NATI PER NON MORIRE MAI PIU’ – Angelo Nocent

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GIACOMO GALEAZZI

giacomo-galeazziUn tumore scoperto al quinto mese di gravidanza. Una maternità affrontata con forza dopo la scelta di rimandare le cure alla nascita del bambino. Era la terza gravidanza di Chiara: Maria e Davide erano scomparsi poco dopo il parto. Entrambi erano nati con gravi malformazioni. «Ho detto sì a Dio», storia di una giovane madre romana morta per far nascere il suo bimbo. Nel libro «Piccoli passi possibili» (Porziuncola,12 euro) a raccontare la sua vita sono il marito Enrico Petrillo, i genitori, la sorella, i due medici che l’hanno assistita fino alla fine.

«Per arrivare al Signore non devi correre né camminare troppo piano: devi avere un passo costante, continuo e soprattutto sul presente; perché la stanchezza viene se pensi al passato e al futuro, mentre se cammini pensando soltanto al piccolo passo possibile che tu ora puoi fare, a un certo punto arrivi alla meta e dici: sono già arrivata! Incredibile, Signore, ti ringrazio!». Nelle parole di chi l’ha conosciuta il calvario di una donna di 28 anni che per dare la vita a suo figlio ha rinunciato a sottoporsi ai cicli di chemio e radioterapia finché il suo bambino non venisse alla luce. Prima di morire il 13 giugno 2012. Chiara Corbella, musicista come suo marito Enrico, ha lasciato al figlio Francesco una lettera testamento per il suo primo compleanno. Una coppia normalissima, molto credente. Una di quelle della generazione Wojtyla, cresciuta in parrocchia a pane e Gmg.

«Lo scopo della nostra vita è amare ed essere sempre pronti a imparare ad amare gli altri come solo Dio può insegnarti – scrive – Qualsiasi cosa farai avrà senso solo se la vedrai in funzione della vita eterna. Se starai amando veramente te ne accorgerai dal fatto che nulla ti appartiene veramente perché tutto è un dono. Sei speciale e hai una missione grande. Il Signore ti ha voluto da sempre e ti mostrerà la strada da seguire se gli aprirai il cuore. Fidati, ne vale la pena!». Chiara Corbella ha conosciuto Enrico a Medjugorie nell’estate del 2002. Lui è in pellegrinaggio con la Comunità del Rinnovamento carismatico, lei è in vacanza in Croazia con la sorella maggiore Elisa. Tornati a Roma, i due si frequentano, si fidanzano, intraprendono un cammino di fede insieme.

Lei ha 18 anni, Enrico 23. Il fidanzamento dura sei anni, tra dolorose rotture. Con semplicità, umiltà e amore, Chiara abbraccia la strada del matrimonio. È il 21 settembre 2008. Durante la prima gravidanza viene diagnosticata un’anencefalia alla figlia Maria. I due giovani sposi decidono di dare alla luce lo stesso la figlia, che nasce, viene battezzata e muore tra le braccia amorevoli dei genitori. Anche durante la seconda gravidanza, al bimbo che Chiara porta nel grembo sono diagnosticate gravi malformazioni e non rimangono speranze di sopravvivenza.

Ancora una volta, certi che «siamo nati e non moriremo mai più», Chiara ed Enrico hanno voluto dare alla luce il figlio Davide, farlo battezzare e abbracciare mentre andava in Cielo. Alla terza gravidanza, tutto procede bene per il figlio Francesco, ma la diagnosi infausta questa volta riguarda lei, la madre. Dopo un primo intervento chirurgico, per non danneggiare il figlio, rimanda chemio e radioterapia solo in seguito alla nascita del figlio. Ma è ormai troppo tardi. Chiara ha ormai metastasi ovunque. Ha 28 anni, è malata terminale, ma ha un viso bello e folgorante della certezza che siamo nati per l’eternità.

Il suo principio di vita: non dobbiamo possedere nulla come se ci fosse dovuto, ma ricevere tutto come un dono. Chiara accoglieva la vita come un dono e sapeva riconoscere il Donatore. Ha attraversato situazioni oggettivamente molto difficili: ne usciva sempre grazie a questo gesto d’abbandono, con il quale riconosceva che c’è qualcuno che veglia su di lei e che ha un disegno d’amore sulla sua vita. Il papà ricorda che durante la malattia della figlia hanno «vissuto insieme come mai, tutti combattendo per la salvezza di Chiara, sperando in un miracolo che è avvenuto in maniera diversa, non nella guarigione, ma nell’accettazione». «Ho imparato da mia figlia» dirà ancora «che non conta la durata della vita, ma come la viviamo. Ho imparato da lei in un anno più di quanto non avevo capito in tutta la mia esistenza e non posso sprecare questo insegnamento».

Il 4 aprile 2012, è un mercoledì santo, Chiara ed Enrico conoscono l’esito della biopsia al fegato. Chiara è ormai una malata terminale. Confessa all’amica Cristiana: «Sai, Cri, ho smesso di voler capire, altrimenti si impazzisce. E sto meglio. Ora sto in pace, ora prendo quello che viene. Lui sa quello che fa e fino a ora non ci ha mai deluso. Poi capirò. Poi per ogni giorno c’è la grazia. Giorno per giorno. Devo solo fare spazio». La felicità di Chiara fino all’ultimo è il segno del suo affidamento totale a Gesù. «A prima vista la storia di Chiara è la storia drammatica di una mamma che muore di tumore lasciando soli suo marito e suo figlio. Forse una storia simile a tante. Ma in queste c’è qualcosa che non torna. Tutto è stato vissuto nella gioia, ed è diventato vita per gli altri».

Giovane e carina. Chiara Petrillo aveva tutto: bellezza, intelligenza, eleganza. E una fede profonda. Chiara soprannominava la sua malattia «il drago». S’è battuta contro lui giorno e notte, ma ha rimandato il trattamento più pesante, prescrittole dai medici, fino alla nascita del suo terzo bambino. Per preservarlo. Chiara muore alle 12 del 13 giugno 2012. Vestita da sposa, con in mano il rosario e un piccolo mazzo di lavanda, Chiara viene deposta nella bara in un viavai continuo di persone che la salutano per l’ultima volta. Il funerale viene celebrato il 16 giugno, giorno del Cuore Immacolato di Maria.

Resta Enrico. Il suo amore per il piccolo Francesco. E le parole di Chiara, in un video su Youtube («testimonianza di Enrico e Chiara») con migliaia di condivisioni.

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Grazie, Chiara…!

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