CORRESPONSABILI PER LA MISSIONE – Angelo Nocent

  1. La necessità di una conversione Tutto questo rende consapevoli come sia necessario operare un profondo cambiamento di mentalità da parte di tutti, laici e preti, giovani e adulti, perché tutti si diventi «soggetti» della missione della Chiesa, più che i «destinatari» distratti di un’improbabile vita cristiana. È quindi neces­sario superare un certo «cristianesimo dei bisogni» per approdare ad un «cristianesimo delle responsabilità». I

  1. l primo, assai diffuso, è soddisfatto quando si è esaudito il proprio bisogno religioso (di amicizia, serenità, conforto, ritrovamento di sé e, perché no?, anche di Dio); il secondo comincia quando ci si accorge che non si può essere cristiani solo per se stessi, quando il prendersi cura della fede e della vita degli altri non è un lusso per chi è disponibile, per il cristiano “impegnato”, per quello che ha tempo per la parrocchia.

  2. Un «cristianesimo della vocazione e della responsabilità» è quello che ha trovato che la vita cristiana è logicamente consequenziale ad una fede adulta e matura, capace di farsi carico della testimonianza che il Vangelo porta con sé. La corresponsabilità è dunque capacità di rispondere insieme: gli uni agli altri e tutti al Signore e all’umanità, a cui il Signore ha destinato la salvezza di cui la Chiesa è missionaria e portatrice. Per questo corre­sponsabilità significa capacità e disponibilità a collaborare, rispondendo da adulti di quel che la Chiesa, ma soprattutto il Signore, ci chiede. Im­plica la coscienza della grandezza di ciò che ci è affidato da compiere, che non sarà eseguito tanto meglio quanto più meccanica sarà l’esecu­zione, ma quanto più le nostre capacità e i doni dello Spirito saranno giocati in pienezza nell’opera comune. A tale proposito, sempre nella Evangelii Gaudium papa Francesco esorta: “33.

  3. La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evange­lizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un sag­gio e realistico discernimento pastorale.” Implica anche il coraggio di segnalare e di proporre, di ascoltare, di obiettare e di dissentire, con coscienziosa umiltà e senza spezzare la co­munione, perché questa si conservi non come conformismo, ma come obbedienza comune al Vangelo e alla missione.

  4. Più volte papa Francesco ci ha esortato alla parresia, a quella capacità di dirci le cose con sincerità e franchezza, nel rispetto dell’altro. Questa libertà nel dialogo e nel confronto è efficace e costruttivo nel momento in cui anche la qualità delle relazioni è buone e sufficientemente matura per accettare e far evolvere in positivo anche momenti di conflitto.

  5. La comunione ecclesiale infatti non è certamente un quieto vivere, privo di momenti di tensione e di diversità di vedute; non può e non deve essere un ripiegarsi su un’unica posizione, normalmente espressa di chi può essere identificato come il più forte.

  6. Essere in comunione significa infat­ti accoglienza di un dono che non ci appartiene dentro la provvisorietà storica di relazioni che si costruiscono nella pazienza e nel dialogo, nel confronto e nell’accoglienza delle differenze, nella consapevolezza che il confronto risulta vitale nella messa in comune delle posizioni diverse, in quanto nessuno possiede tutta la verità. Anche all’inizio della Chie­sa momenti di tensione come quelli di Pietro e Paolo oppure Paolo e Barnaba evidenziano una comunione come meta, al di là delle nostre temporali realizzazioni.

  7. Papa Francesco, nel discorso pronunciato in occasione in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi traccia una ri­flessione per una Chiesa rinnovata nella scia del Vaticano II, che apre nuove vie alla riscoperta del mistero della Chiesa “popolo di Dio”: Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium ho sottolineato come «il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”»[8], aggiungendo che «ciascun Battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del Popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni»[9].

  8. Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il Gregge possiede un proprio “fiuto” per discerne­re le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa[10]. È stata questa convinzione a guidarmi quando ho auspicato che il Popolo di Dio venisse consultato nella preparazione del duplice appuntamento sinodale sulla famiglia, come si fa e si è fatto di solito con ogni “Lineamenta”.

