QUEL DIROMPENTE TACERE DI DIO – Angelo Nocent

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L’ INCOMUNICABILITA’ COME DRAMMA DELLA PAROLA

di Angelo Nocent

(L’articolo non è fresco di giornata ma il tornarci sopra può giovare.)

Tempi d’inflazione economica ma più tragicamente d’inflazione verbale. La frammentazione del vivere rende faticosa l’esistenza della gente. L’estenuante quotidiano violento logorio più che facilitare l’ascolto promuove laicismo, indifferentismo ed agnosticismo. Se le inquietudini sono sintomo di sete, occorre adoperarsi perché risuoni ancora l’Annuncio e si moltiplichino oasi di Silenzio ristoratore.

Benedetto XVI nella citazione di sant’Agostino: “Ho bussato alla porta della Parola per trovare finalmente quanto il Signore mi vuol dire”.

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Shalðm!

Le parole nei secoli ci hanno talmente ingannato che, pur in un clima di vasta inflazione verbale, per un naturale meccanismo di difesa, il più delle volte esse ci sfiorano appena. Poi rimbalzano nella discarica che, in un circolo vizioso, le rimetterà in circolazione. Quando inizio a scrivere sulla famiglia il timore dell’inadeguatezza ad affrontare un tema così impegnativo si accentua. Il rischio che temo è di banalizzare i temi infarcendoli di luoghi comuni e prosa pedante. Non si tratta di sviluppare argomenti destinati a un manuale ma di coinvolgere l’anima del destinatario, senza disorientare o indisporre chi ha la bontà di soffermarsi a leggere… Trovo salutare pertanto l’invocazione allo Spirito perché mi ottenga il dono che è nelle parole di Gesù: “Ti ringrazio, Padre, se vorrai usarmi per far conoscere a gente povera e semplice quelle cose che hai tenuto nascoste ai sapienti e agli intelligenti”.

Dovendo parlare di famiglia, mi viene spontaneo chiedermi se devo seguire la logica del cuore, ossia dello stato emotivo del momento o la successione logica dei fatti, a partire da Adamo ed Eva…per arrivare all’ultimo neonato, sia esso un bimbo o il nuovissimo documento della Conferenza Episcopale sull’argomento. Fino ad ora è prevalsa la prima. Poi si vedrà. San Tommaso D’Aquino diceva che il vero maestro non è quello che risponde a tutte le domande, vero maestro non è colui che cerca di rassicurarti con argomenti probanti ma è quello che ti accende il desiderio della ricerca e ti lascia solo a ricercare la risposta. Vorrei che queste pagine restassero abitate dal silenzio; o almeno che provassero a starsene sempre in punta di piedi sulla soglia del silenzio.

Per evitarmi rischi ed imboscate, mi propongo solitamente due cose:

• primo: immaginare di parlare ad un interlocutore reale. Non vedo    soggetti migliori  dei miei figli Paolo ed Elena, che, poveretti, hanno  dovuto subire il mio empirico metodo educativo, ma anche fortunatissimi – ormai vaccinati – per non aver subito che rarissime lezioni teoriche di    etica comportamentale;

• secondo: formulare pensieri nutriti di Sacra Scrittura, possibilmente  corredati di qualche buona riflessione teologica, senza perdere di vista  la realtà del vivere nell’oggi, che accetto per quello che è, senza alcuna  pretesa di forzarne i tempi di maturazione.

Potrà sembrare ovvio. Ma la speranza di non nuocere almeno, se non si può giovare appieno, mi sembra il minimo dovuto. Chiedo venia, pertanto, una volta per tutte, per le promesse che non saprò mantenere e per le speranze che dovessi infrangere. Ognuno potrà sempre contare sulla sua innata capacità di “rifarsi”.


* * *

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Ho iniziato questo percorso tirando in ballo Albino Luciani e lo farò anche questa volta facendo ricorso a una piccola reminiscenza. Il futuro Giovanni Paolo primo l’ho incontrato  una sola volta nella mia vita. Lui era vescovo di Vittorio Veneto ed io un giovanotto di vent’anni pieno di grandi ideali. Ho potuto avvicinarlo, stringergli la mano, baciare l’anello episcopale, osservare la sua mimica da vicino ed ascoltare dalla sua bocca il commento alla parabola del “Buon Samaritano” nella chiesetta della Villa Ca’ Cornaro, in quel di Romano d’Ezzelino (VI). Indossava una preziosa pianeta in raso bianco ricamata in oro, di classico stampo barocco, riservata alle festività.

