non permette una forte crescita della comunità. Alle nuove domande, segue la fondazione di altre realtà: a Cerreto, a Biella, a Sutri – per la rinascita del vecchio carmelo – e a breve in Romania, a Iasi, «dove ci sono già due giovani rumene in attesa di entrare». Il rapporto con la Romania, spiega Maria Noemi, è sicuramente privilegiato: il monastero, infatti, è aperto a uno scambio ecumenico di base con i tanti rumeni ortodossi che vivono nella zona e che «spesso ospitiamo per le loro celebrazioni».

Nella chiesa principale una grata leggera, che nel legno richiama i protettori del carmelo (Maria e i profeti Elia ed Eliseo), divide il coro delle monache dai banchi dei fedeli. Il luogo si affolla durante le celebrazioni eucaristiche domenicali e spesso diventa spazio di ritrovo per gruppi parrocchiali e movimenti giovanili, che alle monache chiedono ospitalità per ritiri e momenti di pausa. «Non abbiamo mai pace», scherza Noemi. «Anche molti sacerdoti chiedono di poter avere un colloquio spirituale», aggiunge Elvira.

Ma com’è il mondo e la Chiesa visti da questo particolarissimo osservatorio, dove arriva qualche quotidiano, molte riviste e si guarda la Tv «solo per i telegiornali»? «Mi sembra che si rischi di vivere con superficialità: la televisione fa un lavaggio del cervello e detta lo stile di vita, si privilegia la carriera alla famiglia», dice Elvira. «Anche la fede diventa superficiale, a volte folkloristica, ma senza radicamento». Al monastero, aggiunge Noemi, «arriva tanta gente. Ma capisci che dopo un po’ non ti seguono più, non sono abituati ad ascoltare». Elvira aggiunge: «Anche nella Chiesa a volte si rischia di essere poco attenti all’ascolto: molti parroci dicono di sentirsi in difficoltà con i vescovi, vorrebbero essere accolti di più come figli. D’altra parte anche le chiese spesso rischiano di essere vuote: ieri il prete lo trovavi disponibile a tutte le ore, oggi ha tanti di quegli impegni…».

Suor Elvira, fondatrice del carmelo, insieme alla nuova priora, suor Maria Noemi. Suor Elvira, fondatrice del carmelo, insieme alla nuova priora, suor Maria Noemi.

In sacrestia alcune fotografie del Monte Carmelo, in Israele, ricordano le origini di questa esperienza. Le carmelitane, infatti, discendono da alcune pie donne che nei secoli XIII e XIV adottarono la Regola del Carmelo, ordine religioso nato in Terra Santa e noto per la devozione alla Madonna. Consacrate a Dio mediante i tre voti, gli stessi dei frati carmelitani, venivano chiamate conversae e si impegnavano all’obbedienza ai superiori dell’Ordine (e ancora oggi il generale dei Carmelitani è superiore anche dei rami femminili). Con la bolla Cum Nulla nel 1452 papa Niccolò V riconobbe e ufficializzò la nascita del ramo femminile. Che alla fine del XVI secolo, in periodo di Riforma, si scisse con la nascita delle “Scalze”. «Ci dividemmo perché dovemmo seguire ciò che accadde ai padri», sintetizza Elvira. «Oggi non c’è nessuna differenza, se non per qualche regola interna. E i nostri rapporti e gli scambi con le consorelle scalze sono ottimi».

 Alle spalle della chiesa, in una piccola cappella riservata alle monache, vicino al tabernacolo e ad alcune reliquie, fanno bella mostra un paio di scarpe rosse. «Sono di papa Paolo VI, che ci donò dieci milioni per il monastero che doveva nascere a Tivoli. La cosa fallì e sono stati poi impiegati qui a Carpineto». Alla sua morte le monache chiesero un ricordo e il segretario del Papa, monsignor Macchi, inviò la reliquia conservata con affetto. La storia passata si intreccia con la futura. E la giovane priora, Maria Noemi, ci dice che per il 2009, in occasione del trentennale della fondazione, hanno chiesto agli artisti locali di rappresentare ciò che hanno capito dell’esperienza del carmelo. «Esporremo i lavori in chiesa», dice, annunciando anche la lavorazione di un nuovo cd, oltre ai due già prodotti con canti in gregoriano, in cui raccogliere antichi canti mariani popolari che «oggi rischiano di andare perduti».

Ci congediamo dopo l’Ora nona. Il monastero ha i suoi ritmi. E a volte, dice Elvira, «sembra che il tempo per la preghiera non basti mai».

Vittoria Prisciandaro

 

Il silenzio? Grazia di Dio, non patrimonio dell’istituzione

di Annachiara Valle – foto M. Gattoni/Periodici San Paolo. 

A San Giuliano Milanese, alle porte del capoluogo lombardo, sorge l’abbazia di Viboldone. Le benedettine che vi abitano hanno preferito non rilasciare interviste in tempo di Quaresima. Parla per loro don Luisito Bianchi, il prete scrittore che da anni è il loro cappellano.  

Gesù crocifisso, con le braccia aperte ad accogliere l’umanità. Adamo in basso a sinistra, che regge la mela. Eva, sulla destra, che torce il busto e indica il Cristo con la mano. L’affresco sull’arco dell’abbazia di Viboldone, posto in fondo alla chiesa, prima dell’altare, sembra dire al pellegrino che entra l’indissolubile unione tra Dio e le sue creature. I mattoni rossi usati nella costruzione, completata nel 1348, custodiscono da generazioni un segreto antico: l’amore gratuito di Dio, il dono misterioso del silenzio.

Don Luisito Bianchi a Viboldone.

Don Luisito Bianchi a Viboldone

San Giuliano Milanese: in questo pezzo di terra padana, a pochi chilometri dal capoluogo lombardo, una comunità di una trentina di suore benedettine, guidata dalla priora madre Maria Ignazia Angelini, vive senza grate la propria clausura. Accolgono le persone, ma non amano parlare, fedeli alla regola di san Benedetto che recita: «Facciamo come dice il profeta: “Ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone”». E ancora: «L’importanza del silenzio è tale che persino ai discepoli perfetti bisogna concedere raramente il permesso di parlare, sia pure di argomenti buoni, santi ed edificanti, perché sta scritto: “Nelle molte parole non eviterai il peccato”; e altrove: “Morte e vita sono in potere della lingua”. Se infatti parlare e insegnare è compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e ascoltare».

Sorridono gentili mentre aprono la porta del convento. Ma è tempo di Quaresima e la regola prescrive che durante questi giorni, ancora di più che nel resto dell’anno, si «mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo». Senza contare, aggiunge madre Angelini, «che sarebbe un controsenso mettersi a parlare del silenzio. Un negare con i fatti ciò che si vorrebbe affermare con le parole». Nessuna intervista, dunque, anche se l’abbazia resta aperta e l’ospitalità pronta.

In quello che qualcuno ha definito «luogo di accoglienza spirituale alle porte della città», si viene per pregare, per meditare, per allontanarsi dal clamore della vita quotidiana.

«Sarebbe un errore, però, pensare che qui si possa fare esperienza di silenzio», dice don Luisito Bianchi, da molti anni cappellano del monastero. «Il silenzio non è un’esperienza, non è un fatto. Esso è un dono gratuito di Dio, il dono dell’ascolto. Si possono usare molte tecniche per “fare silenzio”, si può fare filosofia attorno al silenzio, si può pensare di cercare il silenzio. Si può persino credere che si possa venire in monastero per “sentire” il silenzio. Ma tutto questo è un’illusione. Il silenzio non è una cosa che si trova perché la si cerca. È un dono che si riceve. E perché lo si riceve? Per grazia di Dio, soltanto per questo».

La vita di don Luisito si intreccia da subito con quella del monastero. Giovane prete, nel 1953, subito dopo la guerra, incontra madre Margherita Marchi. Donna intelligente e di fede profonda, madre Marchi aveva lasciato la casa delle Sorelle dei poveri attratta sempre più dalla componente monastica che, pur presente nel suo Ordine, non ne era però la caratteristica principale. Dalla sua esigenza di maggiore contemplazione, condivisa da alcune sue consorelle, nasce una ricerca interiore che la porterà ad aderire pienamente – da donne – alla regola dei monaci benedettini. Dopo diverse traversie, nel 1941, madre Margherita porta a Viboldone una trentina di suore provenienti dalle comunità di Montefiolo della Sabina e dalle catacombe di Santa Priscilla in Roma. E così, dopo 160 anni di silenzio e di abbandono, l’abbazia torna a rivivere per diventare, in pochi anni, di nuovo, punto di riferimento spirituale per la città e non solo.

Il primo maggio 1941 segna la data ufficiale di nascita della comunità, anche se è solo nel 1960 che il cardinale Montini, dopo che era stato firmato l’atto di donazione della casa di Viboldone alle suore, può scrivere alle monache: «Ecco la soluzione del problema che teneva in attesa e apprensione tutta la comunità: Viboldone era una sede di passaggio. Il Signore vi teneva nell’incertezza: staremo qui? Dove andremo? Dove avere un monastero nostro? E ora è divenuto una sede stabile. Il Signore ha sciolto tutti gli interrogativi della grossa e annosa questione, e la risposta è venuta, risposta che è stata molto combattuta, varia, drammatica in molte vicende, ma che ora è venuta affermativa e speriamo per secoli, perché quel che voi fate è per sempre, per i secoli».

Questa stabilità sembra essere custodita persino dalle pietre: «Pietre rosse», commenta don Luisito, «mattoni duri, cotti al fuoco, resistenti. Ma la vera resistenza fu quella di madre Marchi: aveva una tale intelligenza e intuizione e fede che da lei sarebbero potuti uscire moltitudini di mattoni rossi per nuove abbazie».

Mattoni dell’anima, costitutivi della comunità più di quelli di pietra. Lo sapeva bene madre Margherita. E lo sapeva bene il benedettino Ildefonso Schuster. Non a caso il cardinale di Milano, quando nell’autunno del 1943, a causa della guerra, dovette far sospendere in duomo la pratica tradizionale della preghiera corale, dette incarico alle monache di Viboldone di pregare per tutta Milano e per l’intera arcidiocesi. In una lettera alla priora scriveva: «Esse che già con tanta pietà e perizia d’arte liturgica solevano celebrare la divina officiatura, lo facciano adesso anche in nome nostro e di tutta Milano, perché non manchi da parte della metropoli quella adorazione continua e perfetta in spirito e verità che la liturgia rende all’augusta Triade». Viboldone divenne allora, e per certi versi lo è tutt’ora, il cuore della Chiesa ambrosiana.

Ma, aggiunge don Luisito, «c’è sempre una tentazione: quella di confinare la preghiera, la fede, il silenzio, il dono gratuito di Dio, all’interno di un’istituzione. Il silenzio non è patrimonio dei monasteri. L’ho già detto, è una grazia. Ed è grazia quando si vive in un monastero, quando si lavora, quando si è a casa propria. Anche per rendere evidente questo non confinarsi in una struttura, da anni, io trascorro una settimana qui e una nella mia città. Da quando ho avuto un piccolo incidente mi sono dovuto fermare qui, ma al più presto spero di poter riprendere il mio andirivieni. Non dobbiamo cedere alla tentazione dei discepoli che chiedono al Signore “facciamo tre tende”».

A Viboldone, nel 1976, don Luisito, reduce dal lavoro in fabbrica e poi da quello di infermiere, aveva fatto il suo anno sabbatico. E da qui si era mosso poche volte. «Ma sono rimasto un prete diocesano, anche se i miei testi sono spesso presentati come scritti monastici». Del monaco Luisito ha il tono basso di voce, l’inclinazione alle lunghe pause tra una parola e l’altra, l’abitudine alla meditazione. Con il monastero condivide anche la concezione di gratuità, che significa «non vendere la parola di Dio, non vendere la preghiera».

Per questa intuizione fin dall’inizio le monache hanno lavorato, hanno messo in piedi una tipografia, si sono dedicate al restauro dei libri antichi. Fedeli all’ora et labora e alla propria autonomia, madre Margherita Marchi diceva: «Se le vestali ci fossero ancora, dovrebbero fare le commesse di negozio per potersi dedicare a mantenere il fuoco sacro. Noi facciamo le tipografe per conservare la possibilità di dedicarci alla preghiera».

Preghiera, silenzio, ascolto. «Certo qui può essere più facile pensare di poter pregare e ascoltare, ma il silenzio non è un fatto esterno», sottolinea ancora don Luisito. «La mia esperienza mi dice che il silenzio non è un luogo, ma è l’incontro con Cristo. L’ascoltare le sue parole, non le nostre. La nostra ricerca di identità, il nostro chiacchiericcio finisce per mettere a tacere il Vangelo. Il monastero di Viboldone è come una luce, ma il mio ascolto è stato preparato durante gli anni di fabbrica, con il vociferare dei motori. È in mezzo al rumore che ho ricevuto il dono del silenzio».

Annachiara Valle

LA BIBBIA: IL TUO PRONTUARIO FARMACEUTICO


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LA SACRA SCRITTURA AFFERMA CHE LA PAROLA DI DIO GUARISCE 

A riprova che Gesù è veramente la parola incarnata di Dio.

Padre Michele Vassallo ha riportato nel suo libro “Padre Tardif, l’amico di Dio” la testimonianza di una donna guarita dalla cecità durante la predicazione di Padre Emiliano. La Parola di Dio è “…. viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb. 4,12). Di conseguenza vivere gli insegnamenti della stessa costituisce un mezzo di guarigione interiore e fisico. La Madonna da Medjugorje ha raccomandato più volte di leggere quotidianamente la Bibbia in famiglia, dopo la preghiera.

La Parola guarisce l’anima ed il corpo per i seguenti motivi:

  • meditarla e viverla costituisce un sicuro mezzo di prevenzione dai mali che possono derivare dalla sua inosservanza:
  • Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt. 4,4)
  • Onora il medico come si deve secondo il bisogno, anch’egli è stato creato dal Signore….”(Sir. 38,1 seg.)
  • Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandi e li metterete in pratica, io vi darò le piogge alla loro stagione, la terra darà prodotti e gli alberi della campagna daranno frutti….” (Lv. 26,3 seg.)
  • Ma se non mi ascolterete e se non metterete in pratica tutti questi comandi, se disprezzerete le mie leggi e rigetterete le mie prescrizioni, non mettendo in pratica tutti i miei comandi e infrangendo la mia alleanza, ecco che cosa farò a voi a mia volta: manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita. Seminerete invano il vostro seme: se lo mangeranno i vostri nemici…..” (Lv. 26,14 seg.).;
  • elimina ogni dubbio di comportamento in quanto ci fornisce la certezza di agire secondo gli insegnamenti di Dio:
  • Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal. 111,105)
  •   “Sono più saggio di tutti i miei maestri, perché medito i tuoi insegnamenti. Ho più senno degli anziani, perché osservo i tuoi precetti. Tengo lontano i miei passi da ogni via di male, per custodire la tua parola….” (Sal. 119,99 seg.);
  • difende dalle eresie e dai falsi profeti in quanto nulla può essere in contrasto con la stessa (Sal.119):
  • “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!” (Gal. 1,8);
  • guarisce dai falsi sensi di colpa ispirati da satana;
  • fortifica nella fede:
  • Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto….” (Mt. 7,7);
  • insegna come supplicare, ringraziare e lodare Dio (Salmi).
Quanto sopra sintetizzato conferma, a mio modesto parere, l’importanza prioritaria della predicazione evangelica, indispensabile per prevenire e guarire tutti i mali. Il disagio giovanile, la violenza, i suicidi, l’alcolismo ecc. sono il risultato del mancato utilizzo della medicina principe che il Signore ha donato all’umanità: la Sua Parola che salva, protegge e guarisce. Senza la predicazione non avremmo infatti l’Eucarestia, la confessione, la preghiera ecc.

