“LA PARROCCHIA IL DONO PIU’ GRANDE” – Primo Mazzolari

1-Monte Cremasco - chiesa parrocchiale1-Monte Cremasco - Chiesa 3Vivo a Monte Cremasco e qui, in questo luogo geografico in questa Santa Chiesa locale intitolata ai martiri milanesi del IV secolo Celso e Nazario, avanza spedita la mia parabola discendente di uomo e di cristiano. Forse è proprio in questa chiesa che la pietà cristiana mi presenterà al Misericordioso Signore, nel giorno della mia sepoltura, dopo l’atto estremo di mia accettazione del provvido disegno imperscrutabile del Padre che accetto fin d’ora, giacché dispone sempre amorevolmente al meglio ogni cosa: ” Signore, sia fatta la Tua volontà”.
E poi non posso dimenticare il prezioso insegnamento del mio arcivescovo di un tempo, Carlo Maria Martini: Lui che fu maestro di silenzio non meno che di parola, scrisse in Conversazioni notturne a Gerusalemme questo pensiero formidabile che accompagna anche le mie giornate per quel sì che mi auguro di poter dire anch’io: “Un concetto teologico mi è stato di aiuto nel mio travaglio: senza la morte non saremmo in grado di dedicarci completamente a Dio. Terremmo aperte delle uscite di sicurezza, non sarebbe vera dedizione. Nella morte, invece, siamo costretti a riporre la nostra speranza in Dio e a credere in lui. Nella morte spero di riuscire a dire questo sì a Dio”.

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Sento vivamente il problema della parrocchia perché nel corso della mia vita ho dovuto ripetutamente cambiare residenza e sostare in diverse parrocchie, quasi sempre della Diocesi di Milano, nelle quali ho faticato a inserirmi, spesso mi sono sentito forestiero, né mai ho potuto mettere radici.

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Forse è anche per questo che porto indelebile nel cuore, la nostalgia di quella mia Chiesa dalle origini Aquileiesi

Fonte battesimale - Chiesa madre di Cervignano

Fonte battesimale – Chiesa madre di Cervignano

  • che mi ha rivestito di Cristo con il battesimo,
  • introdotto nel Popolo Santo di Dio, 
  • che mi ha accompagnato alla balaustra per la prima Divina Eucaristia
  • e mi ha somministrato la  sacra UNZIONE con il dono dello Spirito Santo, per le mani dell’arcivescovo di Gorizia, Carlo Marfotti nel 1950.angelo-nocent-cresima (1)

Certo, ero un adolescente ed il percorso di coscientizzazione esistenziale e di maturazione ha richiesto degli anni. Ma ancora adesso, quando,  pur nella mia creaturalità,

  • prendo coscienza di essere chiamato a far miei i sentimenti di Cristo,
  • del mio essere partecipe del mistero dell’unzione ( 1Gv 2,27),
  • di essere segnato dallo Spirito del Risorto,
  • Spirito promesso,
  • Spirito consolatore,
  • Spirito di verità,
  • Spirito di comunione,
  • di essere costituito nella dignità regale, sacerdotale e profetica
  • e quindi di dover operare come re, sacerdote e profeta, mi tremano le vene dei polsi, perché il mistero è grande!

Perché tutto ciò mi comporta, proprio a partire dall’unzione dello Spirito, il divere di agire coerentemente a tale dignità messianica di cui sento l’inadeguatezza e la fragilità.

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Nel testo della Diocesi di Crema, PER UNA CHIESA SINODALE, a pagina 18 si fa esplicito riferimento a Don Primo Mazzolari. Il motivo è che la sintesi del testamento spirituale lasciatoci da Parroco di Bozzolo si può ridurre alle seguenti tre righe: “Dopo la Messa, il dono più grande: la parrocchia. Un lavoro forse non congeniale alla mia indole e alle mie naturali attitudini e che divenne invece la vera ragione del mio ministero… una vocazione che, pur trovando nella parrocchia la sua più buona fatica, non avrebbe potuto chiudersi in essa”.

Che sia stato un prete autentico lo si è sempre saputo da noi di una certa età; un parroco così, specie negli anni addietro, lo avrebbero voluto in tanti, per il semplice motivo che era sempre pronto a mettersi in gioco, a dare il meglio di sé per coloro che il Signore gli aveva affidato, a non fuggire o arrendersi di fronte alle difficoltà. Lui che ha insegnato a “portare i pesi gli uni degli altri” (gal 6,1-6), ha condiviso con i suoi, sino alla fine, la gioia e la speranza come pure il dolore, la tristezza e l’angoscia che il vivere riserva.

MazzolariQuest’uomo mite, buono, dal volto sereno, gioviale nei modi e appassionato comunicatore, era il parroco di Bozzolo, piccolo paese della campagna cremonese. Sapeva discutere animatamente in piazza con gli uomini davanti al circolo, senza tirarsi indietro davanti al pallone dei suoi ragazzi negli assolati pomeriggi estivi.

