DON GIUSSANI E LA MUSICA – Angelo Nocent

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OGNI  COSA  CHE RESPIRA  LODI  IL  SIGNORE.    A L L E L U I A ”   Salmo 150: 6

 

Frugando  tra le pieghe della mente di DON GIUS, mi sono imbattuto in un’affermazione alquanto singolare. 

Racconta lui stesso che alla prima Messa di GS (Gioventu Studentesca), la prima in assoluto: lì è nato il canto del movimento.

Eravamo radunati nella chiesa milanese di san Gottardo al Palazzo. E dieci minuti prima della Messa mi sono messo a insegnare Vero amor è Gesù e O còr’ soave.

Ho mosso le mani come faceva il mio maestro in seminario (fa il gesto), ho cantato e mi hanno seguito. Cinque minuti prima della prima messa del movimento è nato il canto del movimento.

L’inizio del canto del movimento è l’inizio del movimento. Non c’è differenza. Nasce il movimento e si canta. Come un bambino con la madre. Si appartiene e sorge il canto. Senza appartenenza non ci può essere un coro. Non si impongono i cori per decreto, nascono quando nasce il movimento: anche oggi“.

don-giussaniDon Gius mi ha rivelato una cosa in cui ho sempre creduto ma che non sapevo di sapere. L’avevo intuita, ci credevo, era dentro di me, parte di me, solo che non ero in grado di esplicitarla verbalizzandola.

Qui non intendo parlare di me ma solo introdurre il capitolo con qualche annotazione biografica per sottolinearne l’importanza che solo raramente viene colta dal Popolo di Dio.

1-berretto-nero-con-fioccoQuand’ero bambino in casa mia non c’era la radio. La musica probabilmente mi ha afferrato la prima volta che la mamma mi ha portato in chiesa. Io non mi ricordo di quell’impatto ma lei mi raccontava che, quando siamo tornati a casa, da quella volta ho  cominciato a dir Messa, cantare, predicare, gestualizzare… E lei mi  assecondava cucendomi i paramenti ricavati da stracci di lenzuola. Mi ha fatto anche il berretto nero col fiocco, utilizzando le copertine dei quaderni di allora, nere con il labbro rosso…tutti ricordi indelebili.

L’organo della chiesa in cui sono stato batezzato è sempre stato un oggetto del mio desiderio. 

Fino a qualche decennio fa è andato a manovella, una grossa ruota che bisognava attivare possibilmente in due,  per pompare aria e gonfiare i mantici.

Mi ero ingegnato: quando non c’era nessuno, afferravo il manico e facevo girare  la ruota con tutta la forza, aiutandomi anche con il peso del corpo quando la leva era in alto e, fatta la scorta, correvo sulla tastiera a sfruttare l’aria pompata,  fino ad esaurimento, puntualmente segnalato da un miagolio dell’organo.

Nella foto d’epoca, l’organo era situato dietro l’altar maggiore. Con un po’ d’attenzione, sono visibili le canne. Oggi, dopo i restauri, è stato spostato nella nuova parrocchiale.

Fuori di chiesa invece avevo la musica a due passi dall’uscio. Infatti, il Paolo, figlio del barista, mio compagno di classe, aveva in casa il pianoforte a coda e prendeva lezioni da una maestra che veniva a domicilio. La passione non era sua ma di suo papà che sognava di fare di lui non so cosa. Lui era vittima e subiva le lezioni e gli esercizi. Io invece, mi accostavo al balcone che era al piano terra e stavo lì ad ascoltare e a sbirciare dentro. Come avrei voluto essere al suo posto! Mia madre soffriva perché non avrebbe mai potuto soddisfare questo mio desiderio che si è realizzato parzialmente invece, più avanti negli anni.

Oggi mi rendo conto che il canto e la musica, divenuti in seguito il pane quotidiano per lo spirito, permettono di entrare in sintonia con l’armonia divina e con quella cosmica. San Roberto Bellarmino, commentando il Salmo 147, è arrivato a dire che “non c’è nulla di più glorioso per l’amante che la lode dell’amato“. Del resto, nel Talmud si legge che “la musica del Signore cominciò con la bocca e gli strumenti di Davide sono serviti a modularne i toni. Non sto qui a citare i salmi perché chi li utilizza incontra spesso il “cantate…suonate…sull’arpa, sulla lira...”.