Ecco perché, mentre la Madonna ci ricorda di vivere la Sacra Scrittura, il diavolo strategicamente attua ogni tattica per allontanarci dalla Parola di Dio. E mentre ad esempio gli “esperti” si interrogano sul malessere giovanile, i ragazzi muoiono di droga!

Estratto da “LA BIBBIA” – Oscar Mondadori

Enzo Bianchi monaco priore di Bose

SALMI
a cura di Enzo Bianchi
IL CONTENUTO
Il Salterio si presenta suddiviso in cinque libri scanditi da una dossologia finale; il Quinto libro è concluso da una piccola collezione di Salmi (dal 146 al 150), detti alleluyatici perché hanno come titolo l’espressione «Lodate il Signore» (halelûyah), che fungono da dossologia conclusiva non solo del Quinto libro ma dell’intero Salterio (dal greco psaltérion, lo strumento a corde che accompagnava i Salmi).
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Questa antica suddivisione, risalente almeno al Il secolo a.C. ma probabilmente più antica, riproduce la suddivisione in cinque libri della Torah (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) e sottolinea l’autorevolezza dei Salterio: anch’esso è una Torah! La dossologia finale di ciascun libro si accompagna a una beatitudine che troviamo all’interno di ognuno dei Salmi che chiudono i cinque libri: 41,2; 72,17; 89,16; 106,3; 146,5 (all’inizio della collezione alleluyatica conclusiva dei Salterio). Il doppio registro della «beatitudine dell’uomo» e della «lode di Dio» scandisce così ciascuno dei libri dei Salterio.
Ma si può dire di più: visto che i Salmi 1 e 2 costituiscono il «prologo» dell’intero Salterio e sono racchiusi dal concetto della beatitudine dell’uomo (1,1; 2,12), e visto che i Salmi 146-150, che costituiscono l’epilogo laudativo del Salterio, sono interamente pervasi dalla lode di Dio, è l’intero libro dei Salterio a essere racchiuso – secondo un tipico procedimento stilistico della letteratura ebraica detto «inclusione» -dal doppio registro della beatitudine dell’uomo e della lode di Dio. li Salterio è cosi un libro dell’uomo e di Dio, un libro teandrico, che indica all’uomo la via della felicità affermando che questa si compie nella lode di Dio: nei Salmi 146-150 la radice hll, «lodare», ricorre ben 31 volte e il Salmo 145, che di fatto è l’ultimo del corpo del Salterio – essendo i Salmi 146-150 l’epilogo – è, come recita la sua soprascritta al versetto 1, una «lode», una tehillâ.
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La testimonianza di un popolo che sapeva pregare. Il Salterio è forse il libro biblico più particolare. Si tratta di una raccolta di 150 componimenti poetico-religiosi, differenti per autore, data di composizione, ambiente di origine, tonalità letteraria, lunghezza, modalità di composizione. Accanto al brevissimo Salmo 117 con i suoi due soli versetti, vi è il maestoso Salmo 119 composto da ben 176 versetti. Vi sono Salmi «studiati a tavolino», redatti da capo a fondo con l’elaborato ricorso ad artifici letterari raffinati, come il già ricordato 119; altri, invece, mostrano le tracce e il peso della storia nella stratificazione letteraria di cui sono portatori, come il Salmo 68, costituito da un nucleo originario antichissimo che celebrava una vittoria militare all’epoca dei giudici, da una successiva «rilettura» che lo ha adattato al tempo della monarchia di Giuda, e infine dall’intervento con glosse e ampliamenti di una terza «mano» nell’epoca postesilica. Tutto ciò rende impossibile parlare di una teologia dei Salmi compatta e unitaria.
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Tuttavia tali componimenti hanno in comune il fatto di essere preghiere, di essere le parole che hanno retto il dialogo fra Israele e il suo Dio. È con questa prospettiva particolare che essi si collocano all’interno della struttura teologica centrale con cui Israele ha letto il proprio rapporto con Jhwh: «l’alleanza». I Salmi costituiscono la risposta di Israele alla parola di Dio, al suo intervento nella storia: essi sono «preghiere», e la «teologia del Salterio», se cosi si può dire, è essenzialmente una teologia della preghiera biblica.
Questa preghiera conosce una grande quantità di inflessioni e modulazioni, parallela all’estrema diversità delle situazioni esistenziali e storiche: il Salterio è preghiera nella vita e nella storia, anzi, è storia e vita messe in preghiera. Esso può dunque essere giustamente considerato la migliore «Scuola di preghiera» in quanto tende a unificare vita e preghiera, storia e preghiera: esso insegna che «la preghiera è vivere alla presenza di Dio».
Anche in una prospettiva cristiana, la quale ha al suo centro l’incarnazione e individua la storia e il mondo come il luogo della risposta a Dio, essi restano la preghiera per eccellenza: la Liturgia delle ore, vale a dire la preghiera ufficiale della chiesa, è intessuta essenzialmente di Salmi e afferma la sostanziale irrinunciabilità dei Salmi per la chiesa. E non sarebbe difficile mostrare come le grandi tematiche che attraversano la preghiera salmica (la confessione del nome salvifico di Dio, il riconoscimento della fraternità che lega i credenti nel Signore, la preghiera per l’avvento dei suo Regno, la confessione di peccato e la richiesta di perdono ecc.) sfociano quasi come in un compendio nella preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, il Padre nostro (cf. E. Beaucamp, Israël en prière. Dès Psaumes au Notre Père, Cerf, Paris 1985). Né si deve dimenticare che i Salmi, essendo pregati in tutte le confessioni cristiane, sono preghiera «ecumenica» per eccellenza.
I Salmi sono lode di Dio. I Salmi attestano che i due polmoni della preghiera biblica sono «la supplica» e «la lode». O forse, meglio, la lode e la supplica. Infatti, la lode costituisce l’orizzonte inglobante di tutta la preghiera di Israele. «La lode non è soltanto una “forma letteraria” all’interno del Salterio; la lode di Dio risuona in tutti i Salmi ed è pronunciata anche de profundis, dal profondo dell’angoscia.
Lodare Dio: questa è la peculiarità di Israele, poiché nella lode è espresso il riconoscimento che il popolo di Dio è consapevole di essere “semplicemente dipendente” dal suo Dio e, al tempo stesso, che deve se stesso e tutto ciò che ha ricevuto e riceve alla bontà di Dio creatore. La lode è quindi la risposta tipica di Israele» (H. J. Kraus, Teologia dei Salmi, Paideia, Brescia 1989, p. 109).
La supplica implica sempre la lode (perché la lode è anzitutto confessione di fede nel nome di Dio e questo è sempre presente nelle suppliche, anche le più disperate, come invocazione del volto e dei nome che solo può salvare) e la supplica tende sempre alla lode, com’è ben visibile nei Salmi di supplica che terminano con tonalità di lode (cf. le due parti dei Salmo 22,la prima sotto il segno dell’angoscia – versetti 2-22 – e la seconda impregnata di gioia e di esultanza – versetti 23-32si veda anche l’espressione «ancora lo celebrerò! » dei levita esiliato che si esprime con tono di lamento in Salmi 42-43). Così, sebbene le suppliche siano il genere di preghiera più presente nel Salterio, si comprende il nome di «Lodi» (Tehillîm) che la tradizione ebraica ha attribuito all’insieme del libro.
L’intersecarsi di questi diversi registri di preghiera e di atteggiamenti davanti a Dio (domanda e ringraziamento, lamento ed esultanza, grido angosciato e fiducia, lacrime e risa) dice l’intrinsecità del rapporto fra lode e supplica: « Quando ho levato il mio grido a lui, / la mia bocca già cantava la sua lode» (66,17).
I Salmi sono preghiera personale e collettiva. L’interscambio colto a proposito della lode e della supplica riguarda anche la dimensione personale e collettiva della preghiera del Salterio. Spesso queste dimensioni sono compresenti ìn uno stesso Salmo (cf. 22; 51; 130): a volte forse perché l’orante è il re, dunque una personalità corporativa che abbraccia in sé il destino del popolo, altre volte forse perché un Salmo originariamente individuale è stato rimaneggiato in senso collettivo per meglio adattarlo alla preghiera comunitaria. In ogni caso, al di là delle spiegazioni di dettaglio, va rilevato che la dimensione teologica dell’alleanza implica una intrinsecità fra «io» e «noi».
Nei Salmi di ringraziamento l’orante invita i presenti al tempio a unirsi alla sua lode nella piena coscienza che il beneficio che il Signore gli ha procurato gli è stato ottenuto non grazie ai propri meriti, ma alla propria appartenenza al popolo con cui Dio ha stretto alleanza (cf. 34,4); la supplica dell’orante che invoca il perdono dei proprio peccato in vista della propria restaurazione personale e della propria riammissione alla presenza di Dio è seguita dall’invocazione a Dio per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme e la ripresa del culto al tempio (51,3-19 e 20-21).
La stessa utilizzazione comunitaria e liturgica di Salmi composti da un individuo fa sì che « io » del singolo e «io» di Israele si collochino in situazione di circolarità e non di esclusione. In ogni caso, il fatto che le preghiere contenute nel Salterio siano destinate a essere cantate e musicate indica che esse trovavano nella liturgia il loro luogo di destinazione. La qual cosa non ha impedito che divenissero testi usati anche nella pietà personale.
Il Salterio tuttavia lascia trasparire numerose situazioni liturgiche, rituali e cultuali in cui venivano utilizzati i Salmi: processioni (48,13-15; 68,25-26; 118,26-27), pellegrinaggi (84; la collezione dei 15 Canti delle salite, espressione presente nelle soprascritte dei Salmi 120-134), sacrifici (50,23; 66,13-15; 116,17 ecc.), liturgie di ingresso al tempio (15; 24), benedizioni sacerdotali (115,14-15; 118,26; 128,5; 134,3),oracoli (12,6; 60,8-10; 81,7-17).
I Salmi sono musica e gestualità. Il riferimento a numerosi strumenti musicali (cf. 150,3-5) mostra l’estrema vivezza di queste liturgie: strumenti a corda (arpa, lira, cetra), fiati (flauti, liuti, oboe), corni (sia naturali che artificiali, cioè di bronzo o rame o argento), e poi cimbali, tamburi, campanelle… Ma lo strumento per eccellenza della preghiera salmica, e biblica in genere, è il corpo: «Il fragile strumento della preghiera, l’arpa più sensibile, il più esile ostacolo alla malvagità umana, tale è il corpo.
Sembra che per il salmista tutto si giochi là, nel corpo. Non che sia indifferente all’anima, ma al contrario perché l’anima non si esprime e non traspare se non nel corpo. Il Salterio è la preghiera del corpo. Anche la meditazione vi si esteriorizza prendendo il nome di “mormorio”, “sussurro”. Il corpo è il luogo dell’anima e dunque la preghiera traversa tutto ciò che si produce nel corpo. È il corpo stesso che prega: “Tutte le mie ossa diranno: Chi è come te, Signore?” » (P. Beauchamp, « La prière à l’école des Psaumes », in O. Odelain – R. Séguineau, Concordance de la Bible. Les Psaumes, Desclée de Brouwer, Paris 1980, P. XVII).
Ecco dunque che il corpo si esprime nella preghiera inginocchiandosi (95,6), levando in alto le mani (141,2), protendendo in avanti le mani (143,6), sciogliendo le membra in danze (149,3), battendo le mani (47,2), prostrandosi faccia a terra (29,2), alzando gli occhi verso l’alto in segno di supplica (123) ecc. È cosi che i Salmi strappano la preghiera ai rischi di cerebralità e la presentano come linguaggio globale, di tutto l’uomo.
I Salmi sono poesia. Questa totalità di espressione dell’uomo trova la sua più adeguata manifestazione nella forma poetica: non bisogna dimenticare che i Salmi sono poesia e che pertanto la musicalità e il ritmo, le assonanze e le allitterazioni, cosi come tutti gli altri elementi stilistici della poetica ebraica che compongono la trama dei Salmi, sono essenziali per penetrarli, o meglio, per lasciarsene penetrare.
Senza addentrarsi nella grande ricchezza della poetica ebraica, basti qui ricordare che la regola fondamentale della poesia ebraica si basa sul fatto che la lingua ebraica è accentuale, regolata dall’accento tonico distribuito fra pause e cesure. Ogni parola ha un accento su cui cade il tono della voce nel canto o nella recitazione, e il ritmo si adatta al carattere proprio di ciascun Salmo: i Salmi sapienziali, meditativi, avranno più frequentemente un ritmo pacato e disteso di 3+3 accenti (per esempio 1); le suppliche hanno spesso il ritmo detto qinâ («lamento»), un ritmo strozzato di 3+2 accenti che riproduce il parlare sincopato di chi è preso da singhiozzi e pianto (42-43). Tuttavia molti Salmi non presentano affatto una regolare struttura ritmica o per la lunga e stratificata storia letteraria che li ha prodotti, o per le corruzioni e lacune che si possono essere prodotte nel corso della tradizione manoscritta.
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Altra regola essenziale della poesia ebraica è quella del «parallelismo»: un concetto è ripetuto una o più volte con parole diverse, con espressioni variate, per ottenere lo scopo di una adeguata interiorizzazione. I Salmi delle salite (120-134), tutti databili all’epoca postesilica – eccetto il Salmo 132, di origine più antica – sono redatti facendo ricorso al procedimento della «ripetizione»: una stessa parola o espressione è ripetuta più volte per aiutare la memorizzazione del testo, tra l’altro sempre molto breve (tranne, ancora, il Salmo 132). Si trattava infatti di componimenti che dovevano essere recitati durante il pellegrinaggio a Sion (detto «la salita», poiché a Gerusalemme, data la sua collocazione geografica, «si sale»: cf. Vangelo secondo Marco 10,33), e dunque dovevano essere semplici, adatti a tutti i livelli della popolazione, e facilmente memorizzabili.
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Al «parallelismo sinonimico» (6,2) si affianca il «parallelismo antitetico», in cui un’idea è rafforzata dal suo contrario: «Gli uni contano sui carri, gli altri sui cavalli; / noi invochiamo il nome di Jhwh nostro Dio; / quelli si piegano e cadono, / noi restiamo in piedi e siamo saldi» (20,8-9).
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Il « parallelismo sintetico » si riferisce a un concetto che, espresso nel primo membro di un versetto, viene completato dal secondo: « La volontà del Signore è luminosa / dà trasparenza allo sguardo » (1 9,9cd).
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Il «parallelismo ascendente» mostra il continuo e progressivo accrescimento dell’idea fondamentale espressa: «Riconoscete a Jhwh, figli di Dio, / riconoscete a Jhwh gloria e potenza / riconoscete a Jhwh la gloria del suo nome» (29,1-2a).
Preghiera di tutto l’uomo, i Salmi rivelano la grande quantità di linguaggi che può esprimere la relazione con il Signore. Il sussurro, il brusio sommesso della meditazione (1,2), i singhiozzi e le lacrime del pianto del supplice (6,7-8; 56,9), la protesta nei confronti di un agire di Dio che non si riesce a comprendere («Perché, Signore?», 88,15), il silenzio (65,2), il grido e l’urlo (22,6; 61,2; 69,4), l’invettiva (58; 83,10ss), il lamento (5,2), la riflessione e il dialogo interiore (4,5; 42,6.12; 43,5; 73,16), il riso incontenibile della gioia straripante (126,2). Ogni linguaggio rinvia a una situazione esistenziale e storica che l’orante cerca di leggere davanti a Dio.
La molteplicità di situazioni e di atteggiamenti espressa nei Salmi si riflette sulla variegata gamma di generi letterari presenti nel Salterio che di seguito analizzeremo. Occorre però dapprima premettere che in realtà molti Salmi presentano una tale mescolanza di generi al loro interno che risulta quasi impossibile rinchiuderli in una sola griglia.
  • Così il 36 combina il registro sapienziale con quello della supplica;
  • il 52 contiene elementi sapienziali, ma anche i toni dell’invettiva e della requisitoria, del lamento personale e del ringraziamento;
  • il 75 può essere annoverato tra i ringraziamenti, benché vi emerga la tematica della regalità di Jhwh e presenta elementi liturgico-profetici;
  • il 95 e il 115 sembrano tradire un’origine liturgica senza che sia possibile specificare il tipo di liturgia;
  • il 125 unisce il tono della supplica a quello della fiducia;
  • il 126 è un Salmo di ringraziamento che diviene lamentazione e supplica;
  • il 129 vede coabitare in sé i toni della supplica, della fiducia e del ringraziamento…

E questo, che potrebbe essere verificato su molti altri Salmi, da un lato dice la precarietà dell’attribuzione di un Salmo a un determinato genere (mentre spesso si tratta piuttosto di giudicare la preponderanza di un tono rispetto a un altro), dall’altro attesta che i Salmi riflettono anzitutto la complessità e la non linearità della vita e della storia più ancora che la regolarità ingessata di forme e moduli letterari rigidi.