La domenica mattina sapeva intrattenersi a conversare con il gruppo delle ragazze e la sera non mancava di farlo con i giovani della GIAC. Davanti a una manciata di castagne, vicino a un focolare svolgeva la sua azione contestatrice del perbenismo latente tra i suoi “cristiani della festa” che altro non era se non un amore di pastore per le sue pecore che voleva più autentiche e credibili nella testimonianza in casa o nel partito, nei campi o nelle fabbriche.

mazzolari%2520don%2520PrimoRaccontano che nella penombra della chiesa, davanti all’Eucaristia o passeggiando lentamente per qualche via e perfino sulla neve, confessasse e perdonasse a nome del Signore, ascoltasse e consigliasse, sussurrasse e correggesse…Sono tanti anche oggi, dopo aver magari sentito casualmente la sua voce, armeggiando sull’autoradio in cerca della canzone del cuore, a dire: “anch’io avrei voluto  o vorrei avere don Primo come parroco e come amico”.

IL suo era un parlare schietto e robusto. Ho tra le mani un suo libretto che conservo dal 1964, intitolato LA PARROCCHIA, dove riporta le cose chissà quante volte ripetute verbalmente ai suoi “giovani del ’57”. Una freschezza impareggiabile rispetto ai questionari di adesso dove si auspica una CHIESA SINODALE quando la partecipazione ecclesiale è ai minimi storici e l’analfabetismo religioso un’amara constatazione.

Don Primo Mazzolari

Mazzolari è stato ed è anche per noi, per la donna e l’uomo di oggi, un profeta e un maestro, un testimone da incontrare di nuovo, un amico da avvicinare.

Invito a cercare sul web li suoi scritti per gustarne la ricchezza del pensiero e per lasciarsi contagiare da a quell’amore trabocchevole che aveva in corpo e da quella speranza che in lui non venne mai meno, come nelle ore buie, quando dovette subire incomprensioni che lo fecero soffrire non poco, in tempi difficili, pari, se non più dei nostri. Con un solo torto: di essere in anticipo sui tempi, anticipatore del Concilio Vaticano II.

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La nostra avventura di laici cristiani in parrocchia è in atto. Nel 1937, per la PARROCCHIA che amava visceralmente, firmandosi “Un laico di Azione Cattolica”, spese parole bellissime che toccano ancora:  

«Non si chiuda né si spalanchi il mondo della parrocchia. Le grandi correnti del vivere moderno vi transitino, non dico senza controllo, ma senza pagare pedaggi umilianti e immeritati. L’anima del nostro tempo ha diritto ad un’accoglienza onesta. L’Azione Cattolica ha il compito preciso d’introdurre le voci del tempo nella compagine eterna della Chiesa e prepararne il processo d’incorporazione. Deve gettare il ponte sul mondo, ponendo fine a quell’isolamento che toglie alla Chiesa di agire sugli uomini del nostro tempo».

Ed aggiungeva:

Il parroco non deve rifiutare questa salutare esperienza che gli arriva a ondate portatagli da anime intelligenti e appassionate. Se no, finirà a chiudersi maggiormente in quell’immancabile corte di gente corta, che ingombra ogni parrocchia e fa cerchio intorno al parroco. I pareri di Perpetua son buoni quando il parroco è don Abbondio.
Occorre salvare la parrocchia dalla cinta che i piccoli fedeli le alzano allegramente intorno e che molti parroci, scambiandola per un argine, accettano riconoscenti.

Per uscirne, ci vuole un laicato che veramente collabori e dei sacerdoti pronti ad accoglierne cordialmente l’opera rispettando quella felice, per quanto incompleta, struttura spirituale che fa il laicato capace di operare religiosamente nell’ambiente in cui vive.

Un pensiero lucido il suo, più moderno di tanti schemi mentali circolanti. Essere piccolezza ingombrante piuttosto che grandezza d’animo, appassionata e intelligente, la sfida che si ripropone ad ogni epoca. La sfida del Parroco di Bozzolo è ancora aperta. Ma a dargli man forte oggi è il Concilio Vaticano II e Papa Francesco che – mi auguro – lo porti agli onori degli altari.

Dal testamento spirituale (4 agosto 1954)
Non finirò mai di ringraziare il Signore e i miei figlioli di Cicognara e di Bozzolo, i quali certamente non sono tenuti ad avere sentimenti eguali verso il loro vecchio parroco.

Lo stesso amore mi ha reso a volte violento e straripante. Qualcuno può avere pensato che la predilezione dei poveri e dei lontani, mi abbia angustiato nei riguardi degli altri: che certe decise prese di posizione in campi non strettamente pastorali mi abbiano chiuso la porta presso coloro che per qualsiasi motivo non sopportano interventi del genere. Nessuno però dei miei figlioli ha chiuso il cuore al suo parroco.

Da: “La più bella avventura” (1934) E.D.B.
Occorrono dei santi. Tutti ormai riconoscono che la salvezza dipende dal numero di essi, dal loro coraggio e dal loro sforzo. Il mondo cerca, con angoscia, non soltanto dei giusti, che grazie a Dio non mancano nella chiesa, ma una generazione di giusti che valga anche per la città e ne corregga le istituzioni e i costumi secondo le regole della giustizia eterna del Vangelo.

Oh, se noi cristiani, in quest’ora grave, sentissimo il dovere di essere anche dei “cittadini e degli uomini”, di vivere cioè sulla pubblica piazza, più che all’ombra delle sacrestie, di confonderci con la folla invece di fuggirla, amarla invece di sconfessarla, di parlarle attraverso tutte le voci che essa intende e nel linguaggio che essa comprende, di contendere con ardente carità il posto a quelli che pretendono di condurla e la conducono male; se comprendessimo, in una parola, che il nostro dovere è quello di essere “il lievito della pasta”, più che dei bei torniti panini, non importa se benedetti, ma coi quali non si può nutrire una moltitudine affamata!

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