Anche la mitria gemmata ed il pastorale erano in stile. Non ricordo l’anno ma era un otto marzo, festa liturgica di San Giovanni di Dio. Di quel commento al Vangelo mi è rimasta nell’orecchio solo la cadenza veneta del Prelato e negl’occhi la sua gestualità ed il sorriso. Mai avrei potuto scommettere che un giorno sarebbe diventato papa e nemmeno avrei puntato un centesimo su chi lo avesse pronosticato anche solo Patriarca di Venezia. Devo ammettere che ho vissuto quell’“Habemus Papam” come una delusione. Ma è bastato quell’io al posto del “noi”, qualche gesto, qualche espressione del tipo “Dio è madre”, peraltro presa in prestito da Isaia, quel fare le domande ai chierichetti da parroco del mondo…a farmi di opposta opinione, tanto che sono ancora qui a parlarne.

Non ricordo una sola parola del commento alla parabola evangelica. In compenso, quella pagina si è così impressa nella mia carne che la trovo perfino inseparabile da qualsiasi altro argomento della vita, giacche, da ovunque si provenga od ovunque si vada, quasi percorso obbligato, ci si ritrova tutti sulla Gerusalemme-Gerico, quale crocevia del mondo. Ho raccontato l’ incontro perché appartiene a quelle esperienze della vita che vanno sotto il nome di Parola di Dio. In seguito sarà molto più evidente la ragione di tale rievocazione. La difficoltà dell’ascolto in una vita frammentata Le persone che non hanno un rapporto con la comunità cristiana, specie nei grandi agglomerati urbani, sono davvero tante e per motivi diversi. Non è questa la sede per l’analisi che ogni tanto va ripetuta perché le spiegazioni possono essere mutevoli. Ciò che emerge dai dati un denominatore comune: le persone, giovani in testa, non sono nella condizione di saper ascoltare la Parola. Se le inquietudini sono sintomo di sete, occorre adoperarsi perché risuoni ancora l’Annuncio. La finalità del sito è proprio questa.

Sui frequentatori abituali della Comunità incombe un rischio:

  • di abituarsi ai grandi doni cristiani;
  • di trattarli in modo possessivo;
  • di mortificarne l’efficacia operativa.

Vorrei far notare che molte pagine della Bibbia ci presentano dei forestieri, dei pagani, degli esclusi, che diventano i destinatari privilegiati della Parola di Dio. Questi non vivono sempre sull’altra sponda del fiume ma possono proprio circolare per casa. Strano a dirsi, la famiglia è tra gli ambienti di più difficile penetrazione della Parola di Dio e persino di quelle parole umane che inducono al senso profondo della vita.


Tutti ci rendiamo conto che la famiglia andrebbe aiutata a ritrovare il gusto e la responsabilità dei valori perduti. Ma come si può fare? Cominciando col credere che la Parola può stimolare la famiglia a inventare una socialità nuova e cercando di superare le aggregazioni istintive e discriminanti fondate sulla comune estrazione sociale e culturale. E’ innegabile che c’è un prezzo di tempo e di fatica da pagare.

Sì, però Dio tace. Ha senso il silenzio di Dio?

Per il fatto stesso che la Bibbia esiste ne ricavo la prova eloquente che generazioni e generazioni di uomini hanno creduto di poter cogliere una parola che veniva da Dio. Tuttavia, a partire dalla nostra stessa esperienza, siamo colpiti ogni giorno dal silenzio di Dio. Egli tace, non interviene, non difende, non chiarifica…E noi continuiamo a chiederci, credenti o agnostici, il perché o il senso di questo silenzio. Per la verità, nella stessa Scrittura c’è la testimonianza sofferta di chi sente Dio lontano:

  • Io grido a te, o Dio, e tu non mi rispondi, mi presento a te e non mi dai retta.” (Giobbe 30,20)
  • Dio, esci dal tuo silenzio, non rimanere muto e inattivo!” (sal. 83,2)
  • Mio Dio, mio vanto, non restare in silenzio!” (sal. 89,1)

    E’ necessario allora chiedersi:

  • Come parla Dio?

  • Perché parla?

  • E noi uomini che atteggiamento dobbiamo assumere di fronte a questa parola?