Vorrei invece limitarmi a evocare un passo straordinario degli apogrifi ATTI DEL SANTO APOSTOLO ED EVANGELISTA GIOVANNI che riporta un inno gnostico cantato da Gesù con i suoi discepoli in un particolare contesto coreografico: “Ci ordinò di fare un cerchio tenendoci l’un l’altro per mano. Egli stando nel mezzo, ci disse: Rispondetemi: Amen! Poi prese a cantare un inno…”. A questo punto s’introduce l’inno; i discepoli, danzando con il Signore, ad ogni verso rispondono con un AMEN! E, “dopo che il Signore danzò con noi se ne andò via!“. 

Da questa premessa spero sia più facile comprendere e tesaurizzare il seguito. Come lo ha ricordato anche il Cad. Ratzingher ai funerali, nella casa del Don Gius c’era scarsità di pane ma non di musica. I benefìci – come si vedrà –  sono sotto gli occhi di tutti.

LA MASSIMA ESPRESSIONE

Don Giussani: Nessuna espressione dei sentimenti umani è più grande della musica. Chi non è toccato da un concerto di archi, come si può essere insensibili dinanzi ai colori di una sonata per pianoforte?

Sembra il massimo. Eppure, quando sento la voce umana… Non so se capita anche a voi: ma è ancora di più, e di più non si può. Davvero, non esiste un servizio alla comunità paragonabile al canto“.

Don Luigi Giussani accoglie con queste parole un bel gruppo di gente per cui la musica è tanta parte della vita. Ci sono professori di Conservatorio e semplici cantori dilettanti, tutti però prestano fiato, voce e passione ai cori di Comunione e Liberazione. L’occasione è conviviale.

Qui mettiamo infila, ricavate da appunti estemporanei, le domande che venivano su da un punto all’altro della grande tavola (si sarà stati in una trentina di persone) e le risposte e le contro-domande di don Giussani.

Il filo del discorrere? La musica, naturalmente; anzi, il canto.

Il fatto poi che la conversazione sembri saltare, a leggerne la trascrizione, un po’ qui un po’ là, si spera induca più a farla catalogare tra le rapsodie che a darne rimprovero all’estensore.

Don Giussani ripete e si schermisce: Sì, il canto è l’espressione più alta del cuore dell’uomo. Non lo dico perché ho davanti voi, che cantate. Quel che dico qui, lo dico sempre.

Un’osservazione: pochi in giro cantano, ma c’è sempre un ronzio di canzoni che sfuggono a cuffie e saltano fuori da tutte le parti. C’è una colonna sonora che ci insegue ovunque e che noi non scegliamo. Di gran moda sono le folle radunate dal karaoke o da un cantautore.

Eppure“, interrompe Giussani, “queste canzoni e le esibizioni di questi fenomeni possono essere il segno della corruzione indicibile di un’epoca. Il canto, invece di essere espressione di un popolo, diventa la ripetizione ossessiva, sentimentaloide, delle ombrosità e delle fisime dei singoli. Si è magari in tanti ad ascoltare e a riconoscersi in quelle note e in quelle frasette. Ma si resta in frantumi. Collettivamente soli“.

Un po’ di spavento si sparge come sale sulla tavola. Davvero è impossibile un canto di popolo oggi? Uno che è professionista della musica pone la domanda cosi: come crescere, come essere missionari nella musica?

 “Quello che aiuta maggiormente dal punto di vista espressivo, quel che proprio fa crescere, è cantare per la comunità.

E sottolineo la parola per. Agli esercizi della fraternità fare un assolo non di fronte, ma per sedicimila persone! Questa è la differenza tra Vasco Rossi, che sarà senz’altro bravissimo, e voi che siete il coro di questi sedici mila. Voi esprimete questi sedicimila, la loro coscienza, siete la voce di un corpo, di un popolo, di un destino.

 Vasco Rossi, anche dinanzi a centomila, esprime se stesso, e conferma nella solitudine e nel vuoto chi pure lo adora. Invece quando a Rimini, agli esercizi, voi cantate, ci esprimete, siete noi, e la vostra voce si alza e ci tocca come puro dono.

Per questo il canto è gratuito, il canto è carità. È carità pura, il canto. Se vi posso dare un consiglio: non siate troppo preoccupati di voi stessi, della vostra capacità di esprimervi.

Il contenuto della preoccupazione non può essere l’espressione di sé, ma l’esprimere la coscienza di questo popolo. Per questo, il coro, il canto, è il servizio più utile e gratuito per la comunità. Se una comunità non ha coro, vuol dire che non ha passione, qualcosa si è già disfatto“.