N.B.: Questo testo è solo una piccola parte dell’introduzione ai Salmi  curata da Enzo Bianchi e riportata nel volume citato più sopra.

04 – SALMI DEL PERDONO E DELLA RICONOSCENZA


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SALMI DI PERDONO E DI RICONOSCENZA

TI ESALTO, SIGNORE, PERCHÉ MI HAI RISOLLEVATO
SALMO 30
2 Ti esalto, Signore,
perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici
di godere delle mie sventure.
3 Signore, mio Dio, ho gridato aiuto
e tu mi hai guarito.
4 Mi hai sottratto al regno dei morti,
hai salvato la mia vita dalla tomba.
5 Cantate al Signore, voi suoi fedeli,
lodatelo perché egli è santo.
6 La sua ira dura un istante,
la sua bontà tutta una vita.
Se alla sera siamo in lacrime,
al mattino ritorna la gioia.
7 Stavo bene e pensavo:
«Non corro alcun pericolo».
8 Tu sei stato buono con me,
mi hai reso stabile come una montagna;
ma quando mi hai nascosto il tuo sguardo,
la paura mi ha preso.
9 A te, Signore, ho gridato,
a te ho chiesto pietà:
10 «Se muoio e finisco nella tomba,
che vantaggio ne avrai?
I morti non possono più lodarti,
non proclamano la tua fedeltà.
11 Ascoltami, Signore, abbi pietà,
Signore, vieni in mio aiuto».
12 Hai cambiato il mio pianto in una danza,
l’abito di lutto in un vestito di festa.
13 Senza mai tacere, io ti loderò, Signore,
per sempre, mio Dio, ti voglio celebrare.
FELICE L’UOMO AL QUALE DIO HA PERDONATO LA COLPA
SALMO 32
Felice l’uomo
al quale Dio ha perdonato la colpa e
condonato il peccato.
2 Felice l’uomo
che ha il cuore libero da menzogna
e che il Signore non accusa di peccato.
3 Finché rimasi in silenzio,
ero tormentato tutto il giorno
e le mie forze si esaurivano.
4 Giorno e notte, Signore,
su di me pesava la tua mano,
la mia forza s’inaridiva
come sotto il sole d’estate.
5 Allora ti ho confessato la mia colpa,
non ti ho nascosto il mio peccato.
Ho deciso di confessarti il mio errore
e tu hai perdonato il peccato e la colpa.
6 Perciò i tuoi fedeli ti pregano
quando scoprono il proprio peccato.
Potrà anche venire un diluvio,
ma non riuscirà a sommergerli.
7 Tu sei per me un rifugio;
mi proteggi da ogni avversità
e mi circondi con canti di salvezza.
8 «Voglio istruirti e insegnarti la via
da seguire,
vegliare su di te e consigliarti.
9 Non essere senza intelligenza
non fare come il cavallo o il mulo:
se non li costringi
con il morso o la briglia,
non si avvicinano a te».
10 Per i malvagi, quante sofferenze!
Ma il Signore circonda con la sua bontà
quelli che in lui hanno fiducia.
11 Il Signore sia la vostra gioia.
Voi giusti, voi uomini onesti,
rallegratevi ed esultate.
PIETÀ DI ME, O DIO, NEL TUO GRANDE AMORE
SALMO 51
3 Pietà di me, o Dio, nel tuo grande amore;
nella tua misericordia cancella il mio errore.
4 Lavami da ogni mia colpa,
purificami dal mio peccato.
5 Sono colpevole e lo riconosco,
il mio peccato è sempre davanti a me.
6 Contro te, e te solo, ho peccato;
ho agito contro la tua volontà.
Quando condanni, tu sei giusto,
le tue sentenze sono limpide.
7 Fin dalla nascita sono nella colpa,
peccatore mi ha concepito mia madre.
8 Ma tu vuoi trovare dentro di me verità,
nel profondo del cuore mi insegni la
sapienza.
9 Purificami dal peccato e sarò puro,
lavami e sarò più bianco della neve.
10 Fa’ che io ritrovi la gioia della festa,
si rallegri quest’uomo che hai schiacciato.
11 Togli lo sguardo dai miei peccati,
cancella ogni mia colpa.
12 Crea in me, o Dio, un cuore puro;
dammi uno spirito rinnovato e saldo.
13 Non respingermi lontano da te,
non privarmi del tuo spirito santo.
14 Ridonami la gioia di chi è salvato,
mi sostenga il tuo spirito generoso…
PIETÀ DI ME, O DIO, PIETÀ; PRESSO DI TE MI SONO RIFUGIATO
SALMO 57
2 Pietà di me, o Dio, pietà;
presso di te mi sono rifugiato,
all’ombra delle tue ali ho cercato scampo
finché non passerà il pericolo.
3 Ho invocato Dio, l’Altissimo;
egli verrà in mio aiuto.
4 Dio mandi dal cielo qualcuno a salvarmi
e copra di vergogna i miei persecutori.
Dio mandi il suo amore e la sua verità.
5 Mi trovo in mezzo a leoni
affamati di prede umane;
i loro denti sono aguzzi come lance e frecce,
le loro lingue sono spade affilate.
6 Mostrati, o Dio, al di sopra dei cieli,
la tua potenza appaia sul mondo.
BENEDICI IL SIGNORE, ANIMA MIA
SALMO 103
1 Benedici il Signore, anima mia:
dal profondo del cuore loda il Dio santo.
2 Benedici il Signore, anima mia:
non dimenticare tutti i suoi doni.
3 Egli perdona tutte le mie colpe,
guarisce ogni mia malattia.
4 Mi strappa dalla fossa della morte,
mi circonda di bontà e tenerezza,
5 mi colma di beni nel corso degli anni,
mi fa giovane come l’aquila in volo.
6 Il Signore agisce con giustizia:
vendica i diritti degli oppressi.
7 Ha rivelato i suoi piani a Mosè,
le sue opere al popolo d’Israele.
8 Il Signore è bontà e misericordia;
è paziente, costante nell’amore.
9 Non rimane per sempre in lite con noi,
non conserva a lungo il suo rancore.
10 Non ci ha trattati secondo i nostri errori,
non ci ha ripagati secondo le nostre colpe.
11 Come il cielo è alto sulla terra,
grande è il suo amore per chi gli è fedele.
12 Come è lontano l’oriente dall’occidente,
egli allontana da noi le nostre colpe.
13 Come è buono un padre con i figli,
è tenero il Signore con i suoi fedeli.
14 Egli sa come siamo fatti,
non dimentica che noi siamo polvere.
5 I giorni dell’uomo durano come l’erba,
fioriscono come un fiore di campo:
16 appena il vento lo investe,
scompare e non lascia traccia.
17 Ma l’amore del Signore dura per sempre
per quelli che credono in lui,
la sua grazia si estende di padre in figlio
18 per chi non dimentica il suo patto
e osserva i suoi comandamenti.
19 Il Signore ha posto il suo trono nei cieli;
regna su tutto l’universo.
20 Benedite il Signore,
angeli forti e potenti,
ubbidienti alla sua parola,
pronti ai suoi ordini.
21 Benedite il Signore,
voi potenze dell’universo,
suoi servi che fate il suo volere.
22 Benedite il Signore, creature tutte
in ogni luogo del suo regno.
Anima mia, benedici il Signore.
AMO IL SIGNORE, PERCHÉ ASCOLTA
SALMO 116
1 Amo il Signore, perché ascolta
il grido della mia preghiera.
2 Egli mi presta attenzione:
lo invocherà tutta la vita.
3 Già la morte mi teneva legato,
mi afferrava il mondo dei morti;
oppresso da angoscia e paura,
4 ho gridato: «Salvami, Signore!».
5 Buono e giusto è il Signore;
pieno di compassione il nostro Dio!
6 Il Signore protegge i deboli:
era la fine ed egli mi ha salvato.
7 E ora ritorni in me la sua pace:
il Signore è stato buono con me.
8 Sì, ha liberato la mia vita dalla morte,
i miei occhi dal pianto, il mio piede dalla
caduta.
9 E cammino alla presenza del Signore,
di nuovo, nel mondo dei vivi.
10 Ho avuto fede, anche quando dicevo:
«Sono davvero infelice!».
11 Ero sconvolto e ripetevo:
«Non puoi fidarti di nessuno!».
12 Come ricambiare il Signore
per tutto il bene che mi ha fatto?
13 Alzerò il calice per il Signore:
lo ringrazierà, perché mi ha salvato.
14 Manterrò la mia promessa al Signore
in presenza di tutto il popolo.
15 Dispiace molto al Signore
la morte dei suoi fedeli.
16 Sì, sono tuo servo, Signore,
tuo servo da sempre.
Mi hai liberato dai legami della morte;
17 offrirò un sacrificio per ringraziarti,
ti loderò davanti a tutti.
18 Manterrò le mie promesse
in presenza di tutto il popolo,
nei cortili del tuo tempio, Signore,
in mezzo a te, Gerusalemme.
Alleluia, gloria al Signore.
CON TUTTO IL CUORE, SIGNORE, TI VOGLIO LODARE
SALMO 138
1 Con tutto il cuore, Signore, ti voglio lodare,
a te voglio cantare davanti ai potenti.
2 Mi inchino al tuo tempio santo;
ti rendo grazie, Signore,
per il tuo amore e la tua fedeltà.
Sei andato oltre le tue promesse,
al di là di ogni attesa.
3 Il giorno che ho gridato, tu mi hai risposto:
hai fatto rinascere in me il coraggio.
4 Ti lodino tutti i re della terra
quando udranno le tue parole.
5 Cantino, Signore, i tuoi voleri:
«Immensa è la gloria del Signore!».
6 In alto sta il Signore,
ma si prende cura dei piccoli,
da lontano riconosce il superbo.
7 Se mi trovo nell’angoscia,
tu mi fai vivere.
Contro l’ira dei miei nemici
stendi la mano, la tua destra mi salva.
8 Signore, tu farai questo per me,
non ha fine il tuo amore.
Non abbandonerai l’opera
che hai incominciato.