  9. Certamente, una consultazione del genere in nessun modo potrebbe bastare per ascoltare il sensus fidei. Ma come sarebbe stato possibile parlare della famiglia senza interpellare le famiglie, ascoltando le loro gioie e le loro speranze, i loro dolori e le loro angosce[11]? Attraverso le risposte ai due questionari inviati alle Chiese particolari, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare almeno alcune di esse intorno a delle questioni che le toccano da vicino e su cui hanno tanto da dire.

  10. Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire»[12]. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da im­parare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto de­gli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2,7). Si ritrova in questa sottolineatura riguardo alla Chiesa come Popolo di Dio uno delle acquisizioni più innovative del Concilio Vaticano II, un Popolo di cui tutti i battezzati sono parte con uguale dignità, con gli stes­si doni dello Spirito il che giustifica l’esercizio da parte di tutto il Popolo del Sensus fidei fidelium a cui Papa Francesco rimanda proprio nel testo qui sopra riportato. Si confronti LG 10, 12.

  11. Inoltre proprio di questo Popolo è presente tra tutte le nazioni non per dominare e nemmeno per autocoservarsi ma per compiere la missione di “ricapitolare tutta l’uma­nità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell’unità dello Spirito di lui” LG 13 3. Il senso della corresponsabilità Una chiesa sinodale è quindi una comunità di credenti che sa vivere “l’ascolto gli uni degli altri”, in una reciproca stima ed attenzione, nella consapevolezza che ognuno, attraverso la propria esperienza di fede vis­suta, ha da offrire un importante contributo nell’ambito della comunità.

  12. È utile quindi che la nostra riflessione ci aiuti a chiarire e a dipanare alcune precomprensioni che, sia nei laici che nei presbiteri, a volte intercorrono sul versante del reale significato del termine “corresponsabilità”, così come siamo chiamati a viverla nella nostra realtà ecclesiale. Innanzitutto, nell’ambito di una Chiesa che si rinnova nella prospet­tiva missionaria dell’essere in uscita, la corresponsabilità diviene necessaria e vitale.

  13. Un popolo di Dio disposto a “rispondere” nella diversità delle sensibilità, dei differenti punti di vista sulla realtà, nei linguaggi diversi per poter entrare in comunicazione con persone appartenenti a culture e mondi sempre più lontani tra di loro. È bene precisare inoltre che il termine “corresponsabilità” è divenuta parola consunta nella cultura ecclesiale di oggi; vien forse usata con troppa disinvoltura anche per indicare esperienze ed atteggiamenti che lontanamente le assomigliano come la collaborazione, come la condivisione di alcune attività pastorali comunitarie, come la disponibilità a darsi da fare.

  14. Corresponsabilità in uno stile sinodale significa responsabilità as­sunta insieme, condivisa. Decisioni, scelte progetti e sogni di Chiesa pensati e portati insieme, con uno stile adulto di chi sa rispondere delle scelte che fa e delle azioni che compie. Ancora una volta sono illuminanti e nuove, nonostante il tempo, le parole della LG che proprio sulla base del sacerdozio comune dei fedeli partecipi dell’unico popolo di Dio (LG 10 e ripreso in LG 32), cerca anche di mostrare quali debbano essere le relazioni tra gerarchia e laicato, relazioni di reciproca stima, di ascolto attento di come ciascuno per la propria parte concorre edificare la Chiesa e la sua missione, il tutto in una relazione di fiducia e di vera fraternità.

  15. Dal documento conciliare “Lumen Gentium” : I laici quindi, come per benevolenza divina hanno per fratello Cristo, il quale, pur essendo Signore di tutte le cose, non è venuto per essere servito, ma per servire (cfr. Mt 20,28), così anche hanno per fratelli coloro che, posti nel sacro ministero, insegnando e santificando e reggendo per autorità di Cristo, svolgono presso la famiglia di Dio l’ufficio di pastori, in modo che sia da tutti adempito il nuovo precetto della carità.

