LA CENA DEL SIGNORE CON IL VESCOVO DANIELE – Angelo Nocent

Messa “In Cena Domini” 13 apr. 2017 

Con il nostro vescovo DANIELE GIANOTTI

Con molta solennità l’evangelista Giovanni apre la seconda parte del suo vangelo – dedicata totalmente al mistero della Pasqua – con la pagina che abbiamo appena ascoltato: e, ricordando l’antico significato della Pasqua come «passaggio», presenta l’ora pasquale di Gesù, il momento decisivo della sua vicenda, come «l’ora di passare da questo mondo al Padre».

Questa frase, come accade quasi sempre in Giovanni, dobbiamo leggerla secondo diverse angolature. La più immediata è senz’altro quella che allude alla morte ormai imminente di Gesù; morte attraverso la quale Gesù compie il grande «viaggio», che tutto il Vangelo di Giovanni descrive: egli, dice l’evangelista, «era venuto da Dio e a Dio ritornava», dopo aver compiuto l’opera che il Padre gli aveva dato da fare (cf. Gv 17, 4).

In questo modo, però, la morte stessa è trasfigurata; e se agli occhi degli uomini essa sembra una sconfitta, un fallimento, davanti a Dio – e quindi anche per Gesù, e per chi guarda a lui nella fede – essa rappresenta la vittoria, il compimento, la «pienezza»: questo vuol dire l’evangelista, quando dice che Gesù, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò ‘sino alla fine’» cioè, appunto, fino alla pienezza, dalla quale nulla e nessuno rimane escluso.

Il «passaggio» che Gesù compie in quest’ultima «ora» – il passaggio pasquale, che contempleremo e celebreremo nei tre Giorni santi del Signore crocifisso, sepolto e risorto – non è, allora, soltanto ciò che è accaduto in quel giorno, o in quei giorni, forse all’inizio di aprile dell’anno 30. 

Il «passaggio pasquale» è stato, potremmo dire, anzitutto il modo di vivere costante di Gesù. Tutta la sua vita ha anticipato e preparato la Pasqua, perché tutta la sua vita non è stata altro che ricevere tutto dalle mani del Padre e tutto riconsegnare a lui: il che è appunto ciò che giunge a compimento nella Pasqua.

Così, ad esempio,

  • Gesù riceve dal Padre l’umanità malata, ferita e peccatrice, per ricondurla a lui nella gioia della salvezza e del perdono;
  • accetta dal Padre di vivere in un mondo segnato dalla menzogna, dalla sopraffazione, dalla violenza, per restituirlo a lui trasfigurato nella verità, nella giustizia, nella pace;
  • accoglie dal Padre i discepoli che il Padre gli dà, anche se sono povera gente, anche se sono Giuda che tradisce e Pietro che rinnega e tutti gli altri che fuggono, per restituire al Padre l’umanità nuova, la Chiesa dei credenti, la comunità dei discepoli e dei testimoni;
  • accetta, nella sua dedizione filiale, di lasciarsi rinchiudere nell’oscurità della morte, per vincere la morte con la forza disarmata dell’amore e permettere così al Padre di essere pienezza di vita per il mondo. 

La Pasqua, l’«ora» decisiva di Gesù, raccoglie tutto questo e lo porta, appunto, al compimento supremo, al «passaggio» definitivo. E, attraverso la Pasqua, Gesù rende possibile anche per noi di vivere secondo questo stile «pasquale». Anche per noi, infatti, non si tratta soltanto di celebrare la Pasqua come ricorrenza che di anno in anno si ripete (e anche nella celebrazione settimanale della Pasqua, che è la domenica); si tratta, invece, di vivere sempre secondo questo «passaggio».

Per fare questo, dobbiamo anzitutto accogliere ciò che il Signore ci dona. E non è facile, come mostra la reazione di Pietro al gesto di Gesù che vuole lavargli i piedi. Non è facile, perché accogliere significa anche riconoscere la nostra incapacità, la nostra povertà. Non è facile, perché ciò che Gesù ci dona può sembrarci fragile, debole, impotente. Se davvero vivere secondo la Pasqua significa anche lottare – come ha fatto Gesù – contro le forze della menzogna, del male, dell’ingiustizia, della morte che in tanti modi ancora sembrano dominare il mondo, a che cosa serviranno gesti che forse ci sembrano vuoti, come i sacramenti – come l’Eucaristia, affidata dal Signore ai discepoli proprio in questa sera; o anche gesti spiccioli e precari di carità, come quello che ci viene suggerito dalla lavanda dei piedi?

Occorre davvero lo sguardo della fede, lo sguardo che ci fa passare «da questo mondo al Padre», per riconoscere tanto nel sacramento dell’Eucaristia quanto nell’umile piegarsi del Signore ai piedi dei discepoli il dono della vita, il Corpo offerto e il Sangue versato, l’offerta di sé da parte del Figlio di Dio, il mistero di grazia e di perdono che siamo chiamati anzitutto – lo ripeto – a ricevere umilmente, se ci interessa sul serio passare anche noi da questo mondo al Padre, passare anche noi dal modo di vivere secondo questo mondo a quello che ci è dischiuso da Cristo. 

E se sapremo accogliere tutto questo dal Signore, sarà possibile anche per noi vivere secondo la Pasqua. E così riusciremo anche a non fare dell’Eucaristia solo un rito ripetuto meccanicamente, e saremo capaci di piegare effettivamente la nostra vita ai piedi dei poveri, dei malati, degli esclusi, dei disperati…

E potremo anche, come Gesù, non lasciarci intimorire dalle forze della morte, dell’ingiustizia, del peccato, della menzogna, per lottare contro di esse con le sole armi che il Signore ci ha consegnato: la fiducia in Dio, la ricerca umile della verità, la perseveranza che nasce dalla fede, e soprattutto la carità portata fino al dono totale di noi stessi.

Scopriremo così sempre meglio che la morte è stata già vinta dall’amore, e che il passaggio pasquale, aperto dal Signore Gesù, è anche per noi la strada della vita, sulla quale incamminarci con gioia e fiducia.