1. Come parla Dio

A mettere ordine nella nostra mentalità ci pensa il profeta Isaia:

8 Dice il Signore: “I miei pensieri non sono come i vostri e le mie azioni sono diverse dalle vostre. 9 I miei pensieri e i vostri, il mio modo di agire e il vostro sono distanti tra loro come il cielo è lontano dalla terra. 10 La mia parola è come la pioggia e la neve che cadono dal cielo e non tornano indietro senza avere irrigato la terra e senza averla resa fertile. Fanno germogliare il grano, procurano i semi e il cibo.


11Così è anche della parola che esce dalla mia bocca: non ritorna a me senza produrre effetto, senza realizzare quel che voglio e senza raggiungere lo scopo per il quale l’ho mandata”.” (Is 55 9-11)

Qui troviamo una prima risposta: Dio non parla con delle parole, con delle frasi, ma si manifesta attraverso degli avvenimenti. Per questo viene detto che la Parola è come l’acqua, la neve. Il Secondo Testamento dirà che è come un seme: sono cioè cose che accadono… Dio si fa presente, si fa vedere attraverso i “momenti” più importanti della nostra storia e della storia che ci circonda. Capisco il Dio della Bibbia nella misura in cui accetto questo dato. Ecco spiegata la menzione di Albino Luciani, un esempio per tutti degli incalcolabili accadimenti di cui ognuno è protagonista.

I giorni, i mesi, gli anni, il tempo, sono usati da Dio per farci fare l’esperienza di Lui attraverso gli avvenimenti. In questo lungo e lento processo di mutazione si è formulata e scritta la nostra esperienza e sono state riconosciute le tracce, le orme di Dio.

E’ attraverso tale procedimento che lo Spirito ha ispirato la Scrittura. Quando s’è detto che la Parola “ha messo su famiglia”, si voleva esprimere con una battuta il lento entrare di Dio nella storia dell’uomo. Ma il processo non si ferma qui: Dio (la Parola di Dio che è nell’avvenimento) intende agire. Quindi, dire Dio è dire azione. E, dal momento che il Signore “può”, è Onnipotente, è azione efficace, vuole portare tutti a maturazione, l’albero che ha piantato, desidera che fruttifichi, vuole cioè “cambiare” le cose. Il Suo messaggio dunque è

  • efficace,
  • opera,
  • chiama.

E la Parola che è stata accolta non lascia le persone come le ha trovate.

La Lettera agli Ebrei, contenuta nel Secondo Testamento, allarga ulteriormente la nostra comprensione del Dio che parla:

1 Nei tempi passati Dio parlò molte volte e in molti modi ai nostri padri, per mezzo dei profeti. 2 Ora invece, in questi tempi che sono gli ultimi, ha parlato a noi, per mezzo del Figlio. Per mezzo di lui Dio ha creato l’universo, e ora lo ha stabilito come Signore di tutte le cose. 3 Egli è lo specchio della gloria di Dio, l’immagine perfetta di ciò che Dio è. La sua parola potente sostiene tutto l’universo. Ora, dopo aver purificato gli uomini dai loro peccati, il Figlio è salito nei cieli e ha il suo posto accanto a Dio.” (Ebrei 1, 1-3)

Ogni parola del testo biblico è densa di significato ed ha il suo peso che va considerato:

  • Dio ha parlato a noi”. E’ evidente l’esplicita iniziativa di Dio, Ha voluto farsi conoscere, comunicare con l’uomo. (Ecco perché la nostra, più che una religione è una rivelazione).
  • Molte volte e in molti modi”. In questa espressione sono racchiusi tutti gli avvenimenti, le parole, i sogni, le visioni, le azioni simboliche di cui la Scrittura è piena. Attraverso questo modo di comunicare Dio è sempre attuale, in sintonia con i nostri tempi evolutivi.
  • Nei tempi passati, ai nostri padri”. La Parola di Dio ha un passato…c’è una continuità, un divenire…
  • Ora invece, in questi tempi che sono gl’ultimi”. C’è la coscienza che i giorni che viviamo sono i nostri. Epperò sono illuminati da un Fatto, da Qualcuno che è il Cristo.
  • A noi”. La chiamata all’ascolto è individuale, come individuale è la risposta che scaturisce da una presa di posizione di noi, con noi stessi.
  • Per mezzo del Figlio”. Le parole dei profeti del Primo Testamento sono sfociate nella parola definitiva: il Cristo. Se Dio, dunque, ha parlato con gli avvenimenti, perfino attraverso la stessa esperienza umana, l’aver parlato con il Figlio, non solo ci lascia stupiti ma anche curiosamente investiganti: perché? Quali sono le Sue intenzioni?
  1. Perché Dio parla?