03 – SALMI DI LAMENTAZIONE

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I SALMI DI LAMENTAZIONE

SALMO 6
SIGNORE, NON RIMPROVERARMI CON IRA
2 Signore, non rimproverarmi con ira,
non castigarmi con collera.
3 Pietà di me, Signore, sono esausto;
guariscimi, io sono sfinito.
4 Mi sento sconvolto:
fino a quando, Signore, aspetterai?
5 Vieni ancora a liberarmi, Signore;
mi salvi dalla morte il tuo amore fedele.
6 Nel mondo dei morti tu non sei ricordato,
laggiù nessuno ti può lodare.
7 Il dolore mi toglie le forze,
passo le notti nel pianto,
mi trovo in un mare di lacrime.
8 Sono stanco di tanti avversari,
il tormento mi oscura la vista.
9 Il Signore ha udito il mio lamento,
10 ha ascoltato il mio grido di aiuto:
risponde alla mia preghiera.
1-_Scan10583PER QUANTO TEMPO, SIGNORE, VUOI DIMENTICARMI?
SALMO 13
2 Per quanto tempo, Signore, vuoi
dimenticarmi?
Per quanto ancora vuoi nascondermi il tuo
volto?
3 Fino a quando vivrò nell’angoscia,
tutto il giorno con il cuore in pena?
Fino a quando l’avrà vinta il mio nemico?
4 Guardami, Signore; rispondimi, mio Dio:
rendi ancor vivo il mio sguardo,
perché non mi addormenti nella morte.
5 Il mio avversario non canti vittoria,
i miei nemici non godano della mia rovina.
6 Ho avuto fiducia nel tuo amore:
il mio cuore è in festa, perché mi hai
salvato,
a te canto, Signore, per il bene che mi hai
fatto.
PROTEGGIMI, O DIO: IN TE MI RIFUGIO
SALMO 16
1 Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
2 Ho detto al Signore: sei tu il mio Dio:
fuori di te non ho altro bene.
3 Un tempo adoravo gli dèi del paese,
confidavo nel loro potere.
4 Ora pensino altri a fare nuovi idoli,
non offrirò più a loro
il sangue dei sacrifici,
con le mie labbra non dirò più
il loro nome.
5 Sei tu, Signore, la mia eredità,
il calice che mi dà gioia;
il mio destino è nelle tue mani.
6 Splendida è la sorte che mi è toccata,
magnifica l’eredità che ho ricevuto.
7 Loderò Dio che ora mi guida,
anche di notte il mio cuore lo ricorda.
8 Ho sempre il Signore davanti agli occhi,
con lui vicino non cadrò mai.
9 Perciò il mio cuore è pieno di gioia,
ho l’anima in festa,
il mio corpo riposa sicuro.
10 Non mi abbandonerai al mondo dei morti,
non lascerai finire nella fossa chi ti ama.
11 Mi mostrerai la via che porta alla vita:
davanti a te pienezza di gioia,
vicino a te felicità senza fine.
DIO MIO, DIO MIO, PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?
SALMO 22
2 Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?
Perché rimani lontano e non mi aiuti?
Perché non ascolti il mio pianto?
3 Di giorno grido, mio Dio,
e tu non rispondi,
anche di notte, e non trovo pace.
4 Eppure tu, il Santo, abiti fra noi,
in mezzo a Israele, popolo che ti loda.
5 In te sperarono i nostri padri:
hanno sperato e li hai condotti in salvo,
6 ti chiesero aiuto e li hai liberati,
si sono fidati e non sono rimasti delusi.
7 Ma io sono un verme,
non sono più un uomo;
la gente mi insulta, tutti mi disprezzano.
8 Ride di me chiunque mi incontra,
storce la bocca, scuote la testa e dice:
9 «Metta la sua fiducia nel Signore,
lo salvi lui, lo liberi, se lo ama davvero!».
10 Signore, tu mi hai tratto
dal ventre di mia madre
e tra le sue braccia mi hai fatto riposare.
11 A te sono stato affidato fin dalla nascita,
fin dal ventre di mia madre tu sei il mio Dio.
12 Non stare lontano da me,
sono in pericolo e non c’è chi mi aiuta.
13 I nemici mi circondano
come mandrie di tori,
mi accerchiano come bufali enormi,
14 ruggiscono come leoni feroci,
contro di me spalancano la bocca.
15 Le mie forze se ne vanno
come acqua che scorre,
le mie ossa sono tutte slogate,
il mio cuore si scioglie come cera.
16 Sono inaridito come terra secca
e la lingua mi si attacca al palato:
mi hai portato a un passo dalla morte.
17 Una banda di malvagi mi circonda,
mi accerchiano come un branco di cani,
mi hanno legato mani e piedi.
18 Sono ridotto a pelle e ossa:
mi stanno a guardare soddisfatti.
19 Già si dividono i miei vestiti
e la mia tunica tirano a sorte.
20 Signore, non stare lontano da me:
sei tu la mia forza, corri in mio aiuto…
Signore, mi hai ascoltato.
23 Parlerò di te ai miei fratelli,
canterò le tue lodi in mezzo all’assemblea.
24 Lodate il Signore, voi che credete in lui;
glorificatelo, figli di Giacobbe;
adoratelo, gente d’Israele.
25 Il Signore non mi ha respinto,
non si è vergognato della mia miseria,
non mi ha voltato le spalle:
egli ha raccolto il mio grido di aiuto.
26 Per quel che hai fatto
ti loderò nella grande assemblea,
ti offrirò i sacrifici promessi
davanti ai tuoi fedeli.
28 Lo ricordino le nazioni della terra,
si convertano tutte al Signore,
davanti a lui pieghino il ginocchio
tutte le famiglie dei popoli:
29 perché il Signore è il sovrano,
egli regna su tutti i popoli.
32 A tutti quelli che nasceranno si dirà:
«Questo ha fatto il Signore per salvarci!».
GRIDO A TE, MIO SIGNORE
SALMO 28
1  Grido a te, mio Signore;
non essere sordo, mia roccia sicura.
Se non mi rispondi,
io sono già come morto.
2 Ascolta il mio grido di supplica,
quando ti chiedo aiuto,
quando tendo le mani in preghiera
verso il tuo santuario.
6 Benedetto il Signore
che ascolta la mia supplica.
7 Il Signore mi dà forza e mi protegge.
In lui ho fiducia, da lui ricevo aiuto.
Il mio cuore esulta di gioia
e col mio canto lo ringrazio.
8 Il Signore protegge il suo popolo,
difende e salva il re che si è scelto.
9 Salva il tuo popolo, Signore,
benedici quelli che ti appartengono,
e come un pastore guidali sempre.
IN TE, SIGNORE, HO TROVATO RIFUGIO
SALMO 31 (30)
2 In te, Signore, ho trovato rifugio:
fa’ che non resti mai deluso.
Tu che sei giusto, mettimi al sicuro.
3 Ascoltami, corri a liberarmi.
Sii per me una fortezza invincibile,
la roccaforte che mi salva.
4 Sei tu la mia roccia e la mia difesa.
Fa’ onore al tuo nome,
conducimi e guidami.
5 Salvami dalle trappole che mi tendono,
sei tu la mia fortezza.
6 Nelle tue mani metto la mia vita;
tu mi liberi, o Signore, Dio fedele.
7 Detesto chi segue idoli vani,
io ho fiducia soltanto nel Signore!
8 La tua bontà mi fa esultare di gioia.
Tu hai visto il mio dolore,
hai conosciuto la mia sofferenza,
9 non mi hai lasciato in mano all’avversario
e mi hai aperto una strada sicura!
10 Pietà di me, Signore, sono un uomo
distrutto:
nella pena si consumano i miei occhi,
la mia gola, tutto il mio corpo.
11 La mia vita si trascina nei tormenti,
nel lamento se ne vanno i miei anni.
Per il dolore mi mancano le forze,
sento disfarsi anche le mie ossa,
15 Ma io, Signore, in te solo ho fiducia
e dico sempre: «Tu sei il mio Dio».
16 Il mio futuro è nelle tue mani,
salvami tu da nemici e persecutori.
17 Guarda con bontà il tuo servo,
salvami per la tua misericordia.
18 Signore, non deludermi quando grido a te;
restino invece delusi i malvagi,
siano messi a tacere nel regno dei morti.
19 Chiudi la bocca ai bugiardi:
parlano con arroganza e disprezzo,
dicono al giusto parole insolenti.
20 Quanto è grande il bene, o Signore,
che riservi a chi ti onora.
Lo doni sotto gli occhi di tutti
a quelli che in te si rifugiano.
21 Sotto il tuo sguardo li metti al riparo,
lontano dagli intrighi degli uomini;
nella tua casa li porti al sicuro,
lontano da lotte e litigi.
22 Benedetto il Signore
che ha fatto per me prodigi di bontà
quand’ero circondato e assalito.
23 Pieno di spavento, pensavo:
«Sono stato abbandonato dal Signore».
Tu, invece, ascoltavi la mia preghiera,
quando invocavo il tuo aiuto.
24 Amate il Signore, voi suoi fedeli;
egli protegge chi ha fiducia in lui,
ma punisce duramente i superbi.
25 Siate forti, abbiate coraggio,
voi che sperate nel Signore.
SIGNORE, NON RIMPROVERARMI CON IRA
SALMO 38 (37)
2 Signore, non rimproverarmi con ira,
non castigarmi con collera!
3 Sono bersaglio delle tue frecce;
su di me si è abbattuta la tua mano.
4 Il mio corpo è segnato
dai colpi della tua collera.
Le mie ossa sono malate
a causa del mio peccato.
5 Sono immerso nelle colpe:
un peso troppo grande per me.
6 Sono coperto di piaghe nauseanti;
questo è il prezzo della mia follia.
7 Cammino curvo e sono sfinito
passo i miei giorni nel lutto.
8 La febbre mi consuma fino al midollo,
nulla di sano rimane in me.
9 Mi sento schiacciato e abbattuto,
sono pieno di grida e lamenti.
10 Signore, tu conosci le mie ansie,
sei attento ai miei gemiti:
11 Il cuore è agitato, le forze se ne vanno,
mi si spegne la luce negli occhi.
12 Le mie piaghe allontanano da me
amici e compagni,
anche i miei parenti si tengono a distanza.
16 È in te, Signore, la mia sola speranza;
tu, mio Dio, mi darai risposta.
18 Io sto ormai per cadere,
il mio dolore non mi abbandona.
19 Sì confesso il mio peccato,
sono angosciato dal peso delle colpe.
22 Non abbandonarmi, Signore,
non stare lontano da me, Dio mio.
23 Corri presto in mio aiuto,
o Signore, mia salvezza.
AVEVO DETTO: «STARÒ ATTENTO
SALMO 39
2 Avevo detto: «Starò attento:
non peccherò parlando troppo,
terrò a freno la mia lingua
finché starò tra gente malvagia».
3 Mi sono chiuso nel silenzio,
ho taciuto anche più del necessario,
ma il mio dolore è diventato acuto.
4 Dentro di me avevo un gran fuoco,
più pensavo e più mi sentivo scoppiare
e così ho dovuto parlare:
5 «Signore, fammi conoscere la mia fine
e quanto durano i miei giorni:
saprò come è fragile la mia vita!
6 La mia vita, l’hai resa ben corta,
di fronte a te la sua durata è un nulla.
Ogni uomo è come un soffio,
7 va e viene come un’ombra,
la sua fatica è come un soffio,
accumula ricchezze ma non sa
a chi andranno».
8 Allora, Signore, cosa posso aspettarmi?
Sei tu la mia unica speranza!
9 Liberami da tutti i miei peccati…
13 Ascolta la mia preghiera, Signore,
tendi l’orecchio al mio grido,
non essere insensibile alle mie lacrime.
Perché presso di te sono solo un ospite,
pellegrino, come i miei antenati.
14 Distogli da me il tuo sguardo severo,
perché io ritrovi il sorriso,
prima di andarmene e non essere più.
HO CONTINUATO A SPERARE NEL SIGNORE
SALMO 40
2 Ho continuato a sperare nel Signore:
si è chinato verso di me
e ha ascoltato il mio lamento.
3 Mi ha tratto dalla fossa,
dalla fangosa palude della morte.
Ha posto i miei piedi al sicuro su una roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
4 Mi ha messo sulle labbra un canto nuovo,
un canto di lode per il nostro Dio.
Molti vedranno e, pieni di rispetto,
avranno fiducia nel Signore.
5 Felice l’uomo che ha fede nel Signore
e non si rivolge agli idoli,
6 Quante cose hai fatto, Signore,
quanti miracoli e progetti per noi;
nessuno è come te, mio Dio!
Vorrei parlarne, raccontarli,
ma sono troppo numerosi.
7 Tu non hai voluto sacrifici e offerte,
non hai chiesto di bruciare animali
sull’altare,
o di offrire sacrifici per togliere i peccati.
Mi hai dato orecchie per ascoltarti!
8 Allora ho detto: «Ecco, io vengo:
Nel libro è scritta per me la tua volontà».
9 Sono contento di compiere il tuo volere,
la tua legge è nel mio cuore.
10 Nella grande assemblea
ho annunziato la salvezza,
non ho chiuso la bocca, Signore, lo sai!
11 Non ho tenuto per me la tua salvezza;
ho detto che sei fedele e aiuti.
Nella grande assemblea non ho taciuto
la tua verità e il tuo amore.
12 Signore, non privarmi
della tua misericordia;
il tuo amore e la tua verità
mi proteggano sempre.
13 Mi sommergono molti mali,
non li posso neppure contare.
Le mie colpe mi opprimono,
e non vedo più nulla.
Sono più numerose dei miei capelli:
ho perso ogni coraggio.
14 Corri, Signore, in mio aiuto,
vieni presto a salvarmi.
17 Gioiscano e si rallegrino
tutti quelli che ti cercano.
Dicano sempre: «Grande è il Signore!»
quelli che amano la tua salvezza.
18 Io sono povero e misero,
ma il Signore pensa a me.
Tu sei il mio aiuto e il mio liberatore;
mio Dio, non tardare!
COME LA CERVA ASSETATA CERCA UN CORSO D’ACQUA
SALMO 42
2 Come la cerva assetata
cerca un corso d’acqua,
anch’io vado in cerca di te, di te,
mio Dio.
3 Di te ho sete, o Dio,
Dio vivente:
quando potrò venire e stare alla tua presenza?
4 Le lacrime sono il mio pane,
di giorno e di notte,
mentre tutti continuano a dirmi:
«Dov’è il tuo Dio?».
5 Torna il ricordo
e mi sento venir meno:
camminavo verso il tempio,
la casa di Dio,
tra i canti di una folla
esultante e festosa.
6 Perché sei così triste,
così abbattuta, anima mia?
Spera in Dio! tornerò a lodarlo,
lui, mia salvezza e mio Dio.
7 Sono abbattuto, ma anche da lontano
mi ricordo di te,
dalle terre del Giordano e dell’Ermon,
dal monte Misar.
8 Precipitano acque impetuose
di cascata in cascata:
su di me sono passate
tutte le tue onde.
9 Di giorno, mandi il Signore
la sua misericordia;
di notte, canto la mia lode
al Dio che mi dà vita.
10 Dirò al Signore: Mia roccia,
perché mi hai dimenticato?
perché cammino così triste,
oppresso dal nemico?
11 Mi coprono di insulti,
mi spezzano le ossa;
continuano a dirmi:
«Dov’è il tuo Dio?».
12 Perché sei così triste,
così abbattuta, anima mia?
Spera in Dio! tornerò a lodarlo,
lui, mia salvezza e mio Dio.
FAMMI GIUSTIZIA, DIFENDI LA MIA CAUSA
SALMO 43 (42)
1 Fammi giustizia, difendi la mia causa,
contro gente senza fede.
Liberami dal malvagio, o Dio,
salvami dal bugiardo.
2 Dio, sei tu la mia fortezza:
perché mi hai respinto?
perché cammino così triste,
oppresso dal nemico?
3 Manda la tua verità e la tua luce,
siano esse mia guida,
mi conducano al monte del tuo santuario,
fino alla tua presenza.
4 E arriverò al tuo altare, o Dio,
mi farai danzare di gioia.
Per te, Signore, suonerò la cetra,
mio Dio, canterò le tue lodi.
5 Perché sei così triste,
così abbattuta, anima mia?
Spera in Dio, tornerò a lodarlo,
lui, mia salvezza e mio Dio.
 
O DIO, VIENI IN MIO AIUTO
SALMO 70
2 O Dio, vieni in mio aiuto,
Signore, vieni presto a salvarmi.
3 Siano umiliati e coperti di infamia
quelli che attentano alla mia vita;
si diano alla fuga pieni di vergogna
quelli che godono della mia rovina.
4 Siano sconvolti e confusi
quelli che mi dicono: «Ti sta bene!».
5 Gioiscano invece e si rallegrino
tutti quelli che ti cercano.
Dicano sempre: «Dio è grande!»
quelli che amano la tua salvezza.
6 Io sono povero e misero:
accorri da me, o Dio,
mio aiuto e mio liberatore;
Signore, non tardare.
COM’È BUONO DIO CON ISRAELE
SALMO 73 (72)
Com’è buono Dio con Israele,
com’è buono con i puri di cuore!
2 Per poco non sono inciampato,
un attimo, e sarei caduto.
3 Quando ho visto il successo dei malvagi,
li ho invidiati, quegli arroganti.
4 Non hanno preoccupazioni di morte,
il loro corpo è integro e sano,
5 non conoscono le pene degli uomini,
non soffrono come gli altri.
6 L’arroganza è per loro un ornamento,
la violenza è il loro costume.
7 Sono sazi e diventano superbi,
dal loro cuore trabocca cattiveria.
8 Deridono tutti e dicono cose malvagie,
ti guardano dall’alto e ti minacciano.
9 Per la loro avidità non è sufficiente la terra,
per la loro ingordigia non basta il cielo.
10 Per questo il popolo di Dio li segue
e beve senza misura alla loro fonte.
11 Dicono: «Che ne sa Dio?
Conosce forse qualcosa l’Altissimo?».
12 Questi sono gli increduli:
raccolgono ricchezze e se la passano bene.
13 Invano dunque sono rimasto onesto,
e mi sono lavato le mani
in segno di innocenza,
14 se poi ogni giorno subisco correzioni,
perché, o Pastore, fai pesare la tua collera
ogni mattina ricevo un castigo.
15 Se dicessi di voler fare come quelli,
sarei un traditore verso i tuoi figli.
16 Volevo capire tutto questo,
ma era troppo difficile per me.
17 Ho capito quale sarà la loro fine
quando sono andato al santuario di Dio.
18 Ecco! tu li fai scivolare,
li fai andare in rovina.
19 In un attimo sono distrutti,
finiti e spazzati via dallo spavento.
20 Come un sogno, quando ci si sveglia
la loro immagine è svanita, Signore.
21 Quando ero pieno di amarezza
ed era tormentato il mio cuore,
22 ero solo uno sciocco, non ti capivo,
ero stupido come una bestia.
23 Ma io sarò sempre con te:
tu mi hai preso per mano,
24 con il tuo consiglio mi guiderai
e poi mi riceverai nella gloria.
25 Chi ho in cielo all’infuori di te?
Con te, null’altro desidero sulla terra!
26 Anche se il corpo e la mente vengono meno,
tu sei la roccia della mia vita,
la mia ricchezza per sempre, o Dio.
27 Chi è lontano da te è perduto
e tu distruggi chi ti abbandona.
28 Ma per me è bello stare vicino a Dio:
trovo nel Signore il mio rifugio,
per poter celebrare tutte le sue opere.
LA MIA VOCE SALE A DIO E GRIDO
SALMO 77
2 La mia voce sale a Dio e grido,
grido a Dio e lui mi ascolta.
3 Quando sono in angoscia, cerco il Signore;
tutta la notte, senza stancarmi
tendo le mani verso di lui.
Rifiuto ogni altro conforto.
4 Io penso a Dio, ma piango;
medito e mi perdo di coraggio.
5 Non mi fai chiudere occhio, Signore;
sono agitato, non ho più parole.
6-7 Ricordo il tempo antico,
ripenso agli anni lontani.
Passo la notte in continui pensieri,
medito e senza sosta mi domando:
8 «Il Signore ci respingerà per sempre?
Di noi non vorrà più saperne?
9 È finito per sempre il suo amore?
Si è esaurita la sua promessa?
10 Ha dimenticato la sua compassione?
Nel suo sdegno ha chiuso il suo cuore?».
11 Dico: «Questo è il mio tormento:
Dio, l’Altissimo, non agisce più
come prima».
12 Signore, io voglio ricordare le tue azioni,
ripensare ai tuoi miracoli di un tempo.
13 Rifletto su ognuna delle tue opere,
considero le tue mirabili imprese.
14 Nessun Dio è grande come te,
sante sono tutte le tue azioni.
15 Sei l’unico Dio che fa prodigi.
Hai manifestato la tua potenza alle nazioni.
16 Con forza hai liberato il tuo popolo…
 