Domanda: e come si può essere sicuri che non si sta inseguendo la propria personale fisi ma espressiva? (Intanto conviene notare che il tutto accade tra impilarsi di piatti e affondi di forchetta: nessuna solennità, molto appetito).

Risposta: “La sicurezza viene dall’appartenenza. E una cosa tanto naturale, questa. Tant’è vero che un bambino, che non ha vissuto l’esperienza di questo appartenere alla madre e al padre, cresce psicopatico. Si canta, e il canto esce dal petto e dalla gola dicendo una coscienza, se si appartiene. Siete mai entrati in una casa dove c’è una giovane madre affettuosa? È impossibile che il suo bambino piccolo non canticchi. Canta, canticchia, tira fuori chissà da dove delle armonie: e ha quattro anni! È espressione della letizia e della tranquillità che viene dall’essere amati. Che viene dall’appartenenza“.

Qualcuno butta il sasso: don Giussani, è per questo che da tante parti, nel movimento, si canta male?

È sintomo del disfacimento della comunità” dice calmo don Giussani. E si spiega: “Quanto più ci si riempie la bocca della parola compagnia, tanto più la comunione si è dissolta. L’appartenenza alla compagnia, la comunione, è sostituita da un legame affettivo intorno a una personalità magari affascinante. Ma si finisce per essere costituiti da un legame psicologico. Invece la comunità nasce dalla partecipazione dell’Essere, da un’ontologia. Se non discende dal Mistero, non è comunità. E bisogna che ci sia la coscienza dell’avvenimento, che accade qui ed ora. Quanto poi al canto…”.

Si fa un attimo di silenzio, si smette di tuffare il cucchiaio nella créme caramel. “…Quanto al canto: è una carenza generale del movimento. Dovuta al fatto che i capi sentono poco che cosa è l’uomo, che cosa è il cristianesimo? Questa “trascurataggine”, questo disamore al canto e alla musica è sintomo di una grave decadenza“.

Ride e scherza ma non troppo: “Io, siccome so che cosa è l’uomo, esigo il canto“.

E’ una passione antica quella di don Giussani. Racconta che nel 1933, ed aveva 9 o 10 anni, suo padre sceglieva dal giornale a quale liturgia festiva farsi accompagnare dal figlio, in giro per tutta la Lombardia a cercare una messa polifonica. C’era crisi eppure più del pane era importante la musica. E nella casa dei Giussani a Desio, dove non c’era certo da scialare, si faceva venire la domenica sera un trio o un quartetto a suonare Schubert.

Qualcuno commenta: questo essere impastati di musica, o c’è o non c’è, allora. Dunque parte l’ordine:”dovete fare i cori, cantare”?

Don Giussani: “Non si smuove nessuno con le parole. Chi appartiene sta ad imparare“.

A questo punto torna fuori la storia del canto nel movimento. Non è nato qualche anno dopo, con Adriana o altri. Non è nato neppure un minuto dopo il movimento. È la stessa cosa del movimento, è – si può dire – il suo carisma?

Racconta Giussani: “Alla prima messa di Gs, la prima in assoluto: lì è nato il canto del movimento. Eravamo radunati nella chiesa milanese di san Gottardo al Palazzo. E dieci minuti prima della messa mi sono messo a insegnare Vero amor è Gesù e O còr’ soave. Ho mosso le mani come faceva il mio maestro in seminario (fa il gesto), ho cantato e mi hanno seguito. Cinque minuti prima della prima messa del movimento è nato il canto del movimento. L’inizio del canto del movimento è l’inizio del movimento. Non c’è differenza. Nasce il movimento e si canta. Come un bambino con la madre. Si appartiene e sorge il canto. Senza appartenenza non ci può essere un coro. Non si impongono i cori per decreto, nascono quando nasce il movimento: anche oggi“.

E le canzoni nate da Gs?

 “Ce n’erano di bellissime, sin dagli inizi. E tutti le cantavano. Poi, per anni e anni, questi canti non sono stati più cantati. Le canzoni di Adriana Mascagni – bellissime – sono cadute nell’oblio. Anche i più bei canti di Claudio Chieffo (la guerra, la ballata dell’uomo vecchio, La nuova Auschwitz) erano caduti in disuso. Ma ho lottato. Se una cosa è autentica devi farla passare. E quei canti sono tornati“.