La Dei Verbum, il documento del Concilio sulla Bibbia, inizia con una citazione dei seguenti versetti della prima lettera di Giovanni:

  • 1La Parola che dà la vita esisteva fin dal principio: noi l’abbiamo udita, l’abbiamo vista con i nostri occhi, l’abbiamo contemplata, l’abbiamo toccata con le nostre mani.
  • 2 La vita si è manifestata e noi l’abbiamo veduta. Siamo i suoi testimoni e perciò ve ne parliamo. Vi annunziamo la vita eterna che era accanto a Dio Padre, e che il Padre ci ha fatto conoscere.
  • 3Perciò parliamo anche a voi di ciò che abbiamo visto e udito; così sarete uniti a noi nella comunione che abbiamo con il Padre e con Gesù Cristo suo Figlio.
  • 4Vi scriviamo tutto questo, perché la nostra gioia sia perfetta.” (1 Gv 1,1-4) .Il Cristo è chiamato la “Parola”, il “Verbo” del Padre.

    Poi si parla di “vita eterna” e di “comunione”.

La deduzione è che Dio ha parlato perché noi conoscessimo il Cristo e potessimo vivere con Lui ed in Lui.

  • La vita eterna non è il paradiso, ma Cristo stesso, dono del Padre, affinché viviamo a Sua somiglianza.

  • Dio ha parlato nella prospettiva di offrirci la possibilità di diventare Cristo.

Deduzione logica:

  • Dio no ha parlato per comunicare verità, idee, discorsi eruditi ed istruttivi,
  • non ci è stato rivelato un libro ma una persona;
  • come per gli apostoli che hanno visto, toccato, contemplato, anche per noi c’è la possibilità di dare un senso alla vita, alle storie individuai, per mezzo della comunione con Cristo.

Le affermazioni sono schematiche e andranno sviluppate. Per il momento basti tener presente che tutta la Scrittura è in vista del Cristo.

  1. L’uomo

Se Dio parla e continua a parlare, la domanda spontanea è: che cosa mi chiede?

  • Osservando il popolo ebraico ci rendiamo conto che ha scoperto a poco a poco di essere chiamato a stare in ascolto. Nel Primo Testamento c’è un ritornello ricorrente lungo i secoli ed è carico di una forza persuasiva:” Shemà Israel, Adonai elohenu, Adonai ehad. “Ascolta Israele, ascolta il Signore tuo Dio. Il Signore è uno” .

  • Quella d’Israele è una vocazione, ossia una chiamata. Questo popolo non può vivere senza fare riferimento alla Parola.
  • Il suo ascoltare ha il significato di aderire totalmente. Ma è possibile farlo ciecamente?

  • Così ha origine l’atto di fede: via via nasce una presa di coscienza che la Parola è salvezza, è verità, è liberazione…
  • Il rifiuto, la chiusura di fronte alla Parola è recepito come peccato.

Alcuni testi del Secondo Testamento, di Paolo in particolare, permettono di cogliere l’atteggiamento della prima Chiesa nei confronti della Parola: “Anche per questo ringrazio Dio continuamente: perché, quando noi vi abbiamo annunziato la parola di Dio, voi l’avete accolta e non l’avete considerata come semplice parola umana, ma proprio come parola di Dio. Essa è veramente tale, e agisce in voi che credete!” ( 1Tess. 2,13) Con queste poche righe che rappresentano il primo scritto del Secondo Testamento su questo tema, Paolo chiede ai credenti di Tessalonicco una totale adesione: egli è per primo cosciente di offrire una parola che è Parola di Dio e ne ricava anche il senso che deve avere: va ascoltata più di ogni altra parola umana.