TENDI L’ORECCHIO, SIGNORE, ASCOLTA
SALMO 86 (85)
Tendi l’orecchio, Signore, ascoltami:
sono povero e infelice.
2 Proteggi la mia vita: io ti sono fedele.
O Dio, salva il tuo servo: confido in te!
3 Tutto il giorno ti chiamo:
pietà di me, Signore!
4 Verso di te io sospiro:
Signore, donami gioia!
5 Tu sei buono, Signore, pronto al perdono,
pieno d’amore per chi t’invoca.
6 Ascolta la mia preghiera,
non respingere la mia supplica.
7 Sono in pericolo; a te io grido:
tu, Signore, mi risponderai!
8 Nessuno altro Dio è come te, Signore;
nessuno può fare quello che tu fai.
9 Hai creato tutti i popoli:
essi verranno ad adorarti,
a cantare, Signore, la tua gloria.
10 Tu sei grande, tu fai meraviglie,
tu solo sei Dio!
11 Insegnami, Signore, la via da seguire:
voglio esserti sempre fedele.
Fammi avere questo solo desiderio:
rispettare la tua volontà.
12 Signore, mio Dio, ti loderò
con tutto il cuore,
sempre dirò che il tuo nome è glorioso.
13 Grande è il tuo affetto per me:
mi hai salvato dall’abisso della morte.
Signore, Dio clemente
e pieno d’amore,
sei paziente, fedele, pronto al perdono;
16 abbi pietà di me e guardami.
Io sono tuo servo: dammi la tua forza.
Tu sei il mio Signore: salvami.
17 Dammi un segno che tutto mi andrà bene:
tu, Signore, mi aiuti e mi consoli!
SIGNORE, MIO DIO, MIO SALVATORE
SALMO 88
2 Signore, mio Dio, mio Salvatore,
io grido a te giorno e notte.
3 Giunga fino a te la mia preghiera,
non chiudere l’orecchio al mio pianto.
4 Sono sazio di sventure,
la mia vita è sull’orlo della morte.
5 Mi considerano finito,
un uomo ormai senza forze.
6 Sono abbandonato fra i morti,
come gli uccisi gettati in una fossa,
dimenticati da te, per sempre,
lontani dalla tua mano potente.
10 Nel dolore si spengono i miei occhi.
Tutto il giorno continuo a chiamarti,
tendo verso di te le mie mani.
11 Farai forse un miracolo
in favore dei morti?
le loro ombre si alzeranno mai a lodarti?
12 Si parla forse della tua bontà nella tomba,
della tua fedeltà nel mondo dei morti?
13 Chi può vedere i tuoi prodigi nella notte
senza fine?
la tua generosità nella terra dell’oblio?
14 Ma io ti chiedo aiuto, Signore,
fin dal mattino giunge a te la mia preghiera.
15 Perché mi respingi, Signore?
perché nascondi il tuo volto?
16 Dall’infanzia sono infelice…
19 mi fanno compagnia solo le tenebre.
SIGNORE, ASCOLTA LA MIA PREGHIERA
SALMO 102
2 Signore, ascolta la mia preghiera,
il mio grido giunga fino a te.
3 Non nascondermi il tuo volto,
quando mi colpisce la sventura.
Non chiudere il tuo orecchio;
quando t’invoco, fa’ presto: rispondimi!
4 I miei giorni svaniscono in fumo,
le mie forze si consumano come brace.
5 Mi sento arido come erba falciata
e mi dimentico di mangiare.
6 Non si sente che il mio sospiro,
sono ridotto a pelle e ossa.
7 Sono come una civetta nel deserto,
un gufo in mezzo alle rovine.
8 Sono rimasto a vegliare
come un passero solitario sul tetto.
10 Cenere e lutto sono il mio pane,
la mia bevanda è fatta di lacrime.
12 Come ombra della sera
svaniscono i miei giorni
e io, come erba, inaridisco.
13 Ma tu, Signore, sei re per sempre;
sei ricordato in ogni generazione.
14 Sorgi e abbi pietà di Sion;
ora è tempo di misericordia:
è questo il suo momento!
19 Questo sia scritto per la generazione futura;
un popolo rinnovato loderà il Signore.
20 Dall’alto del suo santuario, dal cielo,
il Signore ha guardato la terra,
21 per ascoltare il lamento dei prigionieri
e liberare i condannati a morte.
22 In Sion si esalterà la potenza del Signore,
lo si loderà in Gerusalemme,
23 quando si raduneranno i popoli
e i regni serviranno il Signore.
24 Lungo il cammino mi hai tolto le forze,
hai abbreviato i miei giorni.
25 Allora ho detto: «Mio Dio,
tu vivi per sempre:
non troncare a metà la mia vita».
26 Fin dall’inizio tu hai fondato la terra,
il cielo è opera delle tue mani:
27 essi spariranno, ma tu resterai,
si consumano tutti come un vestito,
li cambi come un abito usato.
28 Ma tu rimani sempre lo stesso,
senza fine sono i tuoi anni.
29 I figli dei tuoi fedeli abiteranno sicuri,
i loro discendenti vivranno
alla tua presenza.
A TE ALZO I MIEI OCCHI
SALMO 123 (122)
A te alzo i miei occhi,
a te che abiti in cielo.
2 Come gli occhi dei servi attendono
un cenno dei padroni,
come gli occhi di una schiava fissano
la mano della padrona,
così i nostri occhi sono rivolti a te,
Signore, nostro Dio,
e attendono la tua misericordia.
3 Pietà di noi, Signore, pietà!
DAL PROFONDO DELL’ANGOSCIA GRIDO A TE, SIGNORE
SALMO 130
1 Dal profondo dell’angoscia grido a te,
Signore;
2 Signore, ascolta il mio pianto!
Le tue orecchie siano attente
alla voce della mia preghiera.
3 Se tieni conto delle colpe, Signore,
Signore, chi potrà vivere ancora?
4 Ma tu sei colui che perdona
e noi potremo servirti.
5 Con tutta l’anima spero nel Signore
e conto sulla sua parola:
6 Spero nel Signore e l’attendo
più che una sentinella l’aurora.
7 Tutto Israele speri nel Signore:
egli è buono e può liberarci.
8 Il Signore libera il suo popolo
da tutti i suoi peccati.
A GRAN VOCE IO GRIDO AL SIGNORE
SALMO 142
2 A gran voce io grido al Signore,
a gran voce lo supplico.
3 Davanti a lui sfogo il mio pianto,
a lui espongo la mia angoscia.
4 Signore, se mi perdo di coraggio
tu conosci la mia via;
sai che sul sentiero dove cammino
i nemici mi hanno teso una trappola.
5 Guarda attorno e vedi:
tutti mi ignorano,
non ho più via di scampo,
nessuno ha cura di me.
6 Grido aiuto a te, Signore,
e dico: «Tu solo mi proteggi,
tu, mia sola risorsa in questa vita.
7 Ti prego, ascolta il mio pianto:
sono ridotto all’estremo.
Liberami dai miei persecutori:
sono molto più forti di me.
8 Fammi uscire da questa prigione
e potrò lodarti, Signore.
Intorno a me si riuniranno i tuoi fedeli,
perché mi avrai fatto del bene.
SIGNORE, ASCOLTA LA MIA PREGHIERA
SALMO 143
Signore, ascolta la mia preghiera.
Tu sei fedele: accogli la mia supplica.
Tu sei giusto: rispondimi.
2 Non mettermi sotto accusa:
davanti a te nessuno è innocente.
3 Un nemico mi insidia da ogni parte,
mi butta a terra e mi calpesta,
mi getta nelle tenebre
come i morti del passato.
4 Mi sento mancare il respiro,
il mio cuore viene meno.
5 Mi ritorna alla mente il passato,
rimedito tutte le tue opere,
penso alle cose che hai fatto per noi.
6 A te alzo le mani in preghiera;
sono davanti a te come terra assetata.
7 Signore, non resisto più:
fa’ presto, rispondimi.
Non rimanere nascosto,
senza di te la mia vita si spegne.
8 Fammi scoprire la tua bontà,
perché in te, Signore, io confido.
Mostrami il cammino da seguire,
perché a te innalzo la mia preghiera.
9 Dai miei nemici liberami, Signore:
presso di te io mi rifugio.
10 Insegnami a fare la tua volontà,
perché tu sei il mio Dio.
Con bontà mi guidi il tuo spirito
su terra piana e sicura.
11 Tu sei il Signore: fammi vivere.
Sei fedele: liberami dall’angoscia…

02 – I SALMI DELLA LODE


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I SALMI DELLA LODE

O SIGNORE, NOSTRO DIO
SALMO 8
O Signore, nostro Dio,
grande è il tuo nome su tutta la terra!
Canterò la tua gloria più grande
dei cieli balbettando
come i bambini e i lattanti.
3 Contro gli avversari hai costruito una
fortezza
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
4 Se guardo il cielo, opera delle tue mani,
la luna e le stelle che vi hai posto,
5 chi è mai l’uomo perché ti ricordi di lui?
Chi è mai, che tu ne abbia cura?
6 L’hai fatto di poco inferiore a un dio,
coronato di forza e di splendore,
7 signore dell’opera delle tue mani.
Tutto hai messo sotto il suo dominio:
8 pecore, buoi e bestie selvatiche,
9 uccelli del cielo e pesci del mare
e le creature degli oceani profondi.
10 O Signore, nostro Dio,
grande è il tuo nome su tutta la terra!
GRIDATE DI GIOIA AL SIGNORE
SALMO 33
1 Gridate di gioia al Signore, voi giusti;
da voi, fedeli, si innalzi la lode!
2 Celebrate il Signore al suono della cetra,
lodatelo sull’arpa a dieci corde.
3 Cantate per lui un canto nuovo,
acclamatelo con la musica più bella!
4 Chiara è la parola del Signore,
sicure sono tutte le sue opere.
5 Egli ama il diritto e la giustizia,
del suo amore è piena la terra…
18 Ma il Signore veglia su chi crede in lui,
su chi spera nel suo amore;
19 per farlo sfuggire alla morte
e tenerlo vivo in tempo di fame.
20 Noi speriamo nel Signore:
è lui che ci aiuta e ci protegge.
21 Da lui viene ogni nostra gioia,
in lui è tutta la nostra fiducia.
22 Il tuo amore ci accompagni,
perché noi confidiamo in te, Signore.
SIGNORE, LA TUA BONTÀ È GRANDE COME IL CIELO
SALMO 36 (35)
6 Signore, la tua bontà è grande come il cielo,
la tua fedeltà va oltre le nubi.
7 La tua giustizia è come i monti più alti,
la tua legge è profonda come l’oceano,
tu soccorri uomini e bestie.
8 Quant’è preziosa la tua fedeltà, o Dio:
gli uomini si riparano
all’ombra delle tue ali.
9 Li sazi dei beni del tuo tempio
e li disseti al fiume della tua grazia.
10 In te è la sorgente della vita;
quando ci illumini, viviamo nella luce.
11 Resta fedele verso quelli che ti conoscono,
sii generoso con gli uomini giusti…
BENEDIRÒ IL SIGNORE IN OGNI TEMPO
SALMO 34 (33)
2 Benedirò il Signore in ogni tempo:
sulle mie labbra sempre la sua lode.
3 Io voglio gloriarmi del Signore:
gli umili udranno e saranno felici.
4 Celebrate con me il Signore perché è grande,
esaltiamo tutti insieme il suo Nome.
5 Ho cercato il Signore e m’ha risposto,
da tutti i timori m’ha liberato.
6 Chi guarda a lui diventa raggiante,
dal suo volto svanisce la vergogna.
7 Se un povero grida, il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angustie.
9 Perché egli parlò e tutto fu fatto;
diede un ordine e tutto fu compiuto.
10 Il Signore distrugge i piani dei popoli,
rende vani i progetti delle nazioni.
11 Ma i piani del Signore durano per sempre,
tutti i suoi progetti rimangono nei secoli.
12 Felice la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come suo.
13 Dall’alto del cielo il Signore guarda
e vede tutti gli uomini.
14 Dal luogo dove abita
egli osserva tutti gli abitanti della terra.
15 Lui ha creato il loro cuore,
lui conosce le loro azioni.
16 Un re non vince con un grande esercito,
un guerriero non si salva con la sua forza;
17 è un’illusione la vittoria con i cavalli,
la salvezza non viene dagli eserciti.
18 Ma il Signore veglia su chi crede in lui,
su chi spera nel suo amore;
19 per farlo sfuggire alla morte
e tenerlo vivo in tempo di fame.
20 Noi speriamo nel Signore:
è lui che ci aiuta e ci protegge.
21 Da lui viene ogni nostra gioia,
in lui è tutta la nostra fiducia.
22 Il tuo amore ci accompagni,
perché noi confidiamo in te, Signore.
SIGNORE, LA TUA BONTÀ È GRANDE COME IL CIELO
SALMO 36
6 Signore, la tua bontà è grande come il cielo,
la tua fedeltà va oltre le nubi.
7 La tua giustizia è come i monti più alti,
la tua legge è profonda come l’oceano,
tu soccorri uomini e bestie.
8 Quant’è preziosa la tua fedeltà, o Dio:
gli uomini si riparano
all’ombra delle tue ali.
9 Li sazi dei beni del tuo tempio
e li disseti al fiume della tua grazia.
10 In te è la sorgente della vita;
quando ci illumini, viviamo nella luce.
11 Resta fedele verso quelli che ti conoscono,
sii generoso con gli uomini giusti.
TU SEI IL MIO DIO E IO TI CERCO
SALMO 63 (62)
2 Tu sei il mio Dio e io ti cerco.
Sono assetato di te, ti desidero
con tutto me stesso:
sono terra arida, secca, senz’acqua.
3 Così ti ho cercato nel tuo santuario
per conoscere la tua forza e la tua gloria.
4 Il tuo amore è più prezioso della vita.
Le mie labbra ti loderanno;
5 ti benedirò per tutti i miei giorni,
a braccia alzate invocherò il tuo nome…
6 Con gioia ti loderanno le mie labbra.
7 Di notte penso a te sul mio letto,
e passo le ore a pregarti.
8 Tu mi hai sempre protetto;
al riparo delle tue ali
posso cantar la mia gioia.
9 Rimango unito a te con tutto me stesso
e la tua mano mi sostiene…
A TE È DOVUTA LA LODE
SALMO 65
2 A te è dovuta la lode,
Dio che abiti in Sion,
davanti a te si adempiano i voti.
3 Tu ascolti la preghiera,
a te viene ogni uomo.
4 Mi opprime il peso delle colpe,
tu solo puoi perdonare i peccati.
5 Beato chi scegli e porti accanto a te
per farlo abitare nel tuo santuario.
Godremo i beni della tua casa,
la santità del tuo tempio.
6 O Dio salvatore, tu ci rispondi
con azioni prodigiose di vittoria,
tu, fiducia delle terre più distanti,
dei mari più lontani.
SALMO 65 (64)
Inno al Signore di tutta la terra
1 Per il direttore del coro. Salmo di Davide. Canto.
2 A te è dovuta la lode,
Dio che abiti in Sion,
davanti a te si adempiano i voti.
3 Tu ascolti la preghiera,
a te viene ogni uomo.
4 Mi opprime il peso delle colpe,
tu solo puoi perdonare i peccati.
5 Beato chi scegli e porti accanto a te
per farlo abitare nel tuo santuario.
Godremo i beni della tua casa,
la santità del tuo tempio.
6 O Dio salvatore, tu ci rispondi
con azioni prodigiose di vittoria,
tu, fiducia delle terre più distanti,
dei mari più lontani.
7 Tu, armato di vigore,
stabilisci con forza le basi dei monti.
8 Plachi il ruggito del mare,
il fragore delle onde,
il tumulto dei popoli…
DIO ABBIA PIETÀ DI NOI E CI BENEDICA
SALMO 67
2 Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto:
3 sappia la terra come egli ci guida,
conoscano i popoli come egli ci salva.
4 Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
5 Esultino e ti acclamino le nazioni,
perché governi le genti con giustizia
e guidi le nazioni sulla terra.
6 Ti lodino i popoli, o Dio,
Ti lodino i popoli tutti!
7 La terra produca il suo frutto,
ci benedica Dio, il nostro Dio!
8 Ci benedica Dio e sia riconosciuto
dai popoli di tutta la terra.
 