  16. A questo proposito dice molto bene sant’Agostino: « Se mi spaventa l’essere per voi, mi rassicura l’essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza » Non ci sono vincoli giuridici che tengano per definire gli obblighi dei laici verso i vescovi o dei pastori verso i laici, sopra tutto vale la legge della comunione.

  17. Scriveva il vescovo Oscar nella lettera pastorale del 2007-2008 “Il Batte­simo sorgente di vocazioni Ecclesiali”: “Riscopriamo la dimensione comunitaria della nostra fede. Noi non andiamo a Dio come navigatori solitari, piuttosto è Lui che ci raggiunge e noi lo incontriamo mediante il Corpo di Cristo che è la Chiesa, di cui entriamo a far parte con il Bat­tesimo. Nella Comunità eucaristica noi cresciamo come corresponsabili, portan­do i pesi gli uni degli altri, condividendo le gioie e le sofferenze di ciascuno “con uno stile che valorizza ogni risorsa e ogni sensibilità, in un clima di fraternità e di dialogo, di franchezza nello scambio e di mitezza, nella ricerca di ciò che cor­risponde al bene della comunità intera”.

  18. Siamo chiamati a sentirci parte attiva nella Chiesa mediante l’accoglienza dei doni di cui ciascuno è dotato e attraverso la personale chiamata che il Signore ci ha riservato. Lo Spirito Santo, infatti, ci fa attenti a scoprire la nostra vocazione e insieme a riconoscere e promuovere quella degli altri.

  19. Una Comunità cresce nella comunione ecclesiale quando i suoi membri imparano ad accogliere e a stimare i doni diversi, promuovendo i carismi dei singoli per il bene di tutti, rispettando le opinioni e valorizzando le competen­ze. Fare della nostra Comunità una “casa e una scuola di comunione” significa anche disporre occasioni e luoghi in cui ascoltare le attese e le richieste della gente, stabilire spazi di confronto, di ricerca e di dialogo.”

  20. (n.3) DOMAMDE – CONSIDERAZIONI – PROPOSTE

  21. 1Viviamo la consapevolezza di un contesto socio – religioso che a volte ci spiazza, contrassegnato qual è da una profonda secolarizzazione che tende a marginalizzare l’esperienza religiosa?

  22. 2. Davanti alla problematicità di tale situazione che tipo di risposta è stata data dalle nostre comunità ecclesiali?

  23. 3. Non si è forse confidato nel rafforzamento di una struttura rassicu­rante che mantenesse una certa efficienza nell’ambito organizzativo per quanto concerne una prassi pastorale per certi versi autoreferenziale piuttosto che tendente “all’uscire” e a mettersi in dialogo con la realtà che quotidianamente sperimentiamo nell’ambito del lavoro, della fami­glia e di tutti quei “luoghi non luoghi” che ci è dato di incontrare?

  24. 4. La chiamata ad essere cristiani è unica e originata dal dono del Batte­simo. È vero però che poi, storicamente, sono diverse le vocazioni (pre­sbiteri, laici, consacrati…). Come questa ricchezza nella diversità può contribuire a rendere effettivamente la comunità cristiana “missionaria” nel condividere la speranza del vangelo con tutti? Quanto le nostre realtà ecclesiali vivono lo stile dell’ascolto e del confronto reciproco? Come la diversità dei carismi può essere valorizzata per dare alla chiesa un volto realmente sinodale, in un essere e in un agire di vera corresponsabilità?

  25. 5. Siamo convinti della grande ricchezza che i laici possono offrire con il loro “esserci” nella comunità certamente ma anche nel lavoro, nella scuola, nella famiglia, nella realtà civile e del volontariato, nel confronto cioè con un “reale” in cui vi è occasione grande per vivere significati­vamente quell’indole secolare attraverso cui comunicare il volto di una Chiesa realmente in uscita?