Alla Chiesa che è in Corinto , Paolo spiega qual’è stato il suo comportamento personale di fronte alla Parola:

  • una tensione costante per superarsi;
  • tutto ripensare secondi Dio:

1Quando sono venuto tra voi, fratelli, per farvi conoscere il messaggio di Dio, l’ho fatto con semplicità, senza sfoggio di parole piene di sapienza umana. 2Avevo infatti deciso di non insegnarvi altro che Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione. 4Vi ho predicato e insegnato senza abili discorsi di sapienza umana. Era la forza dello Spirito a convincervi. 5Così la vostra fede non è fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.” (1 Cor 2, 1-5)

Egli percepiva i limiti della sapienza umana, si rendeva conto che l’arte del parlare poteva anche diventare un ostacolo alla potenza dello Spirito, alla Sua azione nel credente. Perciò sente il bisogno di chiedere come priorità assoluta un ascolto umile e silenzioso. Ognuno è in grado di rapportarsi a questo insegnamento per le necessarie correzioni di rotta. La nostra “Domestica Ecclesia” viaggia sul medesimo binario. Ogni deviazione, ogni inflazione verbale, non possono che rallentare la corsa e rendere estenuante il viaggio.

4. Conclusione 

  • La Parola di Dio mi giunge sempre in parole umane. Sono le parole di ogni giorno che si esprimono anche nei piccoli o grandi avvenimenti.
  • La Parola può essere raccolta a condizione che vi sia una disponibilità interiore.
  • L’uomo biblico di tutti i tempi vive questa tensione a volte in modo sereno e pacato, a volte invece in maniera sofferta e drammatica.
  • Per acquisire il senso della presenza di Dio devo mettermi in atteggiamento di ascolto, con la consapevolezza che Egli parla in molti modi e forme diverse ma per un progetto che mi chiede di condividere.
  • La mia risposta è nell’essere schiena a Sua disposizione.
  • Ho coscienza che la Parola totale, completa, definitiva è il Cristo.
  • L’interesse di chi ha già trovato o di colui che è in ricerca, deve essere rivolto a Lui, perché Lui è il ricercato e l’annunciato. •
  • Io di fronte alla Parola sono chiamato all’obbedienza. Se uso la forbice per accorciarla, ridimensionarla, adattarla al mio punto di vista, non faccio che assecondare quelle resistenze che sgorgano dalle zone inquinate del cuore.

Da memorizzare: “E’ cattiva disposizione ascoltare la Parola di Dio con spirito critico” (Josemaria Escrivà , Cammino, 945).

Sono certo di fare cosa gradita integrare l’esposto con una sintesi magistrale che viene da un illustre professore. Nell’incontro del Santo Padre con i giovani della Diocesi di Roma in  preparazione alla XXI giornata mondiale della gioventù, Benedetto XVI si è sentito rivolgere da un giovane questa domanda:

Santità, sono Simone, della Parrocchia di San Bartolomeo, ho 21 anni e studio ingegneria chimica all’Università «La Sapienza» di Roma. Innanzitutto ancora grazie per averci indirizzato il Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù sul tema della Parola di Dio che illumina i passi della vita dell’uomo.

Davanti alle ansie, alle incertezze per il futuro, e anche quando mi trovo semplicemente alle prese con la routine del quotidiano, anch’io sento il bisogno di nutrirmi della Parola di Dio e di conoscere meglio Cristo, così da trovare risposte alle mie domande.

Mi chiedo spesso cosa farebbe Gesù se fosse al posto mio in una determinata situazione, ma non sempre riesco a capire ciò che la Bibbia mi dice. Inoltre so che i libri della Bibbia sono stati scritti da uomini diversi, in epoche diverse e tutte molto lontane da me. Come posso riconoscere che quanto leggo è comunque Parola di Dio che interpella la mia vita? Grazie.

Riporto in forma schematica e con sottolineature la risposta del Papa:

  • Rispondo sottolineando intanto un primo punto: si deve innanzitutto dire che occorre leggere la Sacra Scrittura non come un qualunque libro storico, come leggiamo, ad esempio,  Omero, Ovidio, Orazio; occorre leggerla realmente come Parola di Dio, ponendosi cioè in colloquio con Dio.