VENITE, LODIAMO IL SIGNORE
SALMO 95
1 Venite, lodiamo il Signore,
gridiamo di gioia al Dio che ci protegge!
2 Andiamogli incontro con gratitudine,
cantiamo a lui canti di festa.
3 Davvero il Signore è un Dio grande,
grande re su tutti gli dèi.
4 Egli domina tutta la terra,
dagli abissi alle vette dei monti.
5 Suo è il mare, è lui che l’ha fatto,
con le sue mani ha plasmato la terra.
6 Venite, in ginocchio adoriamo,
inchiniamoci al Dio che ci ha creati.
7 Lui è il nostro Dio e il nostro pastore,
noi siamo il suo popolo,
il gregge che la sua mano conduce.
Ascoltate oggi questa sua parola:
8-9 «Non indurite i vostri cuori
come i vostri padri nel deserto…
CANTATE AL SIGNORE UN CANTO NUOVO
SALMO 96
1 Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, abitanti del mondo,
2 cantate e benedite il Signore!
Ogni giorno annunziate: è lui che ci salva!
3 Raccontate la sua gloria a tutte le nazioni,
a tutti i popoli narrate le sue imprese.
4 Grande è il Signore, e degno di lode,
più terribile di tutti gli dèi.
5 Tutti gli altri dèi sono un nulla.
Il Signore ha fatto l’universo:
6 attorno a lui splendore e maestà,
nel suo santuario potenza e bellezza.
7 Rendete al Signore, popoli del mondo,
rendete al Signore gloria e potenza,
8 rendete a lui la gloria che gli spetta.
Entrate con offerte nel suo tempio,
9 adoratelo quando appare nella sua santità
tremate davanti a lui, abitanti del mondo.
10 Dite a tutti: il Signore regna!
giudica i popoli con giustizia,
rende stabile il mondo, che non sarà mai
scosso.
11 Si rallegrino i cieli, esulti la terra,
frema il mare vasto e fecondo,
12 sia in festa tutta la campagna;
danzino di gioia gli alberi del bosco,
13 davanti al Signore che viene,
che viene a governare la terra:
governerà il mondo con giustizia
e tratterà i popoli con equità.
ACCLAMATE AL SIGNORE
SALMO 100
1 Acclamate al Signore, genti tutte della terra.
2 Servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con lieti canti.
3 Riconoscete che il Signore è Dio.
Egli ci ha fatti, a lui apparteniamo
siamo il suo popolo, il gregge che egli guida.
4 Entrate nel suo tempio con canti,
nei suoi cortili con inni di lode:
celebrate e lodate il Signore.
5 Il Signore è buono,
senza fine è il suo amore per noi,
egli rimane fedele per sempre.
SIGNORE, TU MI SCRUTI E MI CONOSCI
SALMO 139)
Signore, tu mi scruti e mi conosci;
2 mi siedo o mi alzo e tu lo sai.
Da lontano conosci i miei progetti:
3 ti accorgi se cammino o se mi fermo,
ti è noto ogni mio passo.
4 Non ho ancora aperto bocca
e già sai quel che voglio dire.
5 Mi sei alle spalle, mi stai di fronte;
metti la mano su di me!
6 È stupenda per me la tua conoscenza;
è al di là di ogni mia comprensione.
7 Come andare lontano da te,
come sfuggire al tuo sguardo?
8 Salgo in cielo, e tu sei là;
8 Salgo in cielo, e tu sei là;
scendo nel mondo dei morti, e là ti trovo.
9 Prendo il volo verso l’aurora
o mi poso all’altro estremo del mare:
10 anche là mi guida la tua mano,
là mi afferra la tua destra.
11 Dico alle tenebre: «Fatemi sparire»,
e alla luce intorno a me: «Diventa notte!»;
12 ma nemmeno le tenebre per te sono oscure
e la notte è chiara come il giorno:
tenebre e luce per te sono uguali.
13 Tu mi hai plasmato il cuore,
mi hai tessuto nel seno di mia madre.
14 Ti lodo, Signore: mi hai fatto
come un prodigio.
Lo riconosco: prodigiose sono le tue opere.
15 Il mio corpo per te non aveva segreti
quando tu mi formavi di nascosto
e mi ricamavi nel seno della terra.
16 Non ero ancora nato e già mi vedevi.
Nel tuo libro erano scritti i miei giorni,
fissati ancor prima di esistere.
17 Come sono profondi per me i tuoi pensieri!
Quanto è grande il loro numero, o Dio!
18 Li conto: sono più della sabbia!
MIO DIO, ESALTERO’ LA TUA GRANDEZZA
SALMO 145
1 Mio Dio, esalterò la tua grandezza;
mio re, non finirò di ringraziarti!
2 Ogni giorno ti voglio benedire,
voglio cantare per sempre le tue lodi.
3 Tu sei grande, Signore;
a te è dovuta ogni lode,
la tua grandezza non si può misurare.
4 Di padre in figlio si tramanda
quello che tu hai fatto per noi,
tutti raccontano le tue imprese.
5 Parlano della tua gloria e della tua maestà
e io medito le tue azioni prodigiose.
6 Narrano con stupore
la potenza delle tue opere
e io racconto le tue meraviglie.
7 Diffondono la fama della tua bontà
immensa,
cantano con gioia la tua vittoria.
8 Il Signore è bontà e misericordia,
è paziente, costante nell’amore.
9 Il Signore è buono con tutti,
ha misericordia per ogni creatura.
10 Ti lodino, Signore, tutte le creature,
rendano grazie tutti i tuoi fedeli.
11 Annunzino il tuo regno glorioso,
parlino a tutti della tua potenza.
12 E gli uomini conosceranno le tue imprese,
la gloria e Io splendore del tuo regno.
13 Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo potere dura nei secoli.
Il Signore è fedele alle sue promesse,
misericordioso nelle sue opere.
14 Sostiene chi sta per cadere,
rialza chi è abbattuto.
15 Gli occhi di tutti sono fissi su di te
e tu doni il cibo a tempo opportuno.
16 Apri la tua mano generosa
e sazi ogni vivente.
17 Il Signore è giusto in tutto,
buono in ogni sua azione.
18 È vicino a chiunque lo invoca,
a chi lo cerca con cuore sincero.
19 Non delude le attese di chi gli è fedele,
ascolta il loro grido e li salva.
20 Il Signore veglia su quanti lo amano,
ma distrugge tutti i malvagi.
21 Canti la mia bocca le lodi del Signore.
Ogni creatura benedica il Dio santo, per
sempre.
ALLELUIA, GLORIA AL SIGNORE
SALMO 146
1 Alleluia, gloria al Signore.
Voglio lodare il Signore.
2 A lui canterò per sempre,
loderò il mio Dio finché avrò vita.
3 Non contate su gente influente:
sono uomini, non possono salvarvi;
4 muoiono, ritornano alla terra,
ogni progetto vien sepolto con loro.
5 Felice l’uomo fedele,
che conta sull’aiuto del Dio di Giacobbe
e mette ogni sua speranza
nel Signore suo Dio.
6 Il Signore ha fatto il cielo e la terra,
il mare e tutto quello che esiste;
mantiene la sua parola,
7 difende la causa dei perseguitati.
Il Signore libera i prigionieri, dà il pane agli affamati;
8 Il Signore apre gli occhi ai ciechi,
rialza chi è caduto
e ama gli onesti.
9 Il Signore protegge lo straniero,
difende l’orfano e la vedova
e sbarra il cammino agli oppressori.
10 Questo è il tuo Dio, o Sion.
Egli è re in ogni tempo;
il suo potere rimane per sempre.
Alleluia, gloria al Signore.

01 – SALMOTERAPIA – I SALMI DEL CORAGGIO E DELLA FIDUCIA

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 RISVEGLIATI, RISVEGLIATI CUORE MIO !

 Potremmo introdurci alla  comprensione dei Salmi attraverso varie vie.

  • La prima consisterebbe nel presentare la loro struttura letteraria, i loro autori, la loro formazione, i contesti in cui sono nati.
  • Suggestiva poi sarebbe una lettura che ne mettesse in evidenza il carattere poetico, che raggiunge talvolta altissimi livelli di intuizione lirica e di espressione simbolica.
  • Non meno interessante sarebbe ripercorrere i Salmi considerando i vari sentimenti dell’animo umano che essi manifestano:
  • gioia, riconoscenza, rendimento di grazie, amore, tenerezza, entusiasmo,
  • ma anche intensa sofferenza, recriminazione, richiesta di aiuto e di giustizia, che sfociano talvolta in rabbia e imprecazione.
  • Nei Salmi l’essere umano ritrova se stesso interamente.

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I SALMI DEL CORAGGIO

  • La preghiera dei salmi è la preghiera all’unissono dell’uomo e della donna, con le loro contraddizioni della storia e della vita quotidiana non edulcorate, non nascoste ma messe in mezzo, a tu per tu con Dio.
  • E’ la storia di un rapporto concreto, storico, tra noi e il Signore. In questa storia si innestano i nostri tradimenti, le difficoltà della vita, lo scandalo del male, la lotta per costruire un mondo più umano.
  • Pregare con i salmi è la scelta per parole non nostre, parole del Signore stesso, che ci guidano nella via della comunicazione delle cose più profonde e più vere delle sensazioni occasionali e parziali di ognuno.( Ambrogio Spreafico).

«Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12).

  • Guidami, dolce Luce, in mezzo alle tenebre: guidami innanzi.
  • La notte è cupa e io sono lontano da casa.
  • Ti invoco, guidami!
  • Veglia sul mio cammino.
  • Non ti chiedo di vedere l’orizzonte lontano, un solo passo mi basta.
  • Non fui sempre così, nè sempre pregavo che tu mi guidassi. Amavo scegliere io stesso la via da percorrere.
  • Ma ora Ti invoco, guidami Tu!
  • Amavo il sole splendente e mi guidava l’orgoglio.
  • Non ricordare i giorni passati!
  • Sono certo, Amore, che mi guiderai per lande e paludi, rocce e torrenti, fino a quando il giorno riapparirà.
  • Al mattino si affacceranno i volti degli angeli a lungo amati, ma che più non vedo.     (John Newman)
  • Signore, non ti chiedo di cancellare tutto e subito il dolore che è nell’impasto stesso della mia vita, della mia fragilità, nel mio limite di creatura umana;
  • Imploro la Tua mano, pronta ad intrecciarsi con la mia perché mi strappi dalle paludi dell’infelicità e mi impedisca di sfracellarmi contro le rocce della disperazione.
  • Se tu mi sei accanto, anche quando sono immerso nel buio più profondo, sono certo di non essere abbandonato.
  • Io so, Signore, che Tu sei vicino a me anche se stai in silenzio.
  • Io so, Signore, che lentamente mi condurrai verso l’alba.
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Mi sono permesso, in alcuni casi, di non riportare tutte le parole del testo, perchè potrebbero essere fraintese da chi si trova in un particolare stato d’animo e non ha voglia di consultare le note per cogliere il senso di certe invocazioni di vendetta e punizione dei nemici, stridenti con la nostra sensibilità.
.
(Suggerisco di procedere in questo modo:
  1. ammirazione e contemplazione del paesaggio
  2. lettura del salmo parola per parola, quasi fosse cantato (meglio cantato per chi ne è in grado)
  3. nuova contemplazione del panorama, dando sfogo alle parole che sgorgano dal cuore.
  4. Nessuna indigestione di salmi: lasciare che il salmo penetri come pioggia  nella terra arida e desolata dell’anima

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I SALMI DELLA FIDUCIA
Tu, Signore, mio scudo nel pericolo
SALMO 3
4 Tu, Signore, mio scudo nel pericolo,
mi dai la vittoria, sollevi il mio capo.
5 Se grido al Signore, mi risponde
dal monte del suo santuario.
6 Mi corico e m’addormento;
al mattino mi sveglio sereno:
il Signore mi protegge.
7 Non temo migliaia di nemici
accampati contro di me da ogni parte.
8 Sorgi, Signore; salvami, o Dio!
tu colpisci in faccia i miei nemici
e abbatti la forza dei malvagi.
9 Tu puoi salvare, Signore,
tu benedici il tuo popolo.
.
Rispondimi, quando t’invoco
SALMO 4
2 Rispondimi, quando t’invoco,
Dio, mio difensore.
Tu nei pericoli mi hai liberato;
abbi ancora pietà di me;
ascolta la mia preghiera.
3 Voi che seguite falsi dèi
e vi rivolgete agli idoli,
fino a quando mi insulterete?
4 Sappiate che il Signore difende
quelli che credono in lui:
quando l’invoco, lui mi risponde.
5 Tremate, basta con i vostri peccati.
Nel silenzio della notte riflettete.
6 Offrite sacrifici al vero Dio.
Solo nel Signore abbiate fiducia.
7 Molta gente va dicendo:
«Se ci togli la tua luce, o Dio,
chi ci darà il benessere?».
8 A me, Signore, hai dato una gioia
che vale più di tutto il loro grano
e il loro vino.
9 Tu solo, Signore, mi dai sicurezza:
mi corico tranquillo e m’addormento.

