CARLO MARIA MARTINI: MOLTI APPALUSI MA… Piero Gheddo

Carlo Maria Martini - Eucaristia 2

Per il cardinal Martini molti applausi ma nessun “santo subito”. E io vi spiego perché.

Ho riportato qui la testimonianza del noto missionario del PIME Padre Piero Geddo, innanzitutto perché condivido il suo giudizio su colui che fu arcivescovo di Milano per ben 22 anni. E poi perché, prima di abitare a Monte Cremsco ho fatto parte della Chiesa Ambrosiana ed ho avuto modo di fare l’esperienza di tre arcivescovi: Montini, Colombo e Martini. Ognuno diverso dall’altro ma grandi arcivescovi sulla cattedra che fu di Ambrogio e  Carlo.

Devo riconoscere che la sua presenza in  coincidenza con la mia piena maturità, ha influenzato più di ogni altro la mia vita spirituale e dai suoi scritti continuo a ricavarne un beneficio come da un Padre della Chiesa dei nostri tempi.

Uomo schivo e riservato, poco incline agli applausi, ha lasiato un segno indelebile nella Chiesa del nostro tempo e scavato un solco profondo. Nella sua REGOLA DI VITA DEL CRISTIANO (presente anche su questo blog) ha posto in essere un binario fatto di Vangelo ed esperienza di vita che può essere di orientamento sia per pricipianti nella fede ma anche per adulti vaccinati.

Carlo Maria Martini benedice con l'Evangelario

 

«Anche a me scandalizzavano certe uscite e la strumentalizzazione del mondo, ma con il tempo sarà sempre più apprezzato il suo atteggiamento autenticamente missionario». Gheddo racconta il suo rapporto con l’arcivescovo emerito di Milano

 

martiniFra le troppe notizie negative di questa lunga estate, una positiva mi allarga il cuore. Il 31 agosto ricorre il primo anniversario della morte del cardinale Carlo Maria Martini. L’anno scorso avevo scritto tre articoli sui miei rapporti con lui, ma l’ultimo non l’ho pubblicato subito. La buona notizia è che la tomba dell’Arcivescovo nel Duomo di Milano continua ad essere frequentata da molti devoti che vi accendono candele e lumini, si fermano in preghiera. Questo articolo interpreta una “fama di santità” popolare che continua dal giorno della sua morte. Ecco l’articolo:

 

La morte del card. C. M. Martini (31 agosto 2012) ha suscitato commozione, devozione, lunghe file per visitare la sua “Camera ardente” e per la S. Messa di suffragio nel Duomo di Milano, i mass media anche internazionali hanno pubblicato pagine per ricordarlo. Nessuno però ha detto che era un santo, cioè non si è notata quella diffusa “fama di santità” nel popolo di Dio, che è uno dei segni per iniziare una Causa di beatificazione.

 

Non è facile capire perché. Non era davvero un santo? Ma questo lo giudica solo Dio. La fama di santità nasce certamente dalla vita santa del possibile “servo di Dio”, ma anche dall’immagine che egli dà di sé non solo ai vicini, ma al popolo di Dio e in genere all’opinione pubblica e ai mass media, che leggono poi tutto sulla base di preconcetti e di visioni anche parziali dei fatti. Chi ha avuto occasione di accostare il cardinal Martini e seguirlo da vicino nella giornata di lavoro (com’è successo a me una volta al mese per sei anni, nel Consiglio pastorale diocesano), ha sempre ammirato la sua serenità di spirito, il riferimento continuo alla Parola di Dio, la sua S. Messa e la preghiera, lo spirito di sacrificio, la capacità di avere uno sguardo paterno e misericordioso sul prossimo e di soffrire con pazienza anche le delusioni più scottanti. Ricordo quando a metà anni Ottanta lamentava che il Rosario e la devozione popolare alla Madonna erano contestati proprio da gruppi di credenti.

 

La stoffa del santo c’era. Ma per capire l’uomo e il prete-vescovo Martini va anche tenuto conto del suo spirito missionario, che lo portava come mentalità di fondo verso i lontani, in due direzioni prioritarie non sempre condivise. Per annunziare Cristo in modo credibile il card. Martini riteneva che la Chiesa (cioè tutto il popolo di Dio) deve convertirsi al Vangelo in due sensi:

 

martini-benedetto XVI-papada un lato avvicinarsi e accogliere i lontani, i diversi, non  giudicarli, capire le loro ragioni, non polemizzare, amarli come fratelli ed esporre la fede in Cristo nello spirito del Vangelo: la fede è un dono di Dio, lo Spirito soffia dove vuole, anche nei lontani e nei non credenti ci sono semi di Vangelo, noi non siamo migliori degli altri. Insomma, la Chiesa deve sempre convertirsi a Cristo, come dice spesso Papa Benedetto, ma quando lo diceva Martini suscitava opposizioni e antipatie nel gregge al sicuro nell’ovile di Cristo, proprio per quell’inquadratura a volte negativa della sua personalità;

 

dall’altro lato, il  card. Martini pensava che «la Chiesa è rimasta indietro 200 anni», come ha detto lui stesso nella sua ultima intervista. E questo non per colpa delle curie o dei preti, ma perché la fede nel nostro Occidente vacilla in molti, la frequenza alla S. Messa domenicale diminuisce e la tentazione è di conservazione, di chiuderci in difesa dell’ovile minacciato da ladri e da lupi rapaci; Martini pensava che questi segnali fossero invece “segni dei tempi” che ci invitano ad una vita più evangelica.