  • Si deve inizialmente pregare, parlare con il Signore: “Aprimi la porta”.  E’ quanto dice spesso sant’Agostino nelle sue omelie: “Ho bussato alla porta della Parola per trovare finalmente quanto il Signore mi vuol dire”. Questo mi sembra un punto molto importante. Non in un clima accademico si legge la Scrittura, ma pregando e dicendo al Signore: “Aiutami a capire la tua Parola, quanto in questa pagina ora tu vuoi dire a me”.
  • Un secondo punto è: la Sacra Scrittura introduce alla comunione con la famiglia di Dio. Quindi non si può leggere da soli la Sacra Scrittura. Certo, è sempre importante leggere la Bibbia in modo molto personale, in un colloquio personale con Dio, ma nello stesso tempo è importante leggerla in una compagnia di persone con cui si cammina.
  • Lasciarsi aiutare dai grandi maestri della “Lectio divina”. Abbiamo, per esempio, tanti bei libri del Cardinale Martini, un vero maestro della “Lectio divina”, che aiuta ad entrare nel vivo della Sacra Scrittura. Lui che conosce bene tutte le circostanze storiche, tutti gli elementi caratteristici del passato, cerca però sempre di aprire anche la porta per far vedere che parole apparentemente del passato sono anche parole del presente. Questi maestri ci aiutano a capire meglio ed anche ad imparare il modo in cui leggere bene la Sacra Scrittura.
  • Generalmente, poi, è opportuno leggerla anche in compagnia con gli amici che sono in cammino con me e cercano, insieme con me, come vivere con Cristo, quale vita ci viene dalla Parola di Dio.

  • Un terzo punto: se è importante leggere la Sacra Scrittura aiutati dai maestri, accompagnati dagli amici, i compagni di strada, è importante in particolare leggerla nella grande compagnia del Popolo di Dio pellegrinante, cioè nella Chiesa.

  • La Sacra Scrittura ha due soggetti. Anzitutto il soggetto divino: è Dio che parla. Ma Dio ha voluto coinvolgere l’uomo nella sua Parola. Mentre i musulmani sono convinti che il Corano sia ispirato verbalmente da Dio, noi crediamo che per la Sacra Scrittura è caratteristica – come dicono i teologi – la “sinergia”, la collaborazione di Dio con l’uomo.Egli coinvolge il suo Popolo con la sua parola e così il secondo soggetto – il primo soggetto, come ho detto, è Dio – è umano. Vi sono singoli scrittori, ma c’è la continuità di un soggetto permanente – il Popolo di Dio che cammina con la Parola di Dio ed è in colloquio con Dio.
  • Ascoltando Dio, si impara ad ascoltare la Parola di Dio e poi anche ad interpretarla. E così la  Parola di Dio diventa presente, perché le singole persone muoiono, ma il soggetto vitale, il Popolo di Dio, è sempre vivo, ed è identico nel corso dei millenni: è sempre lo stesso soggetto vivente, nel quale vive la Parola.
  • Così si spiegano anche molte strutture della Sacra Scrittura, soprattutto la cosiddetta “rilettura”. Un testo antico viene riletto in un altro libro, diciamo cento anni dopo, e allora viene capito in profondità quanto non era ancora percepibile in quel precedente momento, anche se era già contenuto testo precedente. E viene riletto ancora nuovamente tempo dopo, e di nuovo si capiscono altri aspetti, altre dimensioni della Parola, e così in questa permanente rilettura e riscrittura nel contesto di una continuità profonda, mentre si succedevano i tempi dell’attesa, è cresciuta la Sacra Scrittura.
  • Infine, con la venuta di Cristo e con l’esperienza degli Apostoli la Parola si è resa definitiva, così che non vi possono più essere riscritture, ma continuano ad essere necessari nuovi approfondimenti della nostra comprensione. Il Signore ha detto: “Lo Spirito Santo vi introdurrà in una profondità che adesso non potete portare”.

  • Quindi la comunione della Chiesa è il soggetto vivente della Scrittura. Ma anche adesso il soggetto principale è lo stesso Signore, il quale continua a parlare nella Scrittura che è nelle nostre mani.

Penso che dobbiamo imparare questi tre elementi:

  • leggere in colloquio personale con il Signore;
  • leggere accompagnati da maestri che hanno l’esperienza della fede, che sono entrati nella Sacra Scrittura;
  • leggere nella grande compagnia della Chiesa, nella cui Liturgia questi avvenimenti diventano sempre di nuovo presenti, nella quale il Signore parla adesso con noi, così che man mano entriamo sempre più nella Sacra Scrittura, nella quale Dio parla realmente con noi, oggi.”( Da COLLOQUIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI CON I GIOVANI – Piazza San Pietro – Giovedì, 6 aprile 2006)


Più chiaro di cosi! Epperò, proveremo a tornarci sopra, giacché un buon raccolto dipende sempre da una fatica a monte: lavorazione del terreno, concimazione, seminagione, innaffiatura…Come una casa regge se poggia su salde fondamenta.

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