Ascolta, Signore, le mie parole

SALMO 5

2 Ascolta, Signore, le mie parole;
accogli il mio lamento.
3 Non senti il mio grido,
tu, mio re e mio Dio?
A te mi rivolgo, Signore.
4 Al mattino tu ascolti la mia voce,
all’alba ti presento il mio caso
e aspetto la tua risposta.
5 Tu non sei un Dio che gode del male,
accanto a te non trova posto il malvagio.
8 Ma grande, Signore, è la tua bontà:
io sono accolto nella tua casa
con fede ti adoro nel tuo santuario.
9 Molti mi sono nemici, Signore:
guidami nel sentiero dei tuoi voleri,
appiana davanti a me la tua strada
12 Si rallegrino e sempre cantino di gioia
quelli che a te si appoggiano.
13 Trovino in te felicità e protezione
tutti quelli che ti amano.
14 Tu, Signore, benedici i giusti,
come scudo li protegge il tuo amore.
.
Ti amo, Signore, mia forza!
SALMO 18
2 Ti amo, Signore, mia forza!
3 Il Signore è mia salvezza,
mia roccia invincibile,
mio liberatore, mio Dio.
In lui ho un rifugio sicuro,
egli mi difende come uno scudo:
è la forza che mi salva.
4 Lode al Signore!
Io l’ho invocato
ed egli mi ha salvato dai nemici.
5 Mi avevano avvolto legami di morte,
fiumi impetuosi mi avevano sommerso.
6 Mi stringevano legami infernali,
trappole mortali mi aspettavano.
7 Nell’angoscia ho invocato il Signore,
ho gridato aiuto verso il mio Dio.
Dal suo tempio ha udito la mia voce,
il mio grido è giunto al suo orecchio.
29 Signore, tu dai luce alla mia lampada;
mio Dio, tu rischiari le mie tenebre.
36 Signore, mi hai protetto e salvato,
con il tuo braccio mi hai sostenuto:
mi hai esaudito e reso forte.
37 Mi hai fatto avanzare a grandi passi,
i miei piedi non hanno inciampato.
50 Per questo, Signore,
ti loderò fra le nazioni,
canterò inni alla tua gloria.
.
Il Signore è il mio pastore
SALMO 23
Il Signore è il mio pastore
e nulla mi manca.
2 Su prati d’erba fresca
mi fa riposare;
mi conduce ad acque tranquille,
3 mi ridona vigore;
mi guida sul giusto sentiero:
il Signore è fedele!
4 Anche se andassi per la valle più buia,
di nulla avrei paura,
perché tu resti al mio fianco,
il tuo bastone mi dà sicurezza.
5 Per me tu prepari un banchetto
sotto gli occhi dei miei nemici.
Con olio mi profumi il capo,
mi riempi il calice fino all’orlo.
6 La tua bontà e il tuo amore mi seguiranno
per tutta la mia vita;
starò nella casa del Signore
per tutti i miei giorni.
.
.
A te, Signore, innalzo l’anima mia
SALMO 25
A te, Signore, innalzo l’anima mia.
2 In te ho fiducia, mio Dio, non mi deludere
e i miei nemici non trionfino su di me.
3 Chi spera in te, o Dio, non sarà mai deluso;
deluso sarà chi ti abbandona.
4 Fammi conoscere le tue vie, Signore;
insegnami il cammino da seguire.
5 Guidami con la tua verità, istruiscimi:
sei tu il Dio che mi salva,
ogni giorno sei la mia speranza.
6 Non dimenticare il tuo amore
e la tua fedeltà;
durano da sempre, Signore.
8 Buono e giusto è il Signore;
insegna la sua via ai peccatori.
9 Conduce i poveri
sul cammino della giustizia,
insegna loro la sua volontà.
10 Il Signore guida con fedeltà e amore
chi osserva il suo patto
e i suoi comandamenti.
11 Per la tua fedeltà perdonami, Signore:
perché grande è il mio peccato.
12 Il Signore mostrerà la via da scegliere
all’uomo che ha fede in lui.
13 Egli vivrà nel benessere
e i suoi figli erediteranno la terra.
14 Il Signore fa conoscere la sua alleanza;
non ha segreti per chi crede in lui.
15 Ho gli occhi sempre fissi al Signore,
che protegge dalle insidie i miei passi.
16 Volgiti verso di me, abbi pietà:
sono infelice e solo.
17 Ho il cuore gonfio di angoscia:
liberami da ogni affanno…
18 Guarda il mio dolore e la mia sofferenza,
perdona tutti i miei peccati.
20 Difendi la mia vita, salvami;
non deludermi, perché confido in te.
21 Onestà e franchezza mi accompagnino,
perché io spero in te, Signore.
22 O Dio, libera Israele
da ogni sua sventura.
.
Il Signore è mia luce e mia salvezza
SALMO 27
1 Il Signore è mia luce e mia salvezza,
di chi avrò paura?
Il Signore protegge la mia vita,
di chi avrò timore?
2 Se i malvagi mi assalgono
e si accaniscono contro di me,
saranno loro, nemici e avversari,
a inciampare e finire a terra!
3 Se anche un esercito mi assedia
il mio cuore non teme;
se contro di me si scatena una battaglia
ancora ho fiducia.
4 Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io desidero:
abitare tutta la vita
nella casa del Signore,
per godere la bontà del Signore
e vegliare nel suo tempio.
5 Egli mi offre un rifugio
anche in tempi difficili;
mi nasconde nella sua tenda,
sulla roccia mi mette al sicuro.
7 Ascoltami, Signore, io ti invoco:
abbi pietà di me, rispondimi.
8 Ripenso alla tua parola:
«Venite a me».
E vengo davanti a te, Signore.
9 Non nascondermi il tuo volto.
Non scacciare con ira il tuo servo:
sei tu il mio aiuto.
Non respingermi, non abbandonarmi,
mio Dio, mio Salvatore.
10 Se padre e madre mi abbandonano,
il Signore mi accoglie.
11 Insegnami, Signore, la tua volontà,
guidami sul giusto cammino.
13 Sono certo: godrò tra i viventi
la bontà del Signore.
14 «Spera nel Signore, sii forte e coraggioso,
spera nel Signore».
.
Non tormentarti per i malvagi
SALMO 37
1 Non tormentarti per i malvagi,
non invidiare chi fa il male;
2 come erba che appassisce
presto anch’essi sfioriranno.
3 Abbi fiducia nel Signore e fa’ il bene,
abita la tua terra e ama la verità.
4 Il Signore sia la tua gioia:
egli esaudirà i desideri del tuo cuore.
5 Volgi i tuoi passi verso il Signore,
abbi fiducia in lui ed egli agirà:
6 farà apparire la tua giustizia
come luce del mattino,
la tua rettitudine
come il sole di mezzogiorno.
7 Spera nel Signore, non ti agitare,
9 Chi spera nel Signore possederà la terra.
I giusti possederanno la terra
e vi abiteranno per sempre.
18 Al Signore stanno a cuore i giorni dei giusti,
possederanno per sempre la loro terra.
19 Neppure in tempi difficili
rimarranno delusi,
anche nei giorni di carestia saranno saziati.
23 Il Signore guida i passi dell’uomo
e rende sicuro il suo cammino.
24 Se vacilla non cade a terra
perché il Signore lo tiene per mano.
25 Né da giovane, né ora da vecchio,
ho mai visto un giusto abbandonato,
o i suoi figli costretti a mendicare il pane.
26 Ogni giorno egli può dare con generosità
e i suoi figli sono benedetti.
27 Fuggi il male e pratica il bene,
così per sempre abiterai la tua terra.
28 Perché il Signore ama la giustizia
e non abbandona i suoi fedeli.
30 I giusti si esprimono con saggezza
e parlano sempre con onestà:
31 hanno nel cuore la parola del loro Dio,
il loro cammino non sarà mai incerto.
34 Spera nel Signore e segui la sua via:
ti darà l’onore di possedere la terra…
39 Viene dal Signore la salvezza dei giusti:
è lui che li protegge nei tempi difficili.
40 Il Signore li aiuta, li salva,
e li libera dai malvagi.
Li salva perché in lui si sono rifugiati.
.
Dio è per noi sicuro rifugio
SALMO 46
2 Dio è per noi sicuro rifugio,
aiuto infallibile in ogni avversità.
3 Non abbiamo paura se trema la terra,
se i monti sprofondano nel mare;
4 le acque possono sollevarsi infuriate,
la loro forza può scuotere i monti!
Il Signore dell’universo è con noi,
ci protegge il Dio di Giacobbe!
5 Un fiume e i suoi ruscelli allietano
la città di Dio,
la più santa delle dimore dell’Altissimo:
6 non potrà vacillare, perché vi abita Dio.
Egli la protegge fin dal primo mattino.
7 I popoli si impauriscono, i regni crollano:
Dio fa sentire la sua voce
e la terra sconvolta.
8 Il Signore dell’universo è con noi,
ci protegge il dio di Giacobbe!
9 Guardate che cosa ha compiuto il Signore,
quali prodigi ha fatto sulla terra!
10 In tutto il mondo pone fine alle guerre:
spezza archi e lance, brucia gli scudi.
11«Lasciate le armi. Riconoscete
che io sono Dio!
Domino sui popoli, trionfo
sul mondo intero».
12 Il Signore dell’universo è con noi,
ci protegge il dio di Giacobbe!
Ascolta, o Dio, il mio lamento
SALMO 61
2 Ascolta, o Dio, il mio lamento,
accogli la mia preghiera:
3 sull’orlo dell’abisso grido a te
col cuore in angoscia;
conducimi tu sulla rupe
per me troppo alta.
4 Sei diventato per me il solo rifugio,
una fortezza di fronte ai miei nemici.
5 Voglio abitare nella tua casa per sempre,
mettermi al sicuro sotto le tue ali.
6 Tu, o Dio, accetti le mie promesse,
mi concedi quel che doni ai tuoi fedeli.
Soltanto in Dio trovo riposo
SALMO 62 (61)
2 Soltanto in Dio trovo riposo,
da lui viene la mia salvezza.
3 Lui solo è mia salvezza e mia roccia,
al suo riparo starò saldo e sicuro…
6 Soltanto in Dio trovo riposo,
da lui viene la mia speranza.
7 Lui solo è mia salvezza e mia roccia,
al suo riparo starò al sicuro.
8 Salvezza e onore per me sono in Dio,
in lui la mia difesa e il mio rifugio.
9 In ogni tempo confidate in lui,
voi che siete il suo popolo.
Aprite a lui il vostro cuore:
solo Dio è un rifugio per noi…
In te, Signore, ho trovato rifugio
SALMO 71
1 In te, Signore, ho trovato rifugio:
fa’ che non resti mai deluso.
2 Tu sei giusto: liberami e mettimi al sicuro,
dammi ascolto e salvami.
3 Sarai per me roccia e dimora
dove sempre posso venire.
Tu hai promesso di salvarmi,
sei tu la mia roccia e la mia difesa.
4 Fammi sfuggire, mio Dio,
dalle mani del malvagio,
di chi mi deruba e commette ingiustizia.
5 Signore, sei tu la mia sola speranza,
in te, dalla mia giovinezza,
ho riposto fiducia.
6 Dal seno materno sei stato il mio sostegno,
tu mi hai raccolto
dal grembo di mia madre;
da sempre sale a te la mia lode.
7 Sono sembrato a molti un segno misterioso,
ma tu eri il mio sostegno sicuro.
8 Delle tue lodi è piena la mia bocca,
tutto il giorno canto la tua gloria.
9 Non abbandonarmi
nel tempo della vecchiaia,
non lasciarmi,
ora che le forze vengono meno.
12 O Dio, non starmi lontano,
mio Dio, corri presto in mio aiuto.
14 Io continuo a sperare,
dico e ripeto la tua lode.
15 Tutto il giorno le mie labbra canteranno
i tuoi atti e le tue imprese di salvezza:
sono tanti da non potersi contare.
16 Entrerò nel tuo tempio maestoso, Signore;
ricorderò le opere giuste
che tu solo hai compiuto.
17 Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito,
e ancor oggi proclamo i tuoi prodigi.
18 Ora sono anziano, con i capelli bianchi,
o Dio, non mi abbandonare!
così annunzierò ai giovani la tua forza,
la tua potenza ai figli che verranno.
19 O Dio, hai compiuto opere giuste,
tanto grandi che arrivano al cielo.
Chi è come te, o Dio?
20 Tu mi hai fatto provare dolori e disgrazie.
Ma di nuovo mi darai vigore,
mi farai risalire dall’abisso della morte.
21 Accrescerai la mia grandezza,
ti volgerai a me e mi darai conforto.
22 Anch’io ti loderò al suono dell’arpa,
canterò la tua fedeltà, o mio Dio,
suonerò per te sulla cetra, o Santo d’Israele.
23 Farò festa, canterò i tuoi salmi,
pieno di gioia perché mi hai salvato.
24 Tutto il giorno la mia lingua
racconterà le tue opere gloriose.
Signore, a memoria d’uomo
SALMO 90
1 Signore, a memoria d’uomo
tu sei stato il nostro rifugio.
2 Esistevi prima che sorgessero i monti,
prima che nascesse la terra:
o Dio, tu rimani per sempre!
3 Tu fai tornare l’uomo alla polvere,
e gli dici: «Ritorna com’eri!».
4 Per te mille anni sono come un giorno,
come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di guardia, la notte.
5-6 Tu metti fine alla nostra vita:
passa come sogno del mattino,
come erba che all’alba germoglia e fiorisce,
alla sera già appassisce e dissecca.
7 Siamo consumati dalla tua ira,
la tua collera ci incute terrore.
8 Tu conosci tutte le nostre colpe,
scopri i nostri peccati segreti.
9 Al tuo furore i nostri giorni scompaiono,
i nostri anni svaniscono come un sospiro.
10 La nostra vita dura settant’anni,
ottanta, se tutto va bene;
ma il nostro agitarci è fatica e dolore,
la vita passa presto e noi non siamo più!
11 Chi conosce la forza della tua ira
e con giusto timore
comprende il tuo sdegno?
12 Facci capire che abbiamo i giorni contati,
allora troveremo la vera saggezza.
13 Signore, fino a quando sarai adirato?
Torna ad avere pietà di noi, tuoi servi!
14 Ogni mattina saziaci del tuo amore
e i nostri giorni passeranno
nel canto e nella gioia.
15 Ridonaci tempi felici
pari ai giorni in cui ci hai afflitti
e agli anni tristi che abbiamo vissuto.
16 I nostri occhi vedano le tue opere
e i nostri figli conoscano la tua grandezza.
17 Sia con noi la bontà del Signore, nostro Dio:
egli dia forza all’opera delle nostre mani,
faccia riuscire ogni nostra fatica!
Tu che trovi rifugio nell’Altissimo
SALMO 91
(salmista)
1-2 Tu che trovi rifugio nell’Altissimo,
trascorri la notte sotto la sua protezione,
di’ al Signore, l’Onnipotente:
(fedele)
«Tu sei mia difesa e salvezza.
Sei il mio Dio: in te confido!».
(salmista)
3 È vero: il Signore ti libererà
dalle trappole dei tuoi avversari,
da ogni insidia di morte.
4 Ti darà riparo sotto le sue ali,
in lui troverai rifugio,
la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.
5 Non temerai i pericoli della notte,
né di giorno alcuna minaccia,
6 la peste che si diffonde nelle tenebre,
la febbre che colpisce in pieno giorno.
7 Mille potranno morire al tuo fianco,
diecimila alla tua destra,
ma tu non sarai colpito!
8 Basterà che tu apra gli occhi
e vedrai come Dio punisce i malvagi.
(fedele)
9 «Signore, tu sei il mio rifugio!».
(salmista)
Ti sei messo al riparo dell’Altissimo,
10 e non ti accadrà nulla di male,
nessuna disgrazia toccherà la tua casa.
11 Il Signore darà ordine ai suoi angeli
di proteggerti ovunque tu vada.
12 Essi ti porteranno sulle loro mani
e tu non inciamperai contro alcuna pietra.
13 Camminerai su vipere e serpenti,
metterai sotto i tuoi piedi leoni e draghi.
14 «Egli si affida a me, dice il Signore,
lo libererò, lo proteggerò,
perché mi conosce.
15 Quando mi invocherà, gli risponderò.
Sarò con lui in ogni pericolo,
lo salverò e lo renderò onorato.
16 Gli donerò una vita lunga e piena,
gli farò provare la mia salvezza».
Alzo gli occhi verso i monti
SALMO 121
1 Alzo gli occhi verso i monti:
chi mi potrà aiutare?
2 L’aiuto mi viene dal Signore
che ha fatto cielo e terra.
3 Il Signore non ti lascerà cadere,
veglia su di te, senza dormire.
4 Certo non dorme né riposa,
lui, che veglia su Israele.
5 Su di te veglia il Signore,
ti protegge con la sua ombra,
sta sempre al tuo fianco.
6 Il sole non ti colpirà di giorno,
né la luna di notte.
7 Il Signore proteggerà la tua vita,
ti proteggerà da ogni male.
8 Il Signore ti proteggerà
quando parti e quando arrivi,
da ora e per sempre!
Signore, il mio cuore non ha pretese
SALMO 131
1 Signore, il mio cuore non ha pretese,
non è superbo il mio sguardo,
non desidero cose grandi
superiori alle mie forze:
2 io resto tranquillo e sereno.
Come un bimbo in braccio a sua madre
è quieto il mio cuore dentro di me.
3 Israele, confida nel Signore
da ora e per sempre!