 

È vero però che non pochi fedeli rimanevano a volte scandalizzati da certe sue uscite (specie negli ultimi anni) che sembravano disobbedienza alla Chiesa e acquiescienza al mondo. Ed è anche vero che il nostro caro arcivescovo era spesso strumentalizzato da chi non amava e non ama la Chiesa! Anche a me quelle esaltazioni improprie davano fastidio e lo davano certo anche a lui e nel Consiglio Pastorale tutte le volte che faceva un intervento importante citava sempre Giovanni Paolo II e tutti lo notavano: «Vediamo se questa volta cita ancora il Papa!», si diceva.

 

Com’è complesso l’uomo! Ciascuno di noi è una persona unica, irripetibile, incomprensibile dall’esterno. Solo Dio giudica perché vede nel profondo le nostre intenzioni.

 

I non credenti ammiravano nel card. Martini il suo non giudicare nessuno e non polemizzare, il non imporre nulla, il suo impegno civile e sociale, il suo porre problemi alla Chiesa affinché si aprisse agli altri condividendo le sofferenze delle persone in difficoltà e facendo il possibile per aiutarle e farle sentire a casa propria nella Chiesa. La “Cattedra dei non credenti” è stata per me una delle sue più profetiche iniziative pastorali e missionarie.

 

Camera ardente del cardinale emerito Carlo Maria Martini - officia il cardinale Angelo ScolaI credenti invece lamentavano diverse sue uscite, che apparivano un “contraltare” al magistero e alla Tradizione ecclesiale, ma erano una provocazione “missionaria” al corpo mistico di Cristo (un miliardo e 200 milioni!) che si muove lentamente, perché la Chiesa misura il tempo non ad anni ma a secoli. La sua era una fede che “si è fatta prossimo”, non un “vogliamoci bene perché questo solo è importante”. La fede di Martini era ferma e chiara, ma anche aperta alla ricerca del confronto con le ragioni degli altri. Non voleva una vita cristiana abitudinaria, voleva una fede che non lascia tranquillo il credente, ma lo mette di fronte ai non credenti e quindi a dare ragione del suo credere e ad interrogarsi se la propria vita rende testimonianza a Cristo, se è una luce che riscalda e illumina, oppure una fiammella di candela vacillante o un lievito che non sa di niente. La presenza dei non credenti vicini a noi, nella nostra stessa famiglia e società, deve interrogarci e convertirci a Cristo. Anche questo è spirito missionario.

 

Sono convinto che più passa il tempo, e svaniranno gli aspetti non comprensibili o anche discutibili del suo magistero, più il card. Martini sarà compreso e apprezzato per l’atteggiamento che aveva, autenticamente missionario, di fronte ai non credenti o comunque ai “lontani” da Cristo e dalla Chiesa.

Carlo Maria Martini lapide in duomo sulla sua tomba

Carlo Maria Martini

L’idea di COMPAGNIA DEI GLOBULI ROSSI vine da lontano.

Ma questa inseminazione dello Spirito nei cuori di alcuni, poveri, pavidi, tribolati , esitanti, incerti… si è ripetuta nel contestodel calendario lunare della Chiesa Ambrosiana, guidata dal ministero episcopale del Cardinale Arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, successore del santo vescovo Ambrogio.

A provocarla è proprio la sua predicazione evangelica, a cominciare dalla prima scossa avvertita con l’invito alla CONTEMPLAZIONE DELLA VITA, seguita da altre forti provocazioni: IN PRINCIPIO LA PAROLA, FARSI PROSSIMO, il SINODO, …fino alla REGOLA DI VITA da lui stesso tracciata per il cristiano contemporaneo che vive tra casa, studio, lavoro, Chiesa, impegno sociale e tempo libero, quali siamo anche noi. Così è parso logico adottarla come strumento pedagogico per vivere più coerentemente il Vangelo della miserricordia.

La ricchezza dell’insegnamento del Pastore, la sua pluriventennale meditazione condotta nel tessuto della Città degli Affari, senza esclusioni di persone o di categorie, è così ampia e profonda che permetterà a lungo di attingere al cospicuo patrimonio, sia per la quotidiana LECTIO DIVINA che per la SCUOLA DELLA PAROLA, passioni che ha saputo inculcare fin dall’inizio del suo ministero episcopale a giovani, aduli ed anziani, al clero ed ai laici, indistintamente. La nota CATTEDRA DEI NON CREDENTI ne è una prova.

Sin dai primi giorni a Milano, si è percepito che il linguaggio tecnico dello studioso esegeta lasciava il posto a parole che avevano una rispondenza interiore. Una semplicità modellata su quella del linguaggio biblico. Spirito teso a cogliere il “tutto” nel frammento, ed in esso la coincidenza degli opposti:

  • ha sviluppato il concetto di “utopia” (non-luogo),

  • accostandolo a quello di “realismo” del vivere quotidiano;

  • “ricordo” e “speranza”, sinonimi di passato e futuro, sono andati di pari passo.

Nel suo linguaggio risultano ricorrenti parole chiave come

  • “cuore”,

  • “mistero”,

  • “discernimento”

ed altre ancora, precedute dal suffisso “RI“. Per lui sono verbi fondamentali:

  • ri-cominciare,

  • ri-partire,

  • ri-pensare,

  • ri-educare.

  • ri[e]-cuperare.

Mi ha sempre fatto molta impressione quell’atteggiamento tipico di Dio che parla attraverso il profeta Isaia, 49,2, ma non facilmente riscontrabile sulla bocca di tanti cristiani super-ortodossi, anche giovani, sempre in assetto di partenza per le crociate contro questo mondo  certamente riprovevole in tanti suoi aspeti. Il Cardinale ha spronato la sua Chiesa, dandone l’esempio, ad avere viscere di misericordia e compassione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme…”.

L’Arcivescovo conosce la radice biblica del termine cuore che spesso è riferito al cuore dell’uomo, incline a fare il male (cfr.Gen 8,21), radice di male (cfr Mc 7,21-22), pietrificato, indurito, non libero, sfasato rispetto al cuore di Dio, chiuso, ma anche luogo dove Dio si comunica, il terrerno dove avviene il misterioso scambio di doni tra il Creatore e la creatura, la sede dell’interiorità, dei sentuimenti, la sede della ricchezza degli affetti e delle emozioni.

Se Martini utilizza questo termine come chiave ermeneutica per leggere i contesti, le situazioni e le problematiche a tutti i livelli, è perché il Pastore chiede al suo gregge di tenere lo stesso atteggiamento verso tutti:

  • · Prendere a cuore,

  • · portare al cuore,

  • · comunicare “cuore a cuore”,

Queste espressioni ricorrenti, “stanno ad indicare di come simbolicamente il cuore sia espressione di radicalità in ogni relazione, in ogni ricerca, in ogni desiderio umano e divino. E’ anche l’unico presupposto ad ogni discorso sulla Chiesa nella quale trascendenza e immanenza, santità e peccato, convivono in na misteriosa unità; così per l’uomo il cui cuore rimane un enigma eccetto che all’occhio divino.

Dunque il concetto di mistero è l’unica possibilità rimasta all’uomo per restare aperto all’infinita novità di Dio, del quale non si può che essere ustodi, sentinelle; mil mistero non si può svelare, si può rivelare, lo si può raccontare senza violarlo”(Damiano Modena – C.M.Martini- EP)

In Alzatevi, andiamo ! , Giovanni Paolo II che lo ha voluto e consacrato vescovo, così scriveva: “…nulla può sostituire la presenza del vescovo  che si siede sulla cattedra o si presenta all’ambone della sua chiesa vescovile e personalmente spiega la Parola di Dio a coloro che ha radunato attorno a sé.  Anch’egli come lo “scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”(Mt 13,52).

Mi piace qui menzionare il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, le cui catechesi nella cattedrale della sua città attiravano moltitudini di persone, alle quali egli svelava il tesoro della Parola di Dio. Il suo non è che uno dei numerosi esempi che provano come sia grande nella gente la fame della Parola di Dio“.

Con lui, padre, maestro di fede e di vita, resta vivo il legame di comunione, specie in questi suoi momenti di cedimento fisicho che non intacca  l’ardore spirituale del testimone zelante e fedele al Vangelo anche nell’ora della prova. Terminato il  mistero episcopale, vissuto come servizio, oggi, nella Casa dei Gesuiti di Gallarate, riemerge il gesuita che vive in povertà, castita e obbedienza, secondo lo spirito di Sant’Ignazio di Loiola, nello studio e nella preghiera, sacrificando anche il sogno di chiudere i giorni a Gerusalemme: “Eulàbeia, prendere bene tutte le cose…Bisogna cercare Dio là dove si è“. Una nuova testimonianza che viene a completare la lezione di questi anni, vissuti nella logica del suo motto episcopale: PRO VERITATE ADVERSA DILIGERE.

Pro veritate adversa diligere - C.M. Martini stemma

 Il Porporato parla della sua malattia, il Morbo di Parkinson

Interviste o citazioni di: Martini Carlo Maria mercoledì, 28 maggio 2008 • tg1 20:00 • notizia n.5 | 02:08

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