Qualcuno rimette il dito nella piaga, e dice: eppure – e siamo allo spumante finale, uno splendido rosé – c’è quasi una sordità nel movimento…

Don Giussani commenta: “È diffusa una pigrizia, una inerzia.., ma è soprattutto aridità. Essa domina la società di oggi. Ma è precisamente con il canto che si vanga in questo terreno secco! Noi ci lamentiamo e ci battiamo il petto per tutte le volte che tale aridità alberga in noi,ed è giusto. Ma pensate che nove su dieci che ci incontrano e vengono ai nostri raduni se ne vanno via dicendo: “Come si canta bene da voi!”.

Tutti i sentimenti umani più forti, il senso del peccato, la paura, la misericordia, la nostra gente li ha imparati assai più attraverso il canto che non con le letture. Io li ho imparati da piccolo: non innanzitutto dalle prediche, ma dai canti. Così la riforma della Chiesa ha avuto bisogno e si è espressa attraverso i canti di san Filippo Neri. I più belli li cantate anche voi“.

 La discussione scivola su chi può dirsi davvero grande musicista. Sulla musica tedesca (qualcuno azzarda: “Non sopporto tra i tedeschi la presunzione di Wagner. Strawinsky ebbe a scrivere che la donna è mobile di Verdi da sola vale più di tutto Wagner”), su quella italiana.

Conclude Giussani: “Il canto è l’espressione più autentica dell’uomo, se l’uomo è uomo, ed è tale se appartiene. Il figlio, se la madre è nei  pressi, canticchia. Così appena c’è il movimento, anche piccolo, anche un frammento, canta”.”

Santuario Madonna delle Assi

Ieri, sono passato davanti alla chiesetta della Madonna delle assi, santuario del 1400, a due passi da casa mia. Mi sono fermato è sono entrato. Non c’era nessuno sull’ora di pranzo. E io cos’ho fatto?  Ho acceso un lumino e ho cantato la SALVE REGINA a piena voce. L’eco risuonava tra le mura della navata vuota…era come se si fossero aggiunti gli angeli e i santi nella lode alla Vergine. Un presagio di Paradiso…

Le considerazioni di Don Giussani mi hanno fatto riflettere. Ho pensato ai tanti recenti  “assolo” imbarazzanti, data l’età e la voce ormai priva di smalto e lucentezza,  che durante la mia permanenza in Giappone, la piccola comunità cristiana mi ha sollecitato tante volte, perfino alla presenza del Vescovo di Kagoshima in visita: “fare un assolo non di fronte, ma per…” dieci, venti, cento, mille…persone!

Lo sapevo da prima ma la conferma di Don Giussani mi allieta il cuore:  “Quello che aiuta maggiormente dal punto di vista espressivo, quel che proprio fa crescere, è cantare per la comunità”. Sono discorsi  che si fanno poco o niente nelle nostre comunità. Tema che andrebbe affrontato, argomentato.

Ormai sono avvezzo alle scuse più in voga nel nostro secolo di uditori passivi, pigrizia di molti anche nelle nostre assemblee liturgiche: “sono stonato come una campana…, non ho orecchio…, non ho voce…, faccio pena…“. Inconvenienti che si registrano in percentuale davvero infinitesimale. Tutti, bene o male, poco o tanto, siamo in grado di cantare. Ma non ne comprendiamo la necessità, il beneficio che ne deriva, fisico e spirituale. Chissà che noia per queste persone il Cielo, tra suonatori, danzatori e cantanti…!

Prendo da David Maria Turoldo:

“La pienezza dello spirito è sempre affidata all’espressione musicale: pienezza sia della gioia sia del dolore. Per narrare, ad esempio, la beatitudine ultima nessun poeta a nulla di meglio da dire che: “Allora canteremo, allora danzeremo!” E nulla di più orrendo che l’assenza dell’armonia, che poi è assenza di ogni belleza e di ogni gioia, invadenza di stridori e frastuoni: uccisione e morte appunto della musica, simbolo della perdizione. Così dunque il poeta nulla di meglio conosce che la musica per dire il massimo della sofferenza e della solitudine.

Musica, sostanza delle cose. Musica, celebrazione estetica del creato. Musica, fiume della stessa Rivelazione; essenza della divina Sapienza, la fanciulla che presto ci introdurrà nel Tempio”. (Turoldo)

Un aneddoto: “Si racconta che quando Davide ebbe finito il libro dei Salmi, si sentì molto orgoglioso. E disse a Dio: Padrone del mondo, chi fra tutti gli esseri che hai creato canta più di me la tua gloria? In quel momento sopraggiunse una rana che gli disse: Davide, non inorgoglirti! Io canto più di te in onore di Dio” (Sefer ha-Haggadah 89b).

  • “Noi siamo dei liuti, Tu sei l’artista;
  • noi siamo dei flauti, ma il soffio è Tuo, Signore:
  • noi siamo dei monti, Tua è l’eco…”.

Al ritmo di queste parole, incise sul piccolo organo della mia chiesa, vorrei farmi voce della creazione e del vento; voce del silenzio; voce della mia stessa chiesa, già essa musica in pietre; una chiesa millenaria, armoniosa ed essenziale: E’ la musica che fa chiesa, in tutti i sensi, musica che fa umanità.

Diffidate dell’uomo che non ama la musica. Egli è come un antro nella notte; dove si annida l’aspide” (Shakespeare).”

Il coro polifonico di cui mi occupavo nella mia parrocchia di Sant’Antonio e dell’Immacolata a Milano.

Grazie, Don Giussani che, dopo averlo imparato da bambino in famiglia hai sentito il bisogno di ricordarlo a più d’una generazione. Nel mio piccolo, sono qui a veder di tramandare il messaggio, antico come il Libro Sacro.

PAROLE DI MONS. GIUSSANI AL CORO POLIFONICO DI PAVIA

“Vi sono gratissimo per il servizio che fate perchè, come ho sempre detto, il coro è lo strumento principale dell’educazione di una comunità che vive e non per nulla è una delle cose che ha presentato più difficolta nel crearsi. Vi prego di essere coscienti di questo servizio che fate; si possono fare anche le cose più belle senza la consapevolezza e allora perdono di gusto per voi e di merito davanti a Dio”.

GIOVANNI PAOLO II AI GIOVANI DI CL

Per me è sempre interessante a ciò che vuol dire Comunione e Liberazione, come vive Comunione e Liberazione e come si vive la comunione e la liberazione. Certamente si vive l’uno con l’altro, tramite un’ esperienza di canto che crea la comunione; questa esperienza la conosco da anni e vedo che anche voi ne avete una conoscenza perfetta: la comunione si vive tramite il canto. Si dovrebbe fare uno studio profondo su come il canto crea la comunione. Non mi meraviglio tanto quando si dice che in cielo gli angeli cantano.”

IL CORO DI CL  E’ STATO INVITATO  PRESSO LA TOMBA DI SANT’AGOSTINO A PAVIA DIRETTAMENTE DAL PAPA BENEDETTI XVI PER ANIMARE I VESPRI DEL 2007 NELLA BASILICA DI SAN PIETRO IN CIEL D’ORO .

  • Signore, per Te solo io canto
  • onde ascendere lassù
  • dove solo Tu sei,
  • gioia infinita.
  • In gioia si muta il mio pianto
  • quando comincio a invocarTi
  • e solo di Te godo,
  • pauraosa vertigine.
  • E’ la mia mente l’oscura lucciola
  • che nell’alto buio,
  • cerca di Te, inacessibile Luce;
  • di Te si affanna questo cuore
  • conchiglia ripiena della Tua Eco,
  • o infinito Silenzio.

” OGNI  COSA  CHE  RESPIRA  LODI  IL  SIGNORE.    A L L E L U I A ”   Salmo 150,6

Il tormento di Jobs:«Alla fine della vita soltanto un clic»

Il biografo: ma voleva credere in Dio

Abbiamo già letto molte anticipazioni del  suo libro, ma poco del temperamento irascibile di Jobs, i tratti duri del suo  carattere. Quanto a Dio, l’aveva evocato parlando di musica. Lui, che aveva  riempito il suo iPod coi brani di Bob Dylan, i Beatles, Joan Baez, i Rolling  Stones e Yo-Yo Ma, una volta disse al violoncellista franco-cinese: «Le tue  esecuzioni sono la migliore prova dell’esistenza di Dio perché non credo che un  essere umano da solo possa fare tutto questo».

«Con me Steve cominciò a parlare di Dio man mano che prendevamo confidenza e che la malattia riguadagnava terreno. Non era paura, si interrogava: “Voglio credere nella vita ultraterrena” mi diceva, “perché questo fa parte della mia formazione buddista. Tutta la saggezza che hai accumulato, la tua conoscenza non svanirà nel nulla quando tu non ci sarai più“.

Poi, però, veniva assalito dal dubbio che alla fine della vita ci sia solo un off switch».