CAMMINO DI QUARESIMA

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 Gesù Crocifisso 2

Quaresima 2014 – OSCAR CANTONI vescovo

Vecovo_Oscar_CantoniLa Quaresima è ormai alle porte: giunge a noi tutti il salutare “appello alla conversione”, che è invito a non pensare di bastare a noi stessi, sicuri  delle nostre forze, ma a seguire Gesù, che ci fa ricchi con la sua povertà  e ci chiama all’opzione preferenziale per gli ultimi, quelli che la società scarta.

Papa Francesco, che fin dai primi giorni della sua elezione ha parlato di una Chiesa povera per i poveri, ha inviato un messaggio quaresimale a tutti i credenti in Cristo proprio su questo tema, di cui le mie riflessioni vorrebbero essere una concretizzazione nel nostro contesto di vita.

In queste ultime settimane, ho raggiunto  tutte le zone pastorali della diocesi, incontrando in mattinata i sacerdoti, poi, a sera, i membri dei consigli pastorali e della Caritas. Ci siamo raccontati come la nostra comunità cristiana sta affrontando il tema della povertà, nelle sue variegate forme (materiale, morale, spirituale), come ce ne facciamo carico e come operiamo concretamente per alleviare le miserie dei nostri fratelli, nella consapevolezza che “amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo”

E’ emerso un quadro molto variegato di interventi da parte delle varie parrocchie, che con l’assistenza della Caritas diocesana, si propongono di sensibilizzare tutti i cristiani all’impegno di carità e di essere vicine a quanti sono in situazione di effettiva povertà, nella consapevolezza che l’impegno per i poveri è la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno.

Tra le forme di povertà, più volte ricordate,vorrei accennare all’ormai endemica disoccupazione giovanile: sono molti, anche da noi, i giovani che non lavorano nè studiano, vivono nell’incertezza e rischiano di compromettere il loro futuro, con una grande crisi di speranza.

In secondo luogo, ricordo il problema della ludopatia,il gioco d’azzardo patologico, che non ha risparmiato nemmeno persone del nostro ambiente, per non citare poi chi fa uso di droghe, del fumo, dell’alcool.

Non mancano le famiglie in cui l’acutizzarsi della crisi ha favorito la divisione, lo scoraggiamento, la mancanza di dialogo tra genitori e figli, generando comportamenti aggressivi, che sfociano anche in fenomeni di bullismo.

Non basta, però, elencare le varie situazioni di povertà, di cui quelle citate non sono che un esempio. E’ importante che ci aiutiamo a scoprirne le cause: esse lasciano intendere un profondo, diffuso disagio e un acuto malessere.

Dietro le statistiche, si nascondono non solo dati socioeconomici, ma soprattutto un drammatico vuoto esistenziale di chi ha perso l’anelito a guardare verso il cielo,non ritenendo di aver bisogno di Dio e confidando solamente su se stesso.

La crisi economica riflette una crisi antropologica, cioè il modo di considerare le persone, di relazionarsi tra di loro,di accettare la differenza, di promuovere quei valori essenziali e irrinunciabili che danno senso alla vita e spiegano le scelte personali.

Esercizio quaresimale potrebbe essere ravvisare la diffusa concezione materialistica dell’uomo, secondo cui egli vivrebbe “di solo pane”, convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è specificamente umano!

Negli incontri con i vari membri dei consigli pastorali ho richiamato il nostro compito di cristiani:prenderci carico delle tante forme di povertà,anche spirituale, a partire dalla considerazione dello stile con cui Gesù si accosta ai poveri e ne assume le miserie con il suo amore di compassione e di tenerezza.

Nell’ imitazione del  Signore impariamo ad accostarci agli indigenti non in modo freddo e distaccato, ma da veri fratelli che soffrono per le altrui povertà e se ne prendono cura, così che i poveri si sentano bene, come “a casa loro”, nelle nostre Comunità cristiane.

La Chiesa non è semplicemente un’ organizzazione addetta ai vari servizi, è molto di più: una famiglia di fratelli, perciò è radicalmente diverso l’approccio da usare incontrando i poveri, sapendo di vedere in essi il volto di Cristo, la sua carne sofferente.

Esercizio quaresimale, quindi, è il farci poveri tra i poveri, prenderci carico delle loro povertà e operare concretamente per alleviarle. “Ci farà bene, scrive Papa Francesco, domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole”. Quante volte, per sbarazzarci delle persone che ci chiedono aiuto, lasciamo scorrere giù dalle nostre mani qualche facile offerta e ce ne andiamo via frettolosi, credendo in questo modo di aver messo pace alla nostra coscienza!

Gesù, con la sua incarnazione, si è fatto vicino ad ogni uomo, si è messo alla portata della gente, ha preso su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, rivelandoci la misericordia infinita di Dio Padre. Impariamo da Lui a diventare compassionevoli e operatori di misericordia!

+ vescovo Oscar

IN ACQUA E SPIRITO SANTO – BATTESIMI E CRESIME

1-_Scan10560 2-_Scan10561Il battesimo è il sacramento di ingresso nelle Chiese cristiane.

Le parole “battesimo”, “battezzare” derivano dal greco (βάπτισμα, βαπτίζειν), dove la radice corrispondente indica “immergere nell’acqua”; in effetti il battesimo simboleggia il seppellimento dell’uomo “vecchio” nella morte di Cristo per la rinascita dell’uomo nuovo in Cristo.

Viene amministrato per immersione (soprattutto nelle Chiese protestanti, ma previsto anche dalla Chiesa cattolica) o per infusione (nella Chiesa cattolica), ma in caso di emergenza tutti possono battezzare nella fede della Chiesa. In tutte le Chiese cristiane, il battesimo apre l’accesso agli altri sacramenti. I candidati adulti al battesimo si dicono catecumeni.

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Papa Francesco ha battezzato ieri anche Giulia, bimba di sette mesi, figlia di due genitori non sposati in Chiesa ma che si amano e che volevano per lei il battesimo.

I suoi genitori non sono sposati in Chiesa ma solo civilmente, questo però non ha impedito loro di veder esaudito questo desiderio. Una “richiesta” che lo scorso 25 settembre i genitori avevano rivolto direttamente al Santo Padre al termine dell’udienza del mercoledì.

Eravamo sul sacrato – racconta con semplicità Ivan Scardia, il padre della bimba – quando è passato gli abbiamo chiesto se poteva battezzare la nostra seconda figlia. Ci disse di rivolgersi ai suoi collaboratori che poi ci hanno contattato”. (fonte il Giornale) .

Senza troppe domande il Papa ha accettato guardando soprattutto alla figlia ed al desiderio forte dei suoi genitori (come fanno da sempre tanti sacerdoti ma non tutti).

2013 – PRESENTAZIONE DEI COMUNICANDI

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Nella Chiesa cattolica viene chiamata Prima Comunione il momento in cui i fanciulli, ma eventualmente anche persone in età più matura, si accostano per la prima volta al sacramento dell’Eucaristia

La Prima Comunione viene solitamente preceduta da un itinerario di catechesi volto a portare la persona alla consapevolezza del gesto sacramentale che sta per vivere.

Fino al pontificato di papa Pio X la prima comunione era conferita all’età di dodici-quattordici anni, età in cui, terminato il catechismo, il giovane fedele ha una conoscenza della dottrina cristiana.

L’8 agosto 1910 la Congregazione dei Rit icon il decreto Quam singulari abbassava l’età prescritta a sette anni, ritenendo che non fosse necessaria la conoscenza di tutta la dottrina per ricevere validamente il sacramento, ma che fosse sufficiente aver raggiunto l’età della discrezione, per distinguere l’eucaristia dal pane comune. Lo stesso papa Pio X dichiarò la beata Imelda Lambertini patrona delle prime comunioni.

Prima_comunione 1919Prima Comunione anno 1919

Prima ComunionePrima comunione oggi

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Il Papa: “Tutti i bambini ricevano la Prima Comunione”

L’eucaristia “si colloca nel cuore dell’iniziazione cristiana, insieme al battesimo e alla confermazione, e costituisce la sorgente della vita stessa della Chiesa”, ha spiegato il Papa argentino. “Il gesto di Gesù compiuto nell’ultima cena è l’estremo ringraziamento al padre per il suo amore, per la sua misericordia” e l’eucaristia “è il supremo ringraziamento al padre che ci ha amato tanto da darci il suo figlio per amore”. In questo senso, “la celebrazione eucaristica è ben più di un semplice banchetto: è proprio il memoriale della Pasqua di Gesù, il mistero centrale della salvezza” e “memoriale non significa solo ricordo, ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo sacramento partecipiamo al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo”.

 

L’eucaristia, ha poi aggiunto il Papa parlando a braccio, “costituisce il vertice dell’azione di salvezza di Dio: è un dono tanto grande e per questo è tanto importante andare a messa la domenica: non solo per pregare ma per ricevere la comunione, questo pane che è il corpo di Gesù Cristo e che ci salva, ci perdona, ci unisce al padre. È bello fare questo. E tutte le domeniche andiamo a messa perché è il giorno della risurrezione del Signore, per questo domenica è tanto importante per noi. E con l’eucaristia sentiamo l’appartenenza alla Chiesa, al popolo di Dio, al corpo di Dio, Gesù Cristo. Non finiremo mai di coglierne tutto il valore e la ricchezza.

Chiediamogli allora che questo Sacramento possa continuare a mantenere viva nella Chiesa la sua presenza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondo il cuore del padre. E questo si fa durante tutta la vita, ma si incomincia a farlo il giorno della prima comunione. È importante che i bambini si preparino bene alla prima comunione e che nessun bambino non la faccia, perché è il primo passo di questa appartenenza a Gesù Cristo, forte, forte, dopo il battesimo e la cresima”.1-_Scan10558-0011-_Scan10573-001

 Atti degli Apostoli 8:14–17:

Vecovo_Oscar_Cantoni« Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni.

Essi discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù.

Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo. »

«Andate a cercare la data del vostro Battesimo»

Augustine BaptismBattesimo di Agostino di Ippona per mano di sant’Ambrogio, nel 387

papa francesco primo piano_0Nella prima udienza generale del 2014, l’8 gennaio, Papa Francesco ha iniziato un nuovo ciclo di catechesi, dedicato ai sacramenti, partendo dal primo sacramento, il Battesimo. E «per una felice coincidenza – ha detto il Papa – domenica prossima ricorre proprio la festa del Battesimo del Signore». Il Battesimo insieme all’Eucarestia e alla Cresima, ha spiegato Francesco, forma la cosiddetta «Iniziazione cristiana», che «costituisce come un unico, grande evento sacramentale».

Oggi anche il Battesimo, ha notato il Pontefice, è sotto attacco. Molti chiedono: «Ma è davvero necessario il Battesimo per vivere da cristiani e seguire Gesù? Non è in fondo un semplice rito, un atto formale della Chiesa per dare il nome al bambino e alla bambina?».

Rispondeva già san Paolo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del Battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4).

Dunque, nota il Papa, «non è una formalità! E’ un atto che tocca in profondità la nostra esistenza. Non è lo stesso, un bambino battezzato o un bambino non battezzato: non è lo stesso! Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata. Noi, con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte».

Come aveva già fatto in passato, il Papa ha chiesto alla folla di Piazza San Pietro chi ricorda la data del suo Battesimo. Poche mani si sono alzate. E allora, ha proseguito il Pontefice, «mi permetto di darvi un consiglio. Ma, più che un consiglio, un compito per oggi. Oggi, a casa, cercate, domandate la data del Battesimo e così saprete bene qual è stato il giorno tanto bello del Battesimo».

1-_Scan10562Perché per il cristiano il Battesimo, la nascita spirituale, non è meno importante della nascita fisica. Il rischio, se non si conosce neppure la data del proprio Battesimo, «è di perdere la memoria di quello che il Signore ha fatto in noi, la memoria del dono che abbiamo ricevuto. Allora finiamo per considerarlo solo come un evento che è avvenuto nel passato — e neppure per volontà nostra, ma dei nostri genitori —, per cui non ha più nessuna incidenza sul presente».

Il piccolo compito a casa della ricerca su qualche vecchia carta della data del nostro Battesimo serve a tenere viva questa memoria. «Siamo chiamati a vivere il nostro Battesimo ogni giorno, come realtà attuale nella nostra esistenza». Il Battesimo ci dà il più grande dei doni: c’introduce e ci mantiene nella chiesa. «Se riusciamo a seguire Gesù e a rimanere nella Chiesa, pur con i nostri limiti, con le nostre fragilità e i nostri peccati, è proprio per il Sacramento nel quale siamo diventati nuove creature e siamo stati rivestiti di Cristo. È in forza del Battesimo, infatti, che, liberati dal peccato originale, siamo innestati nella relazione di Gesù con Dio Padre».

Il Papa ha pure collegato il Battesimo alla speranza. In quanto battezzati, «siamo portatori di una speranza nuova, perché il Battesimo ci dà questa speranza nuova: la speranza di andare sulla strada della salvezza, tutta la vita. E questa speranza niente e nessuno può spegnere, perché la speranza non delude».

Non è una speranza che ci chiude in noi stessi. Al contrario, «il Battesimo ci aiuta a riconoscere nel volto delle persone bisognose, nei sofferenti, anche del nostro prossimo, il volto di Gesù. È grazie a questa forza del Battesimo».

Con il Battesimo proclamiamo e confermiamo anche la nostra fede nella Chiesa. «Una persona può battezzarsi da se stessa? Non si può battezzare: nessuno può battezzarsi da sé! Nessuno. Possiamo chiederlo, desiderarlo, ma abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci conferisca questo Sacramento nel nome del Signore».

La sequenza di tanti battesimi nella storia crea «una catena. Una catena di grazia. Ma, io non mi posso battezzare da solo: devo chiedere ad un altro il Battesimo». È «un atto di filiazione alla Chiesa. Nella celebrazione del Battesimo possiamo riconoscere i lineamenti più genuini della Chiesa, la quale come una madre continua a generare nuovi figli in Cristo, nella fecondità dello Spirito Santo».

Chiediamo allora nella preghiera, ha concluso il Pontefice, di «poter sperimentare sempre più, nella vita di ogni giorno, questa grazia che abbiamo ricevuto con il Battesimo». Ma ha voluto ancora aggiungere, a braccio: «E non dimenticate il compito di oggi: cercare, domandare la data del mio Battesimo. E come io so la data della mia nascita, [devo] anche conoscere la data del mio Battesimo, perché è un giorno di festa».

Battesimo a OdessaBattesimo di un neonato a Odessa

Benin_baptism2Battesimo di un caumeno adulto nel Benin

Battesimo cattolico

FAI IL PIENO DI SUPER – METTI UN RAZZO NEL MOTORE

 cartello_Area_di_Servizio   1-2013-07-2611-Globuli Rossi Company4Collage491-Monte-Cremasco-Chiesa-parrocchiale

L’uomo e la donna misericordiosi hanno un cuore largo, largo: sempre scusano gli altri e pensano ai loro peccati. “Ma hai visto cosa ha fatto questo?”. “Ma io ne ho abbastanza con quello che ho fatto io e non mi immischio!”. Questo è il cammino della misericordia che dobbiamo chiedere.

Ma se tutti noi, se tutti i popoli, le persone, le famiglie, i quartieri avessimo questo atteggiamento, quanta pace ci sarebbe nel mondo, quanta pace nei nostri cuori! Perché la misericordia ci porta alla pace. Ricordatevi sempre: “Chi sono io per giudicare?”. Vergognarsi e allargare il cuore. Che il Signore ci dia questa grazia.

Papa FrancescoCarte24-0011-globuli-rossi (1)Globuli Rossi companyAdessoModelliPapa Francesco buon pastorehttp://video.sky.it/news/mondo/papa_francesco_la_chiesa_un_ospedale_da_campo/